29 maggio, 2022

Progettare il futuro dei giovani di Palermo

 

Seminario internazionale CEDEFOP, Unione Europea,
Stoccarda,  2005 (archivio dell'autore)

Dalle chiacchiere degli incompetenti alla capacità di costruire futuro

di Luigi Sanlorenzo (*)

Tra i pascoli più verdi a disposizione della pletora di aspiranti presenti nelle liste a sostegno dei candidati a Primo Cittadino di Palermo, il più appetibile sembra essere quello del "futuro dei giovani" su cui discettano personaggi di ogni genere ed estrazione sociale, alcuni dei quali,  anche se non più giovani, quel futuro amerebbero trovarlo, intanto,  sedendo sugli scranni del Consiglio Comunale o sugli strapuntini delle Circoscrizioni.

D'altronde, nelle stesse squadre di alcuni dei candidati a sindaco della città, sono presenti esponenti del mondo dell'educazione, ma spesso sono guidati da esperienze personali limitate o da spinte corporative piuttosto che da un'adeguata preparazione sui temi cruciali dello sviluppo di bambini, ragazzi, giovani adulti. Da qui l'effetto fotocopia di molti slogan e di alcuni dei programmi offerti a piene mani al corpo elettorale, sempre più deluso e disamorato e che, stando alle previsioni, rischia di attestarsi sotto la soglia di decenza di un'adeguata partecipazione al voto amministrativo.

Il tema dello costruzione del futuro dei giovani a Palermo appare ancora una volta demagogico e soprattutto trattato in modo assolutamente poco professionale da politici o figuranti tali che sovente non sanno di ciò che parlano e che proprio per tale ragione farebbero meglio a tacere. 

Un affastellarsi di proposte, speso velleitarie ed ideologiche che “lasciano il tempo che trovano” e non incidono in alcun modo sui veri processi di trasformazione. Ovviamente tutte condite dalle consuete invocazioni a “legalità”, “antimafia” “uso dei bei confiscati" usate come virgole e punti esclamativi, ricorrenti ogni dieci parole, come la ben nota interiezione frequente nel dialetto palermitano.

Il tempo dei giovani in una città normale inizia dalla scuola pubblica e dalla centralità che ad essa va data quale irrinunciabile priorità istituzionale, organizzativa e finanziaria.

A Palermo si comincia a fare esperienza di scuola in locali sovente fatiscenti dopo pochi mesi dalla consegna dei lavori, freddi, disadorni, in cui risuonano mugugni e lamentele del personale addetto, a partire dagli insegnanti e sino al cosiddetto personale tecnico amministrativo, alle prese con problemi quotidiani di agibilità degli edifici, di sicurezza degli stessi, di preoccupazione innanzitutto per il proprio futuro, di rapporti con famiglie dai comportamenti collocabili in un’ampia gamma che va dalla mafiosità arrogante che vanifica ogni intervento sugli alunni nonostante a generosa disponibilità di familiari a dipingere infissi e a sostituire rubinetti,tubi e altri materiali, a proprie spese e spesso operando direttamente sotto lo sguardo indifferente di chi dovrebbe farlo.

Com’è noto,  il Comune ha in carico le scuole materne, elementari e medie e la ex Provincia gli istituti superiori, una distinzione che l'istituzione dell'Area metropolitana dovrà presto superare. Entrambi gli Enti si occupano, quando possono e vogliono, delle emergenze strutturali, ma non entrano mai nella progettualità, lasciando tale carico ai Consigli d’Istituto, in cui non intervengono mai ad alcun titolo.

La prima proposta a tale riguardo è dunque la ri- progettazione dei rapporti istituzionali tra scuola e Amministrazione Comunale, da rivedere nella logica dell’articolazione territoriale delle Municipalità, nel pieno rispetto delle caratteristiche identitarie delle stesse, al fine di fare percepire già dalla più giovane età sia la dimensione locale che quella più complessiva della Città, fuori da ogni antica e nuova marginalità

La progettazione dei curricula (da anni prevista dall’Autonomia Scolastica) dovrà quindi tenere conto di tali elementi e trovare piena rispondenza nella priorità che l’Ente dà a tale settore operando coerenti e prioritarie scelte di bilancio. 

Il Comune, nell’articolazione specifica della Municipalità, è dunque il vero ed unico committente delle politiche scolastiche e deve trovare presso dirigenti, insegnanti e personale tecnico della scuola interlocutori attenti, interfacciando gli stessi con professionalità adeguate sul piano tecnico operativo, pedagogico e di sostegno alle situazioni difficili, nonché su quello dell’assistenza tecnica per presentare progetti su fondi UE e ora del PNRR.

Nel centro storico di Palermo e in alcune delle periferie più antiche scompaiono ogni anno  mestieri e capacità creative secolari che altrove fanno la fortuna di interi Paesi europei , diventando landmark di alcune regioni specifiche. Il problema non è nuovo ma oggi appare più grave anche a motivo dell'effetto "demotivante" del cosiddetto reddito di cittadinanza.

Prima del termine delle attività scolastiche andranno sviluppati veri e propri tavoli tecnici Scuola/Comune/Municipalità atti a predisporre politiche educative finanziabili con fondi comunitari, piani operativi e iniziative formative extracurriculari dell’anno successivo, ponendo al centro obiettivi educativi coerenti con gli specifici bisogni dei territori in questione.

Analoga sinergia va stabilita con in merito alla Scuola Superiore  perché la cesura attuale in termini di interventi tecnici e di contenuti formativi venga colmata in nome di quella continuità educativa che è essenziale nel processo di sviluppo delle singole individualità. Ad oggi, per esempio, l’attività di orientamento è sporadica se non assente e si limita a far conoscere agli adolescenti l’esistenza di questo o di quell’Istituto (gli "open day" promossi da Dirigenti Scolastici, più interessati a non contrarre l'utenza che ad altro)  senza tener conto delle vocazioni delle persone e delle caratteristiche dei territori. 

Non va trascurato lo straordinario apporto che tale sinergia può e deve trovare nello associazionismo giovanile di ogni genere, quella “marcia in più “ e quell’apertura verso la società ed il volontariato (grandissima ricchezza in regioni quali il Veneto e la Lombardia) a cui la scuola attualmente non educa, pur con lodevoli ma poco significative e individuali eccezioni.

L’ulteriore passaggio è la piena applicazione di quanto previsto dall’alternanza tra scuola e formazione professionale (figlia della ben note “passerelle” che in Germania funzionano bene e da noi sono poco note e praticate) che consenta al giovane di sperimentare, con ogni attenzione alla trasparenza e alla sicurezza,  già nella fase della scuola superiore periodi di apprendistato a fianco di quelli scolastici, scoprendo magari vocazioni e inclinazioni verso mestieri utili, richiesti e redditizi a breve. Si veda al riguardo la straordinaria esperienza, ormai trentennale, del Comune di Brescia in piena sintonia con l’Ufficio Scolastico e le Associazioni di Categoria.

Su tutto ciò finora il Comune si è ben guardato di assumere una regia piena e consapevole, sconoscendo in molti casi buone pratiche e modelli virtuosi che in altre parti del Paese e del mondo fanno della scuola l’anticamera della vita e ne costituiscono la prima e più ricca fase di educazione alla cittadinanza attiva, nell’età più ricettiva della persona.

Se di cesura si è detto circa la continuità tra scuola media e scuola superiore è di abisso culturale ed organizzativo che si deve parlare in ordine al successivo passaggio all’esperienza universitaria.

Nella nostra Città tale scelta è per la maggior parte dei giovani all’insegna dell’assoluta casualità, o, per alcuni corsi a numero chiuso, di cospicui e non sempre limpidi investimenti familiari volti ad “assicurare” la successione di studi professionali o di imprese. 

Da ciò abbandoni, mortalità studentesca, ritardi che diventano incolmabili e sfociano nella ben nota dimensione di parcheggio vissuta dai giovani palermitani e spesso protratta per disperazione in forme di ulteriore approfondimento “culturale” (lauree magistrali o master universitari estremamente teorici, in genere non necessari alla maggior parte degli studenti e magari un po’ di più a generare cattedre per i docenti).

Non a caso,  nell’Unione Europea la maggior parte dei giovani ( non orientati alla Ricerca) conclude gli studi con la laurea triennale e poi frequenta un master (spesso esterno all’Ateneo e in cui sono docenti part time manager e specialisti) in cui effettivamente si professionalizzano per proporsi al mercato del lavoro, spesso autorevolmente presente con propri esponenti negli Organismi accademici, con ottimi risultati d corrispondenza tra i contenuti dei corsi di laurea e le effettive necessità del mercato.

Chi scrive ne ha verificato personalmente nell'arco di quindici anni,  i benefici risultati nel Regno Unito, in Germania e in Norvegia durante le visite studio organizzate dall’Unione Europea https://www.cedefop.europa.eu/it per esperti, formatori ed addetti alle politiche occupazionali giovanili e avendo fatto parte a lungo del Comitato d’indirizzo dell’Ateneo di Palermo, istituito durante la prima riforma dell’Università avviata dopo il Processo di Bologna e il lancio delle lauree triennali; il confronto tra Accademia, Organizzazioni produttive, Ordini professionali e Organizzazioni Sindacali diede luogo a sinergie e all’individuazione di corsi laurea rispondenti alla realtà , troppo frettolosamente interrotte dalle successive riforme “nuove” e “nuovissime”.

Risulta chiaro che attraversando processi virtuosi di cui l’Ente Locale sia promotore e regista attento e consapevole nonché soggetto convocatore delle altre parti in questione, i giovani che ne faranno esperienza acquisteranno due specifiche consapevolezza: l’essere una risorsa strategica per il territorio in cui sono nati e la responsabilità di prepararsi con profitto (riconosciuto e premiato) ad integrarvisi perché portatori di competenze realmente utili per lo sviluppo locale.

È questa l’unica strada per ridurre gli sbandamenti, gli abbandoni, il senso di frustrazione e di disorientamento che connotano la maggior parte dei laureati palermitani, incubo da cui i più abbienti sfuggono andando a perfezionarsi altrove mentre gli altri, i molti altri, avviliscono le proprie qualità in lavori sottopagati e in nero, giungendo alla fatidica soglia dei quarantanni, svuotati di ogni energia e privi di ogni esperienza curriculare adeguata ad un corretto inserimento occupazionale. 

E ciò in un mercato del lavoro che li considera ormai troppo anziani per investire su di essi e troppo giovani per un pensionamento che sarà loro consentito non prima di altri trenta anni.

Dalla breve e succinta analisi del fenomeno dell’emergenza giovanile e della conseguente disoccupazione (che per la Sicilia e Palermo è un dato strutturale, non dipendente dalla crisi attuale) appare evidente che tutto ciò accade perché competenze istituzionali che dovrebbero incontrarsi e completarsi, di fatto si ignorano se non addirittura, si ostacolano reciprocamente.

Ne emerge una tripartizione dell’universo giovanile palermitano: una minima parte si salva - avendo le risorse o, in alternativa,  il coraggio di andare incontro al futuro pur senza mezzi - andando via prima che sia troppo tardi, una parte  si rassegna e – fenomeno in crescita tra le giovani donne -rinunzia alla ricerca del lavoro, 

una parte mediana - la più cospicua -  vegeta in attesa di interventi miracolistici, in passato alimentati da una classe politica responsabile davanti a Dio e agli uomini (e prima o poi ai giudici) di aver distrutto il carattere e il futuro di più generazioni di giovani palermitani, oggi aggrediti da un potente analfabetismo di ritorno e in situazione di fortissimo ritardo culturale, linguistico nonchè di consapevolezza sociale rispetto ai coetanei delle altre regioni d’Europa.

Appare opportuno dunque - prima di evocare fantomatici Assessorati, rutilanti Informagiovani (peraltro passati di moda da oltre trent'anni) o nuove Agenzie di qualsivoglia natura, molto appetiti da ambienti vicini a tutti le forze politiche - che si abbia il coraggio far funzionare le istituzioni locali che hanno il dovere di garantire il diritto allo studio, alla formazione e all’avvio al lavoro, come costituzionalmente previsto. 

Si investa piuttosto in processi di internazionalizzatone nel corso della formazione dei giovani, in scambi interculturali, in esperienze durature e pregnanti in culture e società da cui abbiamo molto da imparare e tanto da proporre, utilizzando le cospicue e mai considerate risorse di quell’Europa che da Palermo abbiamo sempre e solo percepito come una “mucca da mungere” e non tanto di una straordinaria opportunità di crescita e di confronto, smettendo, una volta per tutte di sentirci il “sale della terra”. 

Sotto tale profilo, pur essendo tra i Paesi fondatori dell’Unione, abbiamo molto da imparare da quelli che più recentemente vi sono entrati ed i cui esponenti che si occupano di giovani troviamo costantemente presenti, con una perfetta padronanza della lingua inglese, nelle migliaia di laboratori da Lisbona a Oslo e da Madrid a Tallin, in cui da anni si sta costruendo il futuro di giovani generazioni che non sapranno mai cosa significhino le drammatiche parole “precariato” e “stabilizzazione”.

Una considerazione conclusiva riguarda la mobilità inter-regionale o inter-nazionale, da sempre praticata senza disdoro dai rampolli della media e alta borghesia lanciati verso ruoli di prestigio,  ma che  va coltivata con intelligenza e pragmatismo anche nei confronti degli soggetti economicamente più deboli, tenuto conto di un tasso di disoccupazione giovanile di oltre il 40% https://www.ansa.it/europa/notizie/la_tua_europa/notizie/2022/04/29/sicilia-campania-e-calabria-tra-peggiori-10-in-ue-per-disoccupazione_086e09e4-93dd-4e9e-b828-236c61fca3cb.html 

Un dato drammatico che nessun miracolo potrà mai cambiare portando a Palermo, la piena occupazione - che peraltro non ha  avuto neanche durante il boom economico degli anni '60 - e ciò anche se già domani la Sicilia dovesse diventare una destinazione appetibile per giganteschi investimenti produttivi che non siano call center o altre fantasiose e avventuristiche offerte di eterno precariato. E non esiste alcun soggetto politico che di ciò non sia perfettamente consapevole, oltre ogni fascinosa soluzione "gridata" su fac simile e manifesti elettorali. 

Si tratta allora di aver il coraggio di guadare in faccia alla realtà, di comunicarla senza ambiguità ai cittadini  e di  operare su due fronti in reciproca sinergia.

In primo luogo, educare alla mondialità sin dai primi anni di scuola rendendo familiare il concetto di cittadinanza europea come opportunità che nel mondo soltanto pochi possiedono e presidiando quelle aree di apprendimento più funzionali a ciò quali la storia, la geografia, almeno una lingua diversa dall'italiano e di esperienze di scambi e gemellaggi effettivamente mutilateraterali. Studiare, dunque,  per restare ma anche per andare altrove con dignità, professionalità e con una rete di protezione sociale da estendere in Italia e in Europa, come segue.

Si tratta di mettere a punto, nel frattempo,  politiche metropolitane di sostegno economico/logistico per i primi anni di lavoro fuori dalla Sicilia, concordando con le Città europee d'immigrazione mappe di dislocazione, agevolazioni per l'alloggio, accesso ai programmi di sostegno, in caso di licenziamento,   simili al rigoroso ma efficace  "Hardtz IV" in Germania https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/italmondo/vivere-in-germania-hartz-vier-sussidi-aiuti-statali-100.html ,  il confronto tra competenze manuali, tecniche o culturali richieste ed offerte, forme di scambio quali ad esempio vaucher turistici destinati a cittadini residenti di città europee con un alto livello di lavoratori palermitani, a partire da una certa data. Noi questo abbiamo e questo possiamo scambiare, almeno nel medio termine.

Nè è il caso di illudere i giovani adulti di oggi con prospettive, già in declino dopo la fase acuta della pandemia, di co-working e south-working (che peraltro hanno riguardato lavoratori già assunti) ancora lontane per cultura lavoristica del Paese  e per dotazioni infrastrutturali logistiche ed informatiche che vedremo completate soltanto nel volgere del prossimo decennio. 

In una regione che fatica a superare l'insularità, a scegliere il collegamento stabile con il continente e ad implementare l'alta velocità, appare difficile che tali proposte possano essere considerate come risposte immediate all'emergenza in atto.




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(*) Giornalista e saggista. Presidente PRUA

https://www.associazioneprua.it/socio-luigi-sanlorenzo/

25 maggio, 2022

Il fenomeno della " post verità" quale esito dell'ignoranza e del sospetto


Foto tratta dall'archivio dell'autore

La Fiducia: spinta vitale del cambiamento

di Luigi Sanlorenzo (*)


Fiducia. Politici, manager, imprenditori e persone comuni ne parlano spesso come di un’indispensabile condizione, un capitale intangibile necessario per il funzionamento della società civile, del mercato, di un’impresa, di una bocciofila. Insomma: è una parola molto usata, forse abusata. 

Ma di che cosa stiamo parlando davvero, quando trattiamo di fiducia? Volendo cercare nella letteratura le possibili risposte, ci si imbatte in una bibliografia imponente ed in analisi sviluppate con prospettive ed in ambiti di ricerca i più diversi (politico, sociologico, aziendale, psicologico).

Nella raccolta "Trust: Making and Breaking Cooperative Relations", Diego Gambetta, all’interno del saggio "Can We Trust Trust", elabora una delle definizioni fondamentali della fiducia, ovvero: «L’atteggiamento verso un’altra persona basato sulla convinzione che questa non farebbe nulla contro di noi anche se ne avesse la possibilità e ne potesse trarre un vantaggio personale». 

Molti dei saggi contenuti nel libro di Gambetta tendono poi a dimostrare che la fiducia dipende anzitutto dalla capacità di scoprire o formulare interessi comuni e, in secondo luogo, dall’esistenza di relazioni di cooperazione, invece che esserne una precondizione. Detto diversamente, non è da una preesistente e miracolosa fiducia che nascono relazioni cooperative ed obiettivi comuni fra persone ma, appunto, avendo obiettivi comuni e cooperando per realizzarli, un poco alla volta, si genera fiducia.

La fiducia è il collante che tiene unita, o in mancanza, scompone tragicamente,  la comunità umana sin dai primordi. 

Già nelle prime esperienze di convivenza sociale fu necessario vincere la diffidenza e la paura verso l’altro, spesso nemico nella disputa per le prede o per i territori di caccia, percependo la necessità di affrontare il rischio,  in vista dei vantaggi che il passaggio da un’individualità selvaggia ad una dimensione aggregativa avrebbe potuto comportare.

A differenza della fede che trascende la realtà e confida in concetti astratti, non richiedendo riscontri   probanti degli assunti che proclama in quanto rivelati e non negoziabili, la fiducia è un processo molto complesso per quanti la ricercano e soggetta a tanti pericoli per coloro che devono concederla.

Esiste una fiducia biologica, basata in larga misura sulla dipendenza per il nutrimento, che fonda  il legame tra  la femmina di ogni specie animale e i propri piccoli,  sin dalla nascita. Il fenomeno a lungo studiato dall’etologo  Konrad Lorenz ed esposto nell’opera nota come "L’anello di Re Salomone" pubblicata nel 1949 è ricompreso nella più ampia definizione di imprinting ed è ormai scientificamente accertato e universalmente accettato. 

Come successivamente sperimentato ed approfondito dagli psicologi del comportamento e dagli antropologi, esso consiste nel seguire istintivamente e sino al raggiungimento dell’autonomia il soggetto che il nuovo nato vede per primo e che gli assicura il nutrimento, la protezione e l’interazione con l’ambiente. Non si tratta di un sentimento ma di un istinto necessario alla sopravvivenza.

Di tutt’altra natura sono la fiducia sociale e l’ancora più complessa fiducia politica in cui entrano in gioco anche elementi di piena consapevolezza. Diamo fiducia perché ci aspettiamo qualcosa di buono da qualcun altro, ma non ne siamo certi, tuttavia le cose che sappiamo, il carico cognitivo e quelle che sentiamo, il carico emotivo,  sono qualcosa di più di una mera speranza, quindi solo dopo aver fatto una sintetica ricognizione dei costi e dei benefici futuri e abbandonando le esitazioni,  ci inoltriamo nel rapporto fiduciario.

Il clima di profonda insicurezza generato dalla pandemia e dagli effetti economici e sociali che esso sta comportando, è una condizione ideale per esaminare il tema, individuarne i rischi, contenerne gli effetti che, anche sul piano politico ed istituzionale,  possono essere devastanti.

Oggi la fiducia è considerata la risorsa più preziosa in ogni campo a motivo del fatto che nelle società evolute la delega a qualcuno che operi a tutela degli  interessi collettivi è in larga misura volontaria, discrezionale e soggetta a oscillazioni di ogni genere. 

Anche nelle organizzazioni più gerarchiche o autoritarie, il tasso di realizzazione dei risultati è funzione del livello di fiducia che intercorre tra il vertice e la base e viceversa, non potendo essere in alcun modo assoggettata al  controllo l’intera gamma delle variabili del comportamento umano.

La sociologia  suole distinguere all'interno di questo sentimento morale che permea l'ordine sociale almeno tre tipi di fiducia: la fiducia sistemica o istituzionale, ossia quella che gli attori sociali ripongono verso l'organizzazione naturale e sociale nel suo insieme,  la fiducia personale o interpersonale, quella che gli attori rivolgono agli altri attori sociali, l’ autoreferenza o fiducia in sé stessi.

La fiducia sistemica è stata analizzata dai fondatori della sociologia Max Weber ed Emile Durkheim anche se non in maniera nitida come dai successivi scienziati sociali.  

Come nota Antonio Mutti nell’opera "Capitale sociale e sviluppo - La fiducia come risorsa" Il Mulino, Bologna, 1997  «Si tratta (...) di una presenza confusa con quella di legittimità, consenso, cooperazione, solidarietà. Il concetto di fiducia interseca indubbiamente tutte queste dimensioni, ma non si confonde con esse; ha diritto, perciò, a uno statuto specifico, come ben traspare dalle brevi ma dense note di Georg Simmel l'unico grande classico del pensiero sociale che ha trattato la fiducia come categoria specifica d'analisi».

 E ancor prima dei padri fondatori della sociologia, l'idea che i soggetti stipulino un contratto sociale tra di loro era a fondamento delle teorie contrattualistiche del giusnaturalismo.

La fiducia interpersonale, sempre secondo Antonio Mutti, viene, allora, prioritariamente definita come «l'aspettativa che Alter non manipolerà la comunicazione o, più specificamente, che fornirà una rappresentazione autentica, non parziale né mendace, del proprio comportamento di ruolo e della propria identità. 

L'aspettativa di Ego concerne cioè la sincerità e credibilità di Alter, intese come trasparenza e astensione dalla menzogna, dalla frode e dall'inganno».

L’ autostima o fiducia in  se stessi, infine, deriva da elementi cognitivi ovvero dal bagaglio di conoscenze di una persona, la conoscenza di sé e di situazioni che vengono vissute dal soggetto; elementi effettivi che vanno ad influenzare la nostra sensibilità nel provare e ricevere sentimenti, che possono essere stabili, chiari e liberanti; elementi sociali che condizionano l'appartenenza a qualche gruppo e la possibilità di avere un'influenza sul medesimo e di ricevere approvazione o meno dai componenti.

Si tratta di concetti abbastanza noti, se non addirittura basici nella formazione universitaria e manageriale, rispetto ai quali tuttavia, lo sviluppo degli studi compiuti dalle neuroscienze sta aprendo nuovi e più interessanti orizzonti che il mondo della comunicazione segue con grande attenzione, pur nell’eterogenesi dei fini che sconfina nella disinformazione attraverso i social e  nell’ormai dilagante fenomeno della produzione di fake news.

Nel saggio "Not so different after all: across-discipline view of trust" pubblicato in "Academy of management Review" Vol. 23,  1998, gli accademici  Denise M. Rousseau (Carnegie Mellon) Sim Sitkin (Duke) Ronald S. Burt (Chicago)  e Colin Farrell Camerer (Pasadena) descrivono  le differenti forme di fiducia secondo quattro tipologie.

La fiducia basata sul deterrente (Deterrence-based trust): un agente crede che l’altro si comporterà in maniera affidabile perché le sanzioni che riceverebbe nel caso in cui tradisse la fiducia sono più costose di eventuali benefici opportunistici. 

La questione che rimane aperta riguardo a questo tipo di fiducia è il rapporto con il controllo:alcuni sostengono infatti che la fiducia basata sul deterrente non possa chiamarsi propriamente fiducia, anche se favorisce la cooperazione. Altri fattori, ad esempio, la coercizione, possono infatti incentivare un comportamento cooperativo, ma spesso più che forme di fiducia sono forme di controllo. In realtà, il rapporto tra fiducia e controllo è molto complesso.

La fiducia basata sul calcolo (calculus-based trust): si fonda su una scelta razionale, tipica degli scambi economici. Il trustor ha la percezione che il trustee intenda compiere un’azione vantaggiosa per lui.

Questa percezione deriva sia dalla fiducia basata sul deterrente, ma anche e soprattutto dalle informazioni sulle intenzioni e sulla competenza dell’altro, ottenute tramite reputazione, ossia fidandosi dei racconti di altri sul trustee o tramite certificazione. Pare che all’interno di questo tipo di fiducia, gli autori non contemplino l’esperienza diretta, tipica invece della terza forma. Le parti si fidano, ma dietro verifica. 

Il concetto di verifica non è purtroppo approfondito: da un lato, è sicuramente precedente alla decisione di fidarsi, nel senso che per fidarsi sono necessarie alcune condizioni:informazioni sull’affidabilità del trustee dall’altro, potrebbe anche essere con verifica “postdecisione” ossia controllo dell’operato del trustee una volta che il compito gli sia già stato affidato.

La fiducia relazionale (relational trust): deriva dalle interazioni ripetute. La reputazione è costruita dall’esperienza diretta. 

Non solo, secondo gli autori, in questo caso interviene anche l’emozione, poiché le interazioni frequenti e a lungo termine formano un attaccamento basato sulla preoccupazione e la cura interpersonale. Essa può anche superare eventuali violazioni, a differenza della fiducia basata sul calcolo, che ne sarebbe invece penalizzata fino all’interruzione di ogni relazione. 

La forma più elevata di questa fiducia, che loro chiamano “affettiva”, è la fiducia basata sull’identità, definizione mutuata dal prestigioso studio di consulenza manageriale statunitense Cameron MacAllister Group, di Orinda, California.

La fiducia basata sull’istituzione (institution-based trust) è la fiducia basata sull’esistenza di sistemi legali per proteggere dall’assunzione di rischio insita nella decisione fiduciaria. Così come per la deterrence-based trust, il problema sollevato è: si tratta di una forma di fiducia o di una forma di controllo?

Per tutti coloro che hanno studiato il tema,  resta comunque impregiudicato il concetto che la fiducia poggi su tre dimensioni declinabili e integrabili con pari intensità: il comportamento (behaviour ) la competenza (competence)  la  benevolenza in senso lato  (goodwill) testimoniate concretamente  dal profilo di  coloro che aspirano ad ottenerla. 

Un’ utile e sintetica metodologia ad excludendum, secondo l'espressione coniata negli anni settanta dal giurista e politico Leopoldo Elia,   da tenere a mente quando sarà il momento di scegliere da chi e come si vuole essere governati, ma valida frattanto per valutare chi già oggi esercita il potere, sia esso legislativo, esecutivo o giudiziario.

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Nei prossimi giorni tutti i cittadini italiani saranno chiamati a  votare per cinque referendum abrogativi https://dait.interno.gov.it/elezioni/speciale-referendum in merito alla propria fiducia o meno nei confronti dell'attuale assetto della Magistratura, recentemente modificato in piccola parte dalla cosiddetta "Riforma Cartabia"  e oltre nove milioni di essi dovranno pronunciarsi anche in merito al governo di centinaia di comunità locali di molteplici dimensioni.

Si tratta di due cospicui investimenti fiduciari che attengono all'essenza della convivenza civile, alla capacità delle Istituzioni di dare risposte ai bisogni sociali, alla certezza di essere giudicati con garanzie di terzietà e di ogni possibile rapidità, bisogni che non riguardano soltanto la comunità nazionale ma che sono avvertiti anche come asset di civiltà cui l'Unione ascrive la massima importanza per il processo di progressiva convergenza di tutti i Paesi membri.

Buon governo delle comunità e garanzie del sistema giudiziario sono anche elementi strategici che operano nell'inevitabile competizione tra i territori per stimolare la natalità, per  attrarre nuova popolazione contribuente  ed investimenti produttivi sia domestici che internazionali.

E' necessario, allora, depurare da qualsiasi connotato ideologico il voto del 12 giugno, sia referendario che amministrativo, sottraendolo alla propaganda di chi vuol fare l'ennesima "bandierina" da piazzare in vista di future elezioni politiche, quelle sì, a pieno diritto, luogo di schieramento e confronto anche aspro tra differenti visioni del mondo, della soluzione dei problemi nazionali, della consapevole appartenenza all'Unione Europea.

Ricondurre sui giusti binari le prossime competizioni elettorali rappresenta l'unico percorso per ridurre l'astensionismo ormai allarmante delle nostre comunità che, come insegna la Storia, finisce con la consegna del potere a minoranze culturali  talmente rumorose da diventare maggioranze politiche, legittime certamente ma che allontanano ulteriormente i cittadini dalla partecipazione alle scelte di fondo.

Insomma,  la Fiducia è una complessa necessità. Per vivere. Una necessaria scommessa con tante dimensioni. Ed imparare a darla è quasi più importante che riuscire ad ottenerla, comprendendo quanto essa sia indispensabile per vivere e lavorare alla costruzione del Bene Comune.


Lezione Magistrale di Salvatore Natoli, già professore ordinario di Filosofia teoretica 
Università degli Studi di Milano-Bicocca, 2017



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(*) Giornalista e saggista. Presidente PRUA.

https://www.associazioneprua.it/socio-luigi-sanlorenzo/


 

22 maggio, 2022

In morte di un magistrato. il passato che ritorna.

Foto dal sito del Corriera della Sera

Trent'anni di affollata solitudine 
di Luigi Sanlorenzo (*)


La sera del 23 maggio 1992 fu festa all' Ucciardone. 

Mentre ancora fumavano le lamiere contorte delle tre auto blindate, nell'aria intorno la puzza di cordite "sapeva di vittoria" ed i giornali di tutto il mondo davano la notizia dell'attentato, i detenuti per mafia brindarono con champagne alla fine del loro principale nemico  e la cronaca di quei giorni riporta le espressioni di compiacimento e gli epiteti rivolti a Giovanni Falcone che già non era più su questa terra. 

Nè la situazione appare cambiata dato che, secondo intercettazioni recenti, in più occasioni genitori mafiosi hanno vietato ai figli di prendere parte ad iniziative sulla legalità non obbligatorie come quelle scolastiche, continuando a ribadire, spesso tramandandolo,  il proprio giudizio sprezzante sugli operatori di giustizia e sugli "infami" collaboratori.

Il 23 maggio si celebrava la capacità militare dell'organizzazione mafiosa di aver superato se stessa mettendo a punto l' attentato perfetto di cui si sarebbe parlato per secoli. 

Anni di precauzioni, sofisticati sistemi di protezione, centinaia di milioni di lire spesi per i servizi di scorta, e controlli di ogni genere andavano letteralmente in fumo e poco importava se il prezzo che Cosa Nostra avrebbe pagato inevitabilmente sarebbe stato altissimo. Quella strage ne amplificava il mito di potere che avrebbe attratto sempre giovani "soldati" nelle periferie ed intimorito chiunque avesse osato frapporsi tra la mafia ed i suoi obiettivi. 

Si dibatterà per decenni circa il perchè le cosche avessero accettato di operare come braccio armato di "menti raffinatissime" accettando di fare di quel tratto di autostrada e di quelle immagini che da trent'anni vediamo scorrere in televisione il manifesto della propria potenza, quando sarebbe stato più agevole compiere l'attentato a Roma e probabilmente meno eclatanti le reazioni che ne sarebbero seguite, anche in considerazione di modalità già viste negli anni del terrorismo e alle quali il Paese si era "abituato".

Vi fu dunque uno scambio di vantaggi tra i mandanti e gli esecutori: i primi poterono per lunghi anni attribuire alla vendetta mafiosa - peraltro promessa da anni come una fatwa irrevocabile - il movente e nascondendo dietro una cortina fumogena altri e più grandi interessi, i secondi ne trassero una fama di invincibilità fondata sulla capacità di colpire chiunque raggiungendolo in ogni parte del mondo e giungendo a pensare di porsi palesemente come antistato con cui trattare su più livelli, a partire dalle condizioni di detenzione dei membri dell'organizzazione, vero e proprio terreno su cui la mafia costruisce il proprio consenso interno.

Ogni aderente sa infatti che prima o poi dovrà fare i conti  di ammontare variabile con la Giustizia ma, finito il tempo delle facili assoluzioni per insufficienza di prove durato per decenni ed a cui la creazione del pool, dovuta all'intuizione di Rocco Chinnici mise fine, confida in condizioni detentive  tollerabili,  e soprattutto sulla certezza del sostegno garantito alle proprie famiglie e fondato economicamente in primo luogo  sulle attività estortive che mai hanno conosciuto significative interruzioni.

Trent'anni dopo la strage di Capaci, ormai unita a quella di via D'Amelio come stazioni di una tremenda Via Crucis credo sia possibile tracciare un bilancio su più versanti:

su quello investigativo non vi è interruzione di attività e ogni giorno la cronaca riferisce di arresti importanti, confische di beni, attente radiografie di rapporti che coinvolgono anche insospettabili esponenti di ogni classe sociale. Ma, attenzione, è proprio tale quotidianità che dà la misura dell'estensione del fenomeno in ampiezza e profondità: una piaga che puoi lenire ma che non guarirà mai,  se non intervenendo sulle cause organiche che possono essere definite da una sola espressione: mancanza di sviluppo sociale ed economico.

Sul piano giudiziario, nonostante le tante afflizioni della Magistratura italiana, le condanne sono rigorose, le pene - in genere -  certe e le condizioni detentive, pur nei limiti del rispetto dei diritti umani irrinunciabile in una società civile, sufficientemente calibrate sull'entità del reato e, nei casi più gravi, abbastanza intense da evitare comunicazioni con l'esterno in grado di consentire al mafioso di continuare a gestire la propria cosca. Ampi margini di miglioramento urgente e necessario riguardano le confische dei beni, l'amministrazione virtuosa delle aziende sequestrate, le troppe lentezze nell'assegnazione di immobili alle organizzazioni del terzo settore, spesso non accompagnate dal necessario sostegno economico per renderli fruibili.

Sul piano politico c'è stato un notevole progresso e nonostante alcuni proclami di certa antimafia di maniera, l'organizzazione non esercita più un ruolo dominante nelle istituzioni, non ha più un partito di riferimento ma può avere riferimenti minori in ogni partito in grado di controllare affari di piccolo cabotaggio, peraltro quasi immediatamente intercettati dalla Forze dell'Ordine. 

Cadono nella rete piccoli amministratori locali spesso debitori di consenso elettorale ma non credo di possa più parlare nè di "sacco" nè di "mani sulla città". Grave è invece la responsabilità della politica quando in nome di residue ideologie e di qualche interesse particolare impedisce o ostacola, anche senza rendersene pienamente conto,  scelte di sviluppo, condizioni di accesso rapide e trasparenti ai servizi pubblici specie nel settore del commercio e dell'edilizia privata,  perpetuando lo stato di minorità di strati sociali e il conseguente ricorso a percorsi irregolari, anticamera del consenso "di necessità" alla mafia.

Sul piano culturale, su cui paradossalmente si è investito tantissimo, i ritorni sono deludenti. La scuola può fare molto e spesso lo fa, l'esercito di maestri elementari che auspicava Gesualdo Bufalino è da anni al lavoro, le associazioni giovanili continuano ad essere antenne sensibili ma solo per la percentuale minima di quanti in Italia e in Sicilia si aggregano ad esse. 

Il disastro è nelle famiglie  a basso reddito, ad elevata ignoranza   e spesso residenti nella periferie più abbandonate dove nell'abisso del degrado naufragano gli insegnamenti ricevuti a scuola (spesso unico presidio di legalità) il bisogno materiale sovrasta ogni altra tensione umana e il messaggio contenuto nel reddito di cittadinanza si trasforma in diseducazione civile. 

Quasi tutti gli arrestati recenti ne sono stati titolari, un segnale allarmante che presto dovrà indurre alla piena rivisitazione di uno strumento utile ma nato male e gestito peggio che ha solo creato un evanescente consenso iniziale e nulla più.

Tra pochi giorni chiuderanno le scuole e in molti quartieri torme di ragazzini felici si riverseranno nelle strade dove li aspetta il nulla, se non il peggio, poichè tra cooperative non pagate ed associazioni non sostenute da null'altro che volontari anche le poche attività estive del passato non potranno essere svolte. Quindi allo ZEN e al CEP assolati, nei vicoli degradati del centro storico, dove ancora grava l'ombra della pedofilia,  sarà un brulichio di bambini, di giovani e spesso "neanche un prete con cui parlare" perchè il più esposto tra essi, il salesiano Don Baldassare Meli, parroco di Santa Chiara all'Albergheria per diciassette anni e scomparso nel giugno del 2020,  fu inspiegabilmente allontanato e trasferito nella Diocesi di Mazara del Vallo.

Chi avrà mai il coraggio di sfidare le critiche parolaie di chi andrà tranquillamente in vacanza o in villeggiatura con i propri figli,  proponendo la riattivazione delle colonie estive, marine o montane,  per i bambini più bisognosi, gestite dal Comune e con il costante controllo di ASP e del Garante per l'Infanzia di cui sento parlare solo nei convegni ?

Si ha la minima idea di quante strutture forestali (si pensi all'  immensa ex Colonia delle Ferrovie a Ficuzza o ai tanti ex seminari estivi delle Diocesi vicine,  sovente abbandonati)  e litorali della costa est potrebbero essere recuperati,  quale incredibile indotto ciò creerebbe, quanti posti di lavoro sarebbero attivati per le diverse qualifiche ? Quali e quanti interventi educativi tradizionali e d'avanguardia potrebbero trovare spazio in una permanenza di tre  mesi gestita con criteri organizzativi e pedagogici di massima modernità ? Quante assistenti sociali, lavoratori socialmente utili, titolari di reddito cittadinanza (vero) vi potrebbero essere convogliati ? Quanti educatori volontari , psicologi disoccupati, studenti di medicina pediatrica o igienisti opportunamente guidati da autorevoli esperti, potrebbero svolgervi un tirocinio certificato ?

Ma, ecco, vedo già una folla di benpensanti pronti ad agitare vecchie immagini di colonie estive del Fascismo, con bambini dai capelli rasati a zero, inneggianti al Duce cantando "Giovinezza" ed esercitandosi con fucili di legno. 

Lasciateli gridare e provate a chiedere a qualche anziano quanto quell'esperienza gli fu d'aiuto, gli garantì un pasto adeguato all'età  e una visita medica periodica, tanto sport, un po' di cultura, tanti nuovi amici, qualche maestro mai dimenticato e un vago sentore di regole di convivenza civile.

Basta, troppa è l'incapacità di distinguere il vero dal falso, il giusto dall'ingiusto, la ragione dal torto. Stolto è colui che del passato non sa distinguere il grano dal loglio e come l'asino di Buridano o, se preferite citazioni più colte, come il Don Giovanni di Mozart che ispirò il filosofo  danese Soren Kirkegaard,  muore nell'incapacità di scegliere e si macera in una perenne quanto vana ricerca. Un infinito tentativo di pervenire ad un definitivo Aut-Aut.

E allora ? Antimafia ? "Il catalogo è questo" e vengano pure manifestazioni oceaniche, a pochi passi dal quartiere della Kalsa dove Giovanni Falcone e Paolo Borsellino giocarono insieme sognando giustizia e diritti per tutti inseguendo un pallone rotondo come il mondoinstallazioni faraoniche e liturgie così simili alla beatificazione di martiri che avrebbero desiderato non esserlo

Si mettano pure in scena tardivi e costosi atti riparatori di una città che in vita li osteggiò infastidita, quando non apertamente ostile,   giungendo perfino a proporre di confinarne le esistenze in qualche elegante ma lontano compound fortificato riservato soltanto a loro,  per non  rischiare la stolida tranquillità di chi preferisce non vedere, non sentire e, soprattutto, non parlare.

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Ogni anno mi sono sentito interpellato da questo anniversario traducendo in  parole mai abbastanza adeguate i sentimenti che mi attraversavano https://www.lospessore.com/22/05/2020/a-scacchi-con-la-morte-lultima-partita-di-giovanni-falcone/. Mai, però,  avrei immaginato di leggere nel trentesimo anniversario di quella strage la notizia che mi ha raggiunto pochi giorni fa e che non molti ricorderanno il 23 maggio prossimo, nel frastuono delle celebrazioni a cui proprio per la rilevanza dell'evento sarebbe stata da preferire una giornata di silenzio in tutta la Città con uffici e negozi chiusi e traffico sospeso per un'ora durante la quale riflettere e, per chi ha il dono della Fede, pregare. 

Purtroppo la tentazione tutta siciliana di trasformare in kermesse ogni evento ci è stata spiegata nell' "Identikit del siciliano eccellente " scritto da Gesulado Bufalino in "La luce e il lutto" del 1988 e descritta come  "Gusto della comunicazione avara e cifrata (fino all’omertà) in alternativa all’estremismo orale e all’iperbole dei gesti ".

Di seguito,  la notizia ripresa da molte testate italiane e che riporto testualmente da "Palermo Live" del 12 maggio scorso, prima che venga confinata nelle ultime pagine e presto dimenticata come un tempo accadeva per un'alluvione nella (un tempo)  remota Cina:

"Marcelo Pecci, un procuratore del Paraguay, America Latina,  specializzato contro la criminalità organizzata e il narcotraffico, è stato assassinato ieri in un’isola della Colombia mentre era in viaggio di nozze. 

I carabinieri che indagano sugli affari internazionali della ‘ndrangheta” calabrese e seguono nell’ombra le grandi rotte del narcotraffico, avevano dato un particolare soprannome a questo coraggioso procuratore: lo chiamavano “il Falcone dell’America Latina”. Infatti in tutte le sue ultime interviste aveva parlato di  un piano preciso, e lo aveva spiegato con chiarezza: «Impedire che le famiglie criminali italiane riescano a radicare i loro affari anche qui in Paraguay. Con l’aiuto degli investigatori italiani, infatti, faremo di tutto per impedirglielo: conosciamo il loro metodo, la loro capacità di infiltrarsi nell’economia locale e anche negli apparati della pubblica amministrazione. Cercheremo di stroncare i loro legami e tutti i loro affari principali».

"E il destino ha voluto che Pecci facesse la stessa fine di Giovanni Falcone. E’ stato ucciso in un agguato, raggiunto da due sicari che lo hanno sorpreso in spiaggia, nell’ultimo giorno di luna di miele con la moglie in dolce attesa. 

Sono arrivati sulla riva con una moto d’acqua, magliette scure, panama sulla testa e pistole con il silenziatore. Sono andati a colpo sicuro, e con due colpi hanno portato a termine la missione. Poi sono fuggiti in un attimo, anche perché il super procuratore non aveva la scorta. La moglie del procuratore non è stata ferita. Claudia Aguilera è una giornalista d’inchiesta.

Si erano sposati il 30 aprile e avevano deciso di trascorrere qualche giorno di relax in Colombia, sull’isola di Barú, 45 minuti di navigazione da Cartagena de Las Indias. Ieri sarebbero tornati ad Asunción dove lui aveva da completare una indagine che giusto ieri ha portato all’arresto di un assassino e lei, Claudia Aguilera, sarebbe tornata al lavoro di sempre.

Per ora, i due assassini l’hanno fatta franca ma la polizia colombiana ha subito divulgato le immagini registrate da alcune telecamere di sicurezza e chiesto la collaborazione dei cittadini. Inoltre  ha posto una taglia e promesso 460 mila euro a chi darà il contributo più importante per la cattura dei due killer. L’inchiesta è nelle mani di un team speciale costituito appositamente e la Direzione Centrale della Polizia Criminale italiana segue il lavoro e contribuisce.

Marcelo Pecci, nato in Paraguay ma di chiarissima origine italiana, avrebbe compiuto 46 anni il 1° settembre. Seguiva di persona le indagini più scottanti sugli affari delle ‘ndrine calabresi, e sapeva tutto del business criminale che collega il Sud america all’Italia. «I membri di questa organizzazione sono persone con preparazione accademica – raccontava -. 

Le attività utilizzate per riciclare il denaro sono le più varie: dai ristoranti costosi agli hotel. Gestiscono una rete molto ampia e hanno un sistema di comunicazione ben studiato. In Paraguay la ‘ndrangheta ha sufficiente autonomia economica, ma per i loro affari i clan sono disposti a ogni tipo di alleanza. La versatilità di questa organizzazione non va trascurata. Anche qui la mafia calabrese – diceva Pecci – sta tentando di entrare nei meccanismi della pubblica amministrazione per fare affari con lo Stato».

Il PM assassinato aveva avviato e concluso indagini di grande rilievo. Perché il Paraguay è diventato da alcuni anni il centro di smistamento dei carichi di droga da spedire verso l’Europa. Il “Falcone dell’America Latina” aveva messo il naso sugli intrecci fra i clan i clan,  con un giro d’affari che vale 300 miliardi l’anno. E negli ultimi mesi aveva chiuso la più grande inchiesta contro il narcotraffico. "

Nicola Gratteri procuratore della Repubblica di Catanzaro, in prima linea nella lotta contro la ‘ndrangheta e sotto scorta dal 1989, così ha commentato sulla rivista Mondo «Paragonarlo a Giovanni Falcone è un'esagerazione (sic !)  ma il modo in cui lo hanno ucciso rende ancora più feroce questo delitto  - che poi ha aggiunto: «Omicidio di 'ndrangheta? Modalità simili. Un'imprudenza pubblicare la sua foto al mare sui social»

Una dichiarazione alquanto anodina con cui  non concordo quando penso che Giovanni Falcone di quelle "imprudenze" ne collezionò molte rivendicandole come il proprio diritto a vivere, nonostante tutto, spazzi di una vita normale non tanto per sè quanto per chi, oltre ogni intuibile rischio,  aveva scelto di amarlo.

Il procuratore Marcèlo Pecci e la moglie Claudia Aguilera
immagine da Instagram


E di una cosa sono certo: anche nelle carceri  del Paraguay e non solo,  pochi giorni fa, ancora una volta, molti  avranno brindato.


https://www.raiplay.it/video/2017/05/Michele-Placido-quotChi-ha-brindato-e-chi-noquot-0a3fbcda-5f60-4b8e-9d18-414f905d055e.html

L'orazione scritta da Salvo Licata nel 1992 , recitata da  Michele Placido



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(*) Giornalista e Saggista. Presidente Prua.

https://www.associazioneprua.it/socio-luigi-sanlorenzo/


15 maggio, 2022

Le conseguenze della guerra russo-ucraina. Il caso della Finlandia.

 

Foto tratta dall' archivio dell'autore 

Un paradiso a rischio

di Luigi Sanlorenzo (*)


Dei cosiddetti "paesi frugali" mi sono occupato su Linkiesta quando il dibattito europeo intorno al Recovery Fund stava modificando il giudizio tutto italiano intorno ai Paesi dell’ Unione che si opponevano all’eventuale connotazione assistenzialistica della misura di sostegno, attestandosi piuttosto su una gestione  finanziaria più rigorosa e calibrata delle ingenti somme che sarebbero andate alle nazioni richiedenti provate dalla pandemia. 

Oggi due di essi, Finlandia e Svezia,  tornano all'attenzione mondiale per la richiesta di entrare a far parte della NATO, generando una palese reazione da parte della Federazione Russa che ripropone la propria visione dell' "assedio" ai propri confini portato dall'Alleanza Atlantica, fingendo di dimenticare che essa ha uno scopo esclusivamente difensivo.

Sembra essere giunto alla fine un fenomeno a lungo studiato dagli scienziati della politica e degli analisti quale la "finladesizzazione" intesa come scelta di neutralità tra i blocchi contrapposti,   che ha permesso alla Finlandia di svilupparsi in autonomia utilizzando con grande oculatezza i fondi europei di cui ha fruito a lungo nella corsia preferenziale dell'Obiettivo 1 -  come per l'Italia il Mezzogiorno - e modernizzando il paese senza venderne l'anima tradizionale e l'identità nazionale  a cui viene assegnata la priorità assoluta in molti settori.

Nell’Italia del populismo al potere per qualche anno da dimenticare, sono stati  chiamati “paesi frugali” dando a questa espressione una connotazione ironica e sfottente che intendeva renderli ridicoli e farne l’ennesimo nemico agli occhi della pubblica opinione nostrana, già provata nello spirito e nel corpo.

Eppure essi sono stati a lungo considerati il traguardo più avanzato della social democrazia mondiale, l’icona della rivoluzione sessuale, l’avanguardia dei diritti civili,   il paradiso delle mamme, la meta turistica più selezionata, dopo esserci fatti arrostire dal sole del Mediterraneo, per recuperare forze e respiro nelle linde capitali e nei fiordi nel Grande Nord.

L’ Italia li scoprì negli anni ’70 grazie alla straordinaria capacità narrativa di Giorgio Manganelli che poi raccolse i propri reportage dal 1971 al 1989 in Svezia, Islanda, Finlandia, Danimarca, Isole Fær Øer , Germania Scozia e Inghilterra, nel libro L’isola Pianeta pubblicato da Adelphi nel 2006. In particolare, i paesi scandinavi non erano molto noti non essendo stati meta dell’emigrazione italiana quanto la Germania o il Belgio e rimanevano sospesi nella mitologia  nordica o nelle pagine spesso noiose e difficili da memorizzare delle Guerre di Successione e dei conflitti con l’Impero Russo  sempre in cerca di sbocchi sul mare.  Solo le favole di Hans Christina Andersen ne raccontavano ai più piccoli le magiche atmosfere, non prive di truci ma istruttivi personaggi.

Per quanto il teatro proponesse frequentemente i testi di  Henrick  Ibsen  ed August Strindberg, fu il cinema internazionale ad essere determinante, rivelando al mondo l’attrice Ingrid Bergman e il regista Ingmar Bergman; il cinema italiano vi ha ambientato pruriginose e spesso amare commedie all’italiana con Alberto Sordi e Nino Manfredi.

Dopo la stagione delle ambite auto Volvo che per prime montarono le cinture di sicurezza di serie, le nuove generazioni conoscono la sigle commerciali che designano la parte per il tutto, IKEA per la Svezia e NOKIA per la Finlandia o, forse, la trilogia svedese Millennium  dello scrittore scomparso Stieg Larson  ed i film a essa ispirati di cui sono protagonisti il giornalista investigatore Michael Nyqvist,  interpretato da Daniel Craig  e la hacker geniale Lisbeth Salander,  resa in modo assoluto da Noomi Rapace.

Ho portato sempre con me il libro di Manganelli, quale inseparabile baedecker nei frequenti e ripetuti viaggi per lavoro, studio o semplice turismo nei paesi scandinavi, meta agognata per un siciliano che può avere in quantità spiagge  e tintarelle durante quasi sette mesi all’anno.

Ho percorso le autostrade deserte della nord della Svezia, spazzate in modo impeccabile e quotidiano da enormi macchinari come nel  film In ordine di sparizione con le interpretazioni magistrali  di Stellan Skarsgard e di Bruno Ganz,  ho abitato nelle baite isolate della Finlandia, mare di isole e penisole boscose, prive talvolta di energia elettrica e mai della sauna (a legna), ho passeggiato sulle spiagge tristi della Danimarca, ricordando Karen Blixen e cercando l’ombra di Ofelia nel castello di Kronborg (l’Elsinore shakespiriana),  ho conosciuto i tre volti della Norvegia,  Oslo, che i norvegesi, per clima e latitudine,  considerano la loro Napoli, Trondheim, vero cuore nordico dell’identità nazionale e Stavanger,   baciata dal miracolo petrolifero che  ha cambiato il futuro di un paese sostanzialmente povero e “frugale”. Ho persino tenuto alcune lezioni nell’ Alma Mater svedese, l’ Università di Uppsala e compiuto il percorso marittimo  dell’Hurtigruten sul battello postale che da secoli collega in quindici giorni le decine di piccoli villaggi di pescatori,  incastonati lungo le coste dei fiordi norvegesi.

In Finlandia, in pieno giorno lungo una strada statale deserta e dall'orizzonte sconfinato, presi una multa per aver superato di due punti il limite massimo di velocità (70 Km): il prezzo imposto ad una popolazione che beve molto e rischia di travolgere le renne. Guidava mia moglie ma entrambi fummo invitati a scendere dalla vettura con le mani alzate e sottoposti all'alcool test. 

Nelle città industrializzate ho conosciuto la storia operaia di quei paesi, gli alloggi minimali della borghesia e lo  stile nazionale di vita,  parco ed essenziale; nelle grandi capitali ho visitato i musei dove i quadri sono luce purissima attesa spasmodicamente da tutti  nei lunghi e gelidi inverni che sembrano eterni. 

Nulla può trattenere uno svedese, un norvegese o un finlandese dall’ esporsi quasi nudo nei parchi  già in aprile al primo sole primaverile e la fame di calore e di colori  dei miei amici nordici in visita in estate nel sud dell’Italia ha il valore di una provvista da accumulare e conservare gelosamente per mesi.

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Dal 2019 la Finlandia (Suomi,  nome ufficiale della nazione)  ha il primo ministro più giovane d'Europa, Sanna Marin classe 1985, a capo di un governo di centro sinistra come la maggior parte dei governi dei paesi scandinavi. 

Un' espressione che però non rende del tutto il senso della socialdemocrazia in paesi che consentirono il voto alle donne tra i primi in Europa ed i cui regnanti in Svezia, Danimarca e Norvegia,  vanno in bicicletta e ricambiano il saluto dei passanti, togliendosi il cappello.

La frugalità e la parsimonia, caratteristiche nazionali dell’area culturale scandinavo/finnica, sono consustanziate nell’animo nordico che ammira con stupore ma resta amleticamente perplesso al cospetto della ridondanza del nostro barocco, del vaniloquio,  un tempo almeno forbito, di molti dei nostri politici, dell’ostentazione dei nuovi ricchi,  delle barzellette per loro astruse anche se ne ridono con cortesia e delle pacche sulle spalle,  dell’esibizionismo muscolar/canterino di molti nostri connazionali, magari più “felici” ma sempre in grave difficoltà economica e in ambasce politiche ed alle prese con costanti ed enormi problemi ambientali che essi, invece, hanno risolto con profitto sociale per tutti, già decine di anni fa.

Le origini calviniste della maggior parte delle pratiche religiose, la diffusione del buddismo e delle filosofie naturalistiche, hanno inciso il carattere almeno quanto l’esposizione al clima inclemente che pure amano e ne hanno fatto un’ Isola Pianeta, un mondo a parte che spesso scopre nelle istituzioni europee vizi e virtù a loro sospette e comunque difficilmente accettabili per chi è abituato a vivere solo tra il bianco della neve e il nero della notte sub artica.

Mediazione e compromesso, anime della politica dal mondo greco ad oggi nell’ Occidente romanizzato, sono per essi, che attingono ad altre origini,  una prova a cui si sottomettono malvolentieri e che preferirebbero evitare. Ciò riguarda soprattutto  i leader, spesso giovanissimi e colti, sconosciuti ai più nell’Unione, che però sanno bene che il consenso si ottiene corteggiando il carattere popolare, rasentando talvolta anche il limite del rischio chauvinista.

Eppure,  sono stati i paesi che prima di altri hanno incoraggiato, l’emancipazione femminile e la politica dell’immigrazione “di qualità” pur non soffrendo di deficit di natalità grazie al welfare generoso fondato su una pressione fiscale alta ma condivisa e civile, diventando il paradiso in terra per centinaia di nuovi cittadini a cui, finora, hanno garantito livelli dignitosi di benessere e  di tutele sociali, realizzando un reale e concreto multiculturalismo.

Di primo piano le iniziative di riconversione urbana attraverso la trasformazione di siti industriali dismessi in aree culturali, le politiche di gestione dei rifiuti incentrate oltre che sull'indubbia sensibilità dei finlandesi a non sporcare, sull'installazione di termo-valorizzatori talmente sostenibili da trovare collocazione anche nei centri storici.

Emblematico è il caso di Tampere, seconda città finlandese, la più a Nord e più popolata tra i Paesi Nordici (più di 200.000 abitanti) e unica tra le grandi città  a non avere sbocco sul mare. La città sorge nella regione di Häme (o Tavastia) tra due laghi, il lago Näsijärvi e il lago Pyhäjärvi e merita una dettagliata illustrazione.

Tampere deve la propria fortuna alle rapide Tammerkoski che hanno permesso, durante la Rivoluzione Industriale, la produzione di energia elettrica alimentando i cotonifici e le cartiere che ancora oggi, grazie alle ciminiere e agli edifici in mattoni rossi, danno questo aspetto così caratteristico alla città. 

Le rapide, alimentate dai 18 metri di dislivello dei due laghi, hanno permesso lo sviluppo di Tampere durante la rivoluzione industriale e caratterizzato la città come primo centro operaio di tutta la nazione. Nel 2012 trascorsi il mese di agosto in Finlandia, ultima tappa dei miei viaggi scandinavi, visitandone sia le regioni più a nord che il “meridione” e concludendo il soggiorno a Tampere che,  grazie alle rapide già citate sviluppò cento anni fa una competitiva industria tessile dovuta alla figura dell’industriale scozzese James Finlayson che vi aveva fondato un cotonificio nel 1820,  creando un vero e proprio distretto industriale i cui edifici oggi in larga misura sono stati convertiti ad usi turistici e culturali.

Nonostante il clima,  la seconda città del Paese ospita vari eventi annuali e festival durante quasi tutto l'anno. Il Tampere Film Festival (inizio marzo) è un rinomato festival internazionale di cortometraggi. La Tampere Biennale è una rassegna di moderna musica finlandese che si tiene in aprile soltanto negli anni pari. Il Pispala Schottishce è un festival internazionale di danze popolari che si tiene all'inizio di giugno.

Il Tammerfest è la più importante rassegna musicale di Tampere. Si protrae per cinque giorni attorno alla metà di luglio, e prevede grandi concerti rock al Rarina Stadium e diversi concerti più piccoli in giro per la città.

Sempre in luglio, si svolge la Pirkan Soutu, una gara di canottaggio. Il Tampere International Theatre Festival, che dura una settimana e si tiene all'inizio di agosto, è una vetrina di produzioni teatrali internazionali e finlandesi; contemporaneamente al festival si svolge una rassegna di teatro d'avanguardia, chiamata Off-Tampere.

In ottobre, oppure all'inizio di novembre, la città ospita il Tampere Jazz Happening, una vivace manifestazione alla quale partecipano musicisti jazz finlandesi e stranieri.

Due volte l'anno, in autunno e a metà inverno, la Tampere Illuminations illumina le vie cittadine con 40.000 luci colorate.

Il ruolo della cultura nell’economia di Tampere è molto forte. La comunità residente rappresenta la proporzione maggiore di visitatori culturali, una sostanziale proporzione del budget comunale è riservata alla cultura, con un particolare focus sull’accessibilità, sull’educazione collegata all’arte e lo sviluppo di centri per i giovani.

L’investimento in cultura ed istruzione, ampiamente finanziato dall’ Unione Europea, essendo stata la Finlandia (5 milioni di abitanti)  per molti anni “regione obiettivo 1" come già ricordato,   ha permesso di ri-definire e rafforzare l’identità della città e il suo carattere partecipativo e inclusivo. Nello stesso tempo tali investimenti hanno prodotto benefici in termini di miglioramento dell’immagine culturale della città e incremento nel numero di visitatori. I due processi si alimentano e rafforzano in un circolo virtuoso.

Le principali attività culturali sono concentrate nel centro urbano. Sono comunque presenti o in fase di sviluppo iniziative culturali community-based in aree periferiche e decentralizzate per facilitare l’integrazione dei residenti, e le fasce a rischio di esclusione sociale.

Lo sviluppo di forti connessione tra cultura e servizi educativi, l’apertura di centri per i giovani, il miglioramento della comunicazione culturale interna alla città sono i caratteri distintivi della strategia culturale di Tampere.

A livello di cluster lo sviluppo dell’area Finlayson/Tampella a Tampere può essere considerata un successo per la sua combinazione di attività di produzione con attività di consumo culturale, centri di ricerca e di educazione, e per la sua integrazione con la rinnovata identità e immagine della città. E'un caso esemplare d’integrazione fra cultura, interessi delle comunità locali, identità e new economy: un’integrazione frutto di una strategia di rigenerazione urbana in cui le forze globali si innestano nel tessuto urbano preservando e rafforzando le identità locali.

Tampere investe in cultura senza sovrastimare il proprio potenziale o sottostimare i bisogni della comunità di residenti questo viene ripagato in termini di un’elevata qualità della vita e sostenibilità dei processi di sviluppo. Da un lato, investimenti per il miglioramento dell’immagine in modo tale da aumentare la capacità di attrazione urbana, dall’altro, investimenti orientati al rafforzamento dell’identità locale e della coesione sociale, della qualità della vita urbana.

Il caso di Tampere mostra come gli investimenti legati al miglioramento dell’immagine urbana necessitano degli investimenti in identità per produrre benefici di periodo e innescare processi di sviluppo urbano sostenibile. 

Abbiamo molto da imparare gli uni dagli altri, come sempre è avvenuto quando tra le parti vi è stata onestà intellettuale e trasparenza fattuale ed anche gli scandinavi sanno essere amici fedeli ed affidabili, pronti però a chiudersi immediatamente a confronto con l’inganno, l’ipocrisia e la furbizia levantina, a loro sconosciute e temute,  forse più del dovuto.

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L'invasione dell'Ucraina da parte della Federazione Russa che spinge a ripararsi sotto l'ombrello atlantico costringe oggi la Finlandia a proteggere la propria autonomia e  le proprie conquiste sociali, anche a costo di rinunciare alla tradizionale neutralità, affrontandone i rischi connessi,  tenuto conto che il confine con l'ex URSS è lungo quasi 1400 chilometri. 

Sul piano energetico ogni anno il Paese stacca un assegno di 3,5 miliardi di euro nei confronti della Russia per l’acquisto di greggio e prodotti petroliferi derivati. Da aprile, però, la Neste Corporation, società in cui il maggior azionista è il governo, ha annunciato di aver sostituito l’85% del petrolio e del gas importato dalla Russia con altre fonti,  i contratti attualmente sottoscritti non verranno rinnovati e la costruzione in corso della centrale nucleare da parte dell' azienda russo finnica Rosatom è stata bloccata. 

Scelte dure e difficili ma degne di un "paese frugale" mentre il resto dell'Unione esita ancora a rifiutare il gas russo, cercando di guadagnare tempo in attesa della conclusione del conflitto. 

Tuttavia, come nell'ambito dell' Unione Europea la Finlandia non accetterà mai di consentire che dei fondi del Recovery Fund si faccia una distribuzione incontrollata  in mille rivoli, elargendo sussidi a giovani  che hanno piuttosto il diritto e il dovere di lavorare, o pensioni facili ad arzilli cinquantenni, allo stesso modo non sarà disposta a mutare il proprio stile di vita semplice ed essenziale nè a trasformarsi in un bellicoso gendarme di confine. 

La Finlandia raggiunse l'indipendenza nel 1917 e poco dopo scoppiò la guerra civile. Come per altre guerre civili fu descritta molte volte in letteratura, uno di questi è "Eredità umile" (1919) di Frans Eemile Sillanpaa (1888—1964) il primo finlandese a vincere il Premio Nobel.

Altre opere note includono "Michele il finnico" e "Il rinnegato del sultano" di Mika Watari. "Sinuhe l'Egiziano" (1945) è la sua opera più conosciuta. Nonostante contenesse circa 800 pagine nessun altro libro ha mai venduto così tanto in Finlandia e la versione inglese ridotta è stata in cima alle classifiche dei best seller per molto tempo negli USA. Una ragione possibile per il loro successo internazionale è la loro concentrazione sulla delusione del dopo-guerra, un sentimento condiviso da molti in quel tempo.

Il World Happiness Report, che utilizza i dati di un’indagine globale per riferire come le persone valutano la propria vita in più di 150 paesi in tutto il mondo, quest’anno compie 10 anni e per il quinto anno consecutivo incorona la Finlandia come il paese più felice del mondo. Speriamo che duri !

Il più noto romanziere finlandese contemporaneo Arto Paasilinna (1942-2018) ha scritto: "Durante gli ultimi cinquecento anni, questa gigantesca macchina divina ha perso colpi. Gli dèi dei Finnici hanno dovuto tristemente riconoscere che il loro popolo era stato completamente fuorviato da religioni stranire e da falsi idoli.“ (Premessa a "Il figlio del dio del Tuono", Iperborea, 1998)

Dopo Manganelli, un'altra lettura consigliata a chi, forse avendo viaggiato troppo poco, letto di tanto in tanto e lavorato ancora meno,  sogna un’ Italia assopita sul divano sotto il fresco refrigerio del condizionatore "a palla".



Jean Sibelius (1865-1957) , Finlandia, 1899, opera 26


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(*) Giornalista e saggista. Presidente Prua.

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