28 novembre, 2021

Perchè Omicron ?

Perchè “Omicron” ? Tra tante preoccupazioni, qualche curiosità.

rassegna a cura di Luigi Sanlorenzo

 

"L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito che la nuova variante del coronavirus si chiamerà «omicron» e rappresenta una variant of concern su cui vigilare. “La designazione – spiegano gli esperti dell’Oms – implica che gli stati dovranno condividere le sequenze virali, segnalare i nuovi focolai all’Oms e studiare sul campo e in laboratorio l’impatto, l’epidemiologia, la severità e l’efficacia delle misure di salute pubblica”. Il nuovo ceppo spaventa epidemiologi e semplici cittadini in tutto il mondo, e ha già causato la sospensione dei voli dal Sudafrica e dagli altri stati della regione.

Ad individuarla per primi sono stati i sanitari della regione sudafricana del Gauteng, l’area di Pretoria e Johannesburg. I bollettini parlano di circa cento casi accertati più un migliaio in attesa di conferma. Altri sono stati individuati in Botswana, Israele, Belgio e a Hong Kong.

A preoccupare è la velocità con cui si sta allargando il focolaio del Gauteng, dove la omicron è stata isolata il 12 novembre.

Fino a pochi giorni fa, il Sudafrica aveva un numero bassissimo di nuovi casi, qualche centinaio su una popolazione simile a quella italiana. In una settimana, il numero di nuovi casi giornalieri è salito fino ai 2800 di ieri, per tre quarti concentrati nel Gauteng. Il sospetto è che le 50 mutazioni presenti nel ceppo omicron, di cui 30 sulla proteina spike con cui il virus aggancia le cellule, gli abbiano conferito una trasmissibilità superiore.

E che lo abbiano messo in condizione di reinfettare persone provviste degli anticorpi da malattia o da vaccino efficaci contro le varianti tradizionali. Tra i primi casi, in Botswana e a Hong Kong, figurano infatti persone pienamente vaccinate. Sarebbe lo scenario peggiore, tra quelli possibili: una nuova variante in grado di vanificare tutti gli sforzi fatti sin qui, di fronte alla quale sia la popolazione vaccinata che quella guarita risulterebbero vulnerabili.

Lo spavento è tale che il ministro della salute Roberto Speranza già al mattino aveva chiuso gli aeroporti italiani ai voli provenienti da Sudafrica, Malawi, Lesotho, Botswana, Zimbabwe, Mozambico, Namibia, Eswatini, in attesa di saperne di più. «I nostri scienziati sono al lavoro per studiare la variante B.1.1.529.

 Nel frattempo massima precauzione», ha detto il ministro. È una mossa disperata, perché la variante omicron potrebbe essersi già diffusa in altre aree del mondo. Germania e Francia lo hanno seguito a ruota. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha chiesto agli altri stati membri di fare altrettanto (mentre ieri sera le restrizioni ai voli sono state decise da Usa e Canada) dopo un vertice con sanitari e con le industrie farmaceutiche che producono i vaccini. “Condividono le nostre preoccupazioni” ha detto von der Leyen. “I contratti dell’Ue con i produttori prevedono che i vaccini siano adattati immediatamente alle nuove varianti man mano che esse emergono. L’Europa ha preso le sue precauzioni”.

Anche all’OMS la variante desta preoccupazione. Ma l’appello a chiudere le frontiere non è condiviso. “Le restrizioni agli spostamenti non sono raccomandate” ha detto il portavoce Oms Christian Lindmeier. “L’Oms invita i paesi a applicare un approccio scientifico e basato sul rischio nei provvedimenti relativi agli spostamenti”

Le massime competenze nella sorveglianza virologica sono concentrate nel Regno Unito, dove sono state identificate gran parte delle varianti pericolose. Sulla omicron gli epidemiologi britannici invitano a evitare valutazioni affrettate, in assenza di informazioni più complete. «Il significato di molte delle mutazioni osservate, e delle loro combinazioni, non è noto» spiega Sharon Peacock, diretttrice del consozio di genomica COG-UK e professoressa di salute pubblica e microbiologia all’università di Cambridge.

 “Vi sono studi in corso in Sudafrica per valutare la neutralizzazione degli anticorpi e l’interazione con le cellule T.Questi studi stabiliranno se c’è una riduzione dell’immunità in test di laboratorio, ma ci vorranno diverse settimane. Sarà anche necessario raccogliere dati sul campo per valutare la diminuzione della protezione da vaccinazione e da malattia. Non abbiamo dati su questi importanti interrogativi. Nel frattempo, le vaccinazioni devono procedere”

Anche François Balloux,  dello University College di Londra, non si sbilancia. «Si può prevedere che la variante aggiri l’immunizzazione fornita dai vaccini e dall’infezione» spiega. «Ma ogni stima della sua trasmissibilità e virulenza appare prematura».

Le vaccinazioni, appunto: l’emergenza di una nuova variante pericolosa in Africa sub-sahariana non sorprenderebbe nessuno, perché si tratta dell’area meno vaccinata del mondo. In Sudafrica, il paese dov’è arrivato il maggior numero di dosi, si è pienamente immunizzato solo il 23% della popolazione, ma negli stati circostanti le percentuali scendono sotto il 15% e quasi si azzerano nella zona equatoriale del continente.

Né il programma Covax dell’Oms né le donazioni dei paesi ricchi hanno permesso a forniture adeguate di vaccini di raggiungere questa parte del mondo, dove il virus circola più o meno liberamente accumulando mutazioni casuali e potenzialmente dannose. Per questo l’Oms aveva chiesto ripetutamente, e del tutto inutilmente, di ritardare i richiami vaccinali nei paesi avanzati finché almeno il 10% della popolazione fosse immunizzata in tutti gli stati del mondo."

 

https://ilmanifesto.it/la-variante-omicron-spaventa-il-mondo/

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"La nuova variante del Sars COVID 19 è stata chiamata così per non offendere la comunità cinese. È stato questo il criterio di scelta che portato l’Organizzazione Mondiale di Sanità a ribattezzare la nuova variante sudafricana “Omicron”.

Secondo l’ordine previsto dall’alfabeto greco dopo “gamma”, avrebbero seguito “Nu” e “Xi”. Stando a quanto scrive tuttavia il “telegraph” che ha riportato le fonti dell’Oms queste due lettere avrebbero generato confusione o assonanze che la Cina avrebbe potuto non gradire.

La scelta di saltare le lettere “Nu” e “Xi” sarebbe stata quindi dettata da criteri ben definiti. In particolare la lettera “Nu” avrebbe avuto un’assonanza marcata con “New” o meglio “Nuovo” in inglese. Tale somiglianza avrebbe generato una confusione non indifferente. La lettera “Xi” d’altro canto avrebbe ricordato troppo il presidente cinese Xi Jinping. In questo secondo caso dunque la scelta di non offendere un’intera comunità è stata evidente.

Nel frattempo questo criterio di scelta portato avanti da Oms ha scatenato ironia sui social. In particolare il senatore statunitense Ted Cruz su Twitter ha scritto: “Se l’Oms ha paura del partito comunista cinese, come possiamo fidarci che chiedano loro conto la prossima volta che cercheranno di nascondere una catastrofica pandemia globale?”.

Intanto si è allargata la lista dei Paesi che è stata colpita da almeno un contagio di variante Omicron. Dopo Italia, Belgio, Germania e Gran Bretagna,  anche in Repubblica Ceca è stato rilevato un primo caso. Ciò a partato diversi Paesi, Gran Bretagna e Israele in testa, a inasprire le misure anti-contagio al fine di contenere la diffusione del virus."

 

https://www.notizie.it/variante-omicron-il-significato-del-nome-ribattezzata-cosi-per-non-offendere-i-cinesi/?refresh_ce 

 del 28 novembre

 

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"Omicron è la quindicesima lettera, e quarta vocale, dell'alfabeto inglese., 14^ del latino e 13^ dell'italiano. Non ha equivalente in Ebraico il cui alfabeto, tranne un'eccezione, non ha vocali; corrisponde al fenicio ayn, che significa "occhio".

I Greci, per primi, lo usarono come fonema vocalico, aggiungendo alla omicron la omega, avendo la prima suono breve, la seconda suono lungo. In altri alfabeti si presenta con segni circolari, circolari doppi, losanghe, ecc. Questa vocale è l'esempio tipico di rotondità.

 Il valore numerico di questa lettera presso i Latini era 11, con un trattino sopra, 11.000. Per i Greci, la omicron con accento valeva 70, quella preceduta da virgola 70.000; la omega con accento valeva 80, preceduta da virgola 80.000. Parecchi popoli dell'antichità la ritenevano molto sacra. Nel Devanagari, i caratteri degli Dei, il suo significato varia, ma non possiamo qui dare degli esempi. Questa lettera era molto usata nelle abbreviazioni e nella epigrafia, con svariati significati.

Nella logica formale indica la proposizione negativa di un sillogismo, secondo la formula : asserit I, negat O, sed particulariter ambo. In musica indicava il tempo perfetto, in geografia sta per Ovest, in chimica è il simbolo dell'ossigeno e dell'ozono, in marina sta per "uomo in mare", in medicina designa gli agglutinogeni, in algebra sta per zero mentre in geometria indica un punto di riferimento, nell'Algebra di Boole è uno degli operatori fondamentali.

Questa vocale si trova spesso davanti ai cognomi irlandesi quasi sempre con il significato antroponimico di "discendente". In esoterismo, con un punto al centro, indica il sole, la cui forma circolare rappresenta la rotazione rapida ed il moto mai interrotto. Dovunque si trovino cerchi, ruote, dischi, essi sono simbolo del moto centrale, della vita dell'universo. Jhon Dee, nella sua Monade Geroglifica, dice che "il Sole possiede la dignità suprema (per eccellenza), noi lo contrassegniamo con un cerchio completo e con un centro visibile".

"O'" è più tipicamente irlandese. Letteralmente si traduce come "discendente maschio di" e quindi il suo significato varia. Comunemente indica anche esso "figlio di", ma se ad esempio in famiglia c'era un personaggio particolarmente importante o popolare fra i membri del clan, allora poteva diventare "nipote di", "pronipote di", e così via.

I talismani delle Chiavi di Salomone sono tutti racchiusi in un doppio cerchio; i talismani circolari sono formati da cerchi (da uno a nove) ed anche le lettere sacre vengono talvolta presentate circoscritte da cerchi, all'interno dei quali si trovano simboli magici. Questa vocale la troviamo anche nell'Apocalisse con il significato simbolico di "termine, scopo finale delle cose". Essa si opponeva alla A, che era il principio, per cui quando si dovevano indicare i limiti della realtà si diceva "dalla alfa alla omega". I primi cristiani adoperarono molto queste lettere, sia nelle iscrizioni lapidarie che negli atti pubblici, quasi a significare "nel nome ed alla presenza di Dio". Lo si trova anche nelle sculture sacre, nei mosaici, negli affreschi delle catacombe. Per loro la formula era sacra ed inviolabile e valeva come il più solenne e tremendo giuramento."

 https://www.teosofica.org/it/materiale-di-studio/glossario/glossario/,32?alfa=O 


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 Concludo questa rassegna con le parole di Umberto Eco.

Del grande semiologo, filosofo e scrittore che tanto ci manca, ripropongo uno stralcio della lezione che il professore piemontese tenne all'Università di Pisa il 16 settembre del 2004, in occasione dell’inaugurazione della nuova sede del dipartimento di "Ingegneria dell’informazione: elettronica, informatica, telecomunicazioni” e che fu poi pubblicata su "Athenet. La rivista dell'Università di Pisa".

"Partendo dalla constatazione dell’enorme impatto che le nuove tecnologie hanno avuto sul nostro modo di comunicare e di vivere,  Eco sviluppò una riflessione dal titolo "La cultura è anche capacità di filtrare le informazioni", critica e spesso ironica sulle potenzialità e sui pericoli insiti nell’eccesso di informazioni che caratterizza la società contemporanea.

“È chiaro che oggi parleremo di informazione in quest’ultimo senso, come trasmissione di dati di qualche interesse collettivo, anche se più tardi ci tornerà utile ricordare l’altro significato.

 All’interno di questo significato di senso comune, un’altra distinzione che dobbiamo fare è quella tra messaggio e canale. Per discutere della situazione attuale dell’informazione dobbiamo considerare due fattori: l’organizzazione dei canali rispetto al passato e il numero - non la qualità o il contenuto, che in questa sede non interessano - dei messaggi trasmissibili.

 “…….A questo punto riprendo la nozione tecnica di informazione cui ho fatto cenno all’inizio, cioè come proprietà statistica che definisce tutto quello che potrebbe essere elaborato con la combinazione delle 26 lettere dell’alfabeto. In questo senso le vertigini non sono date dall’abbondanza dei messaggi prodotti, cioè dal Web, ma dalle possibilità consentite dal sistema. Nel XVII secolo gli intellettuali iniziarono a chiedersi quante dictiones, cioè quante parole, potevano essere costruite con le lettere dell’alfabeto, senza utilizzare ripetizioni.

Nel 1622 Pierre Gouldin aveva calcolato tutte le parole che si potevano comporre con 23 lettere, indipendentemente dal fatto che fossero dotate di senso e pronunciabili: aveva contato più di settantamila miliardi di miliardi di parole, per scrivere le quali sarebbero occorsi più di un milione di miliardi di miliardi di lettere. Immaginando di scrivere queste parole su registri di mille pagine, ne occorrevano 257 milioni di miliardi; questi registri avrebbero potuto occupare più di 8 miliardi di biblioteche, ciascuna capace di ospitare 32 milioni di volumi.

Calcolando la superficie disponibile sull’intero pianeta, si potevano costruire solo 7 miliardi di queste biblioteche. Marin Mersenne aveva poi calcolato non solo le parole, ma anche i canti, cioè le melodie sull’estensione di 3 ottave con l’utilizzo di 22 suoni. Ebbene, per annotare tutti i canti che si possono generare con tutte le combinazioni sarebbero occorse più risme di carta di quante ne sarebbero servite, secondo i calcoli del tempo, per colmare la distanza tra Terra e cielo. Inoltre, volendo scrivere tutti questi canti con un ritmo di 1.000 al giorno, sarebbero serviti 22 miliardi e 600 milioni di anni. Questa notizia dovrebbe dare molta speranza ai musicisti e convincerli che non c’è bisogno di copiare le canzoni!  Per reagire alle vertigini provocate dal sistema, dunque, io ho la sola possibilità di elaborare dei criteri di selezione.

Ancora una volta la questione fondamentale riguarda il filtraggio, non nel senso di censura esterna o politica, ma come senso della responsabilità personale, come filtro del singolo per non soccombere di fronte alla sterminata mole di informazioni della nostra società. Ma su questo piano io, come moltissimi altri, navighiamo verso il futuro con tante legittime preoccupazioni e con poche soluzioni da suggerire.”

 Testo completo su

https://www.unipi.it/index.php/news/item/7334-la-cultura-e-anche-capacita-di-filtrare-le-informazioni

Mentre sull’ evoluzione futura della pandemia attendiamo quell’ Omega che forse non ci sarà mai, cerchiamo, intanto,  di capire almeno ciò che sta dietro le troppe “parole in libertà” in cui il mondo sembra ormai annegare.

Et de hoc satis !


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(*) Giornalista e saggista. Presidente Associazione PRUA

http://www.luigisanlorenzo.it/


Un tram che si chiama Desiderio



Rendering della futura area portuale di Palermo (younipa)

Un tram che si chiama Desiderio

di Luigi Sanlorenzo (*)


Infuriano le polemiche sulla bocciatura da parte del Consiglio Comunale di Palermo della tratta tramviaria che dovrebbe percorrere viale della Libertà,  l’ asse urbano alberato orgoglio di tutti i palermitani,  realizzato a partire dal 1848 per proseguire verso nord il cardo romano della città storica  e successivamente retaggio dei fasti liberty di fine ottocento.

Un luogo dell’anima dove risiedono i fantasmi di ville distrutte nel volgere di una notte che coesistono con nuove architetture non certo all’altezza di quell’ “Avenue des Champs-Élysées di Palermo”  come ebbe a definirlo Richard Wagner,  in città per completare il suo “Parsifal” nel 1882.

Due chilometri e mezzo di  rimpianti e rimorsi di una città a volte bifronte che spesso ha guardato al proprio passato, pur inestimabile per il patrimonio ereditato dalla Storia,  e al presente, talvolta percepito come eterno, ma poco al futuro, come si conviene ad un popolo che non conosce né, tanto meno,  ne usa il tempo verbale.

“Si narra che il più giovane dei Titani, Kronos dio del tempo, invidioso che gli abitanti della Sicilia vivessero in una terra così bella scagliò contro gli isolani una maledizione privandoli del futuro e condannandoli a vivere in un eterno presente”. Questo è quello che si racconta.

Fatto sta però che, dei e incantesimi a parte, il futuro ai siciliani manca davvero ed è quello della loro lingua, o dialetto che dir si voglia, se ci si riflette un attimo, ci si accorge infatti che se un siciliano deve declinare un verbo al futuro gli è impossibile perché nella lingua siciliana non esiste il tempo del futuro.

In una ormai famosa intervista rilasciata da Leonardo Sciascia alla giornalista francese Marcelle Padovani e divenuta un libro dal titolo “La Sicilia come metafora” il grande intellettuale diceva con amarezza: “ E come volete non essere pessimista in una terra dove non esiste il tempo futuro?” ed il  futuro a cui si riferiva Sciascia era in questo caso proprio quello della “lingua” siciliana.

Manlio Sgalambro, il filosofo catanese, grande amico, paroliere  e mentore del compianto Franco Battiato,  ha scritto nell’inedito “Teoria della Sicilia” 1994 che “Laddove domina l’elemento insulare è impossibile salvarsi. Ogni isola attende impaziente di inabissarsi. Una teoria dell’isola è segnata da questa certezza; un’isola può sempre sparire. Entità talattica, essa si sorregge sui flutti, sull’instabile. Per ogni isola vale la metafora della nave; vi incombe il naufragio. Il sentimento insulare è un oscuro impulso verso l’estinzione. L’angoscia dello stare in un’isola, come modo di vivere, rivela l’impossibilità di sfuggirvi come sentimento primordiale.

La volontà di sparire è l’essenza esoterica della Sicilia. Poiché ogni isolano non avrebbe voluto nascere, egli vive come chi non vorrebbe vivere. La storia gli passa accanto con i suoi odiosi rumori. Ma dietro il tumulto dell’apparenza si cela una quiete profonda.
Vanità delle vanità è ogni storia! La presenza della catastrofe nell’anima siciliana si esprime nei suoi ideali vegetali, nel suo tedium storico, fattispecie nel Nirvana.
La Sicilia esiste solo come fenomeno estetico. Solo nel momento felice dell’arte quest’isola è vera”

E come dimenticare le parole di Don Fabrizio Salina che tratteggiano drammaticamente il carattere dei Siciliani: “I siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti; la loro vanità è più forte della loro miseria.” Uno stigma che ancora oggi si insinua anche nei più giovani al punto da indurli – e non sempre per necessità – a andare in un altrove anche rischioso, ma di cui percepiscono però nuove prospettive esistenziali.

Paolo Borsellino, del cui sacrificio ricorderemo il prossimo anno il trentennale,   amava ripetere: “Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perchè il vero amore consiste nell'amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare.” Un convincimento sulla necessità di futuro con cui abbiamo il dovere  fare i conti se non vorremo recitare ancora una volta in via D’Amelio il consunto mantra della retorica; e trenta anni sono un periodo di tempo congruo per fare il bilancio interiore della volontà di aprire le porte al futuro o per rispecchiarsi ancora una volta nel passato che affascina e consola.

La vicenda amministrativa del tram si sovrappone o origina da quei tratti del carattere siciliano che segnano ormai il contorno - e il limite invalicabile - di ogni vicenda siciliana ? Chi scrive ritiene che le ragioni degli oppositori alla realizzazione circa la poca trasparenza degli atti relativi vadano approfonditi ma che, al tempo stesso,  non è comprensibile la resistenza alla realizzazione di un’infrastruttura che potrebbe contribuire a modificare il volto e l’anima della città.

Un sigillo, forse l’ultimo, ad un tentativo in parte non riuscito di proiettare la città in un futuro che la strappi al passato in cui ancora ama crogiolarsi,  mentre le grandi città del mondo non esitano ad affiancare alle vestigia della propria storia il desiderio di scrivere nuove pagine, anche ardite, che segnino  il passaggio delle nuove generazioni sulla propria terra, nel caso di Palermo troppo a lungo infelicissima, nonostante l’abusato vezzo dell’aggettivo opposto.

Non sarà una linea di tram in più o in meno a fare la differenza ma il coraggio di guardare con occhi nuovi ad un tessuto urbano a lungo martoriato dalle macerie dell’ultima guerra e che ne hanno segnato anche la rassegnazione e il senso di irredimibilità; riflessioni di non poco rilievo che il recente libro di Domenico Michelon “Palermo al tempo dei bombardamenti” edito da Dario Flaccovio,  ha meritoriamente suscitato nel corso delle diverse presentazioni del volume e nelle quali tale aspetto è emerso prepotentemente e con preoccupazione.

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Nel 1951 usciva sugli schermi il film “Un tram che si chiama Desiderio” (A Streetcar Named Desire) diretto da Elia Kazan, con protagonisti Vivien Leigh, la "Rossella" di “Via col vento” e Marlon Brando. Nel 1998 l'American Film Institute l'ha inserito al quarantacinquesimo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi.

La trama è basata sull omonimo dramma di Tennessee Williams del 1947 e narra di una drammatica vicenda ambientata nel profondo sud degli Stati Uniti dove convivono ataviche mentalità e frustrate aspirazioni ad un futuro migliore. Ne consiglio la visione anche nel remake televisivo del 1995 con Jessica Lange e per non anticipare il finale, scriverò soltanto che la protagonista affiderà ad un tram dal nome “Desiderio” il proprio nuovo destino.

Esistono scelte ed eventi che individualmente e collettivamente sono delle vere e proprie “sliding doors” che cambiano il corso degli eventi e riscrivono pagine che sembrava impossibile voltare.

Un passaggio che Palermo merita e che non può in alcun modo essere ridotto al rango di una tattica politica, tanto più inquietante perché prefigura mondi e destini a cui non è gradevole pensare di voler appartenere.

Ci si adoperi, allora, nella massima chiarezza e trasparenza degli atti amministrativi e, al tempo stesso,  senza l’arroganza di chi intende imporre la realizzazione per via giudiziaria, per cessare questa sterile polemica che non fa onore ad alcuno e che, vista dall’esterno, rischia di confermare l’immagine di immobilismo di Palermo e della Sicilia che, piaccia o meno e nonostante il sacrificio di molti, è ancora la lente attraverso cui la gente del mondo ci guarda, anche quando torna a casa propria,  ancora scossa dalla bellezza disperata di una città che sembra però non avere il coraggio di capire che la politica è mezzo e non fine della più alta delle attività umane.

“Curare e scrivere una biografia progettuale di Palermo significa comporre un'immagine in movimento di una città in evoluzione che valorizza risorse e traiettorie già tracciate negli ultimi venti anni, che ha l’audacia di progettare un nuovo futuro che si svolgerà nei prossimi venti. È una sfida di conoscenza in azione e di azione nel pensante”.

Sono le parole con cui Maurizio Carta, ordinario di Urbanistica e pro Rettore dell’ Università di Palermo, ha descritto la sua ultima fatica scientifica che è anche un'intensa fatica letteraria, estesa e corale: "Palermo. Biografia progettuale di una città aumentata" LetteraVentidue Edizioni

Una mappa, di potenziali e occasioni mancate, di slanci e visioni possibili, non più rimandabili in direzione dell'immagine di una città che non vuole più esser “calvinianamente” né invisibile né invivibile. Un libro pensato per la trasversalità degli utenti, ed è qui, probabilmente, l'intuizione più suggestiva che l'autore pone in essere per mettere in crisi quel sistema ormai datato che vuole la diffusione della cultura per i pochi eletti appartenenti a cerchie ridotte e limitanti.

“Una biografia progettuale  – scrive ancora l'autore - nel senso che è un racconto di avvenimenti con lo sguardo verso l’orizzonte del futuro e una proposta di progetti alimentati dalle sensibilità della storia, della memoria e delle identità plurali e profonde della città. In particolare, è una corposa biografia delle trasformazioni urbanistiche o delle occasioni perse e dei problemi irrisolti dei primi venti anni del XXI secolo e una conseguente proposta progettuale che guardi almeno ai prossimi venti”.

Che la vicenda del tram e il destino della via più amata dai palermitani non sia l’ennesimo episodio da trascrivere nei polverosi repertori del “cimitero dei libri dimenticati” di cui ciascuno nel ruolo che ricopre ha il dovere di scegliere presto se aprirne le porte o essere il guardiano di pietra di un eterno presente.


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 (*) Giornalista e saggista. Presidente Associazione PRUA

 http://www.luigisanlorenzo.it/ 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


27 novembre, 2021

L' odore del mondo

 


Immagine dal film "Perfume: a story of a murderer” (2006)

L’odore del mondo

  di Luigi Sanlorenzo (*)

 

“Parmi, Sancio, che tu abbia gran paura. —

 Per l'appunto, diss'egli;

 ma donde arguisce vossisignoria

ch'io tema più adesso che prima?

 — Perché adesso più che prima mandi

un odore che non è d'ambra,

rispose don Chisciotte.”

Miguel de Cervantes ( 1547-1616)

 

 Nel mondo dell’era Covid si avvicendano alchimisti di vario genere e natura, portatori, a volte infetti, di inedite misture finalizzate ad illudere una società incerta ed impaurita con la promessa della salvezza. Essi mescolano essenze, analizzano effluvi, inseguono aromi, indagano su odori anche repellenti cercando la radice primigenia del profumo perfetto che raggiunga la mente della gente e ne confonda le percezioni,  rendendo schiavi del miraggio di un paradiso perduto, forse mai esistito se non nel desiderio.

 Tutte le volte che pensano di poter raggiungere l’obiettivo, essi cospargono del nuovo sentore un candido fazzoletto di batista e lo agitano nell’aria per vedere quanti siano disposti a seguire quella scia. In unico sventolio ne saggiano sapientemente  le note di testa, di cuore e di fondo  E’ un lavoro delicato e complesso che richiede la medesima pazienza del pescatore, disposto ad attendere lungheore prima che il pesce abbocchi all’amo di acciaio che l’esca abilmente intrecciata nasconde.

 Ma, a differenza di quanto accade al pesce, che rimane vittima del proprio elementare  istinto a nutrirsi, l’olfatto umano ha un’ immediata connessione con le funzioni cerebrali ed attinge al sistema limbico, formato da ippocampo ed amigdala, che controlla gli stati d’animo e le emozioni e dal talamo, metafora nuziale, che insieme ad alcune aree della corteccia frontale, è coinvolto nell’interpretazione cognitiva dello stimolo ricevuto attraverso le narici.

 Benché facciamo fatica a descrivere verbalmente un odore, siamo in grado di riconoscerlo fra  altri, così come riusciamo ad associargli ricordi personali lontani nel tempo e ad elevato impatto emozionale, il cosiddetto “effetto Proust; a dispetto delle resistenze dell’olfatto a essere messo in parole, la cognizione olfattiva sembra avere un forte radicamento nell’esperienza  soggettiva.

Perfino nell'anno dantesco il verso più ricordato dai più  è stato quello, molto popolare, relativo al rumoroso diavoletto Barbariccia,  mentre i tabloid hanno spopolato per l'imbarazzante incidente occorso a Joe Biden al cospetto di Elisabetta II e uno degli spot pubblicitari di maggior  - seppur discutibile - successo ha fatto del "fatal crepitio" il proprio clamoroso sonoro.

Secondo alcuni,  l’olfatto è una modalità sensoriale unica, isolata e quindi nettamente differente dalle altre, in sostanza un’“anomalia cognitiva” . In una cultura visuo-centrica come quella occidentale l’olfatto ha subito una sistematica svalutazione epistemologica (insieme al tatto e al gusto): Aristotele definisce l’olfatto come senso sfuggevole e impreciso in quanto inadatto all’astrazione e privo di uno specifico vocabolario. Platone, collocandolo a metà strada fra sensi della “conoscenza” (vista e udito) e sensi della materia e della soggettività (tatto e gusto), delinea una concezione dell’olfatto come “senso di mezzo”, di mediocre interesse epistemologico.

Questa concezione si manterrà fino alla metà del secolo scorso quando le conoscenze sull’olfatto erano ancora ad un livello corrispondente a quello raggiunto a metà Settecento dagli studi sulla vista e sull’udito. Soltanto a partire dagli anni ‘70 del ‘900 sono cominciate ricerche sistematiche fondate sui paradigmi teorici e metodologici della psicologia sperimentale. Dai risultati di questi studi germinali è venuta definendosi l’ipotesi che l’olfatto sia una modalità sensoriale  autonoma e perciò distinta dalle altre.

 L’olfatto è, tra i cinque,  il senso primordiale ed  ha guidato i comportamenti di tutti gli esseri viventi dai più elementari ai più evoluti influenzando la fuga o l’attacco, la ricerca del  nutrimento, l’accoppiamento e la riproduzione, il riconoscimento reciproco con la prole. In senso figurato, poi, è diventato fiuto, capacità di preveggenza, intuizione “a pelle”  della natura di uomini e di situazioni.

Un antico proverbio siciliano associa il fiuto e la fuga tempestiva non a viltà ma  “salvamento di vita” come sa bene lo schiavo Maysarah nel racconto di Pietrangelo Buttafuoco ”L’ultima del Diavolo”.

Uno studio della Rockefeller University di New York ha dimostrato che le persone possono ricordare il 35% di quanto annusano, rispetto al solamente 5% di ciò che vedono, il 2% di ciò che sentono, l’1% di ciò che toccano e l’esperto di profumi Fred Dale ha constatato che mentre la memoria visuale perde il 50% della propria intensità dopo tre mesi, i ricordi legati alla sfera olfattiva perdono soltanto il 20% della propria intensità dopo un anno. 

In un test un gruppo di quarantacinque soggetti ha esaminato una scarpa sportiva da un medesimo paio; in una delle stanze era stato diffuso un leggero profumo di fiori. I risultati sono stati molto chiari; l’84% degli intervistati ha affermato di preferire la scarpa nella stanza profumata rispetto a quella della stanza senza odori.

All’ olfatto si è riferito anche il Pontefice della Chiesa Cattolica quando, tra lo stupore generale, ha invitato i pastori di anime ad abbracciare senza riserve il gregge per “sentire l’odore delle pecore”. 

E di pecore e di gregge si è tornato a parlare nei mesi scorsi con riferimento alla disperata ricerca di un’immunità da raggiungere, secondo governanti drammaticamente ieratici come Donald Trump, Boris Johnson o Jair Bolsonaro,   pur ricorrendo al il più antico e tragico dei tentativi umani di ingraziarsi la divinità avversa: il sacrificio dei più deboli. Nostalgia delle sterminate pampas argentine,  narrate da Bruce Chatwin, Luis Sepulveda e Francisco Coloane o ricordo archetipico dell’immolazioni di agnelli, rimogeniti, vergini e ogni altro genere di vittime innocenti ?

 Milene Mucci ha scritto su Dol’s Magazine nel 2016  “C’è uno strano odore entrando nei padiglioni del lager, un odore mai sentito, qualcosa di caldo, nauseante e dolciastro che ti prende allo stomaco e vorresti soltanto scappare. C’è un odore ad Auschwitz che entra dentro e rimane, per sempre”.

E un odore simile esala nel XXI secolo dai confini di terra e di mare dell'Europa ai cui muri liquidi o di filo di spinato si aggrappano i diseredati del mondo tra la crescente paura che dilaga tra gli assedianti come tra gli assediati.

E che dire del tenente colonnello William, Bill, Killgore, sintesi di sicuro effetto  tra “uccidere” e “sangue degli altri”  mentre tra le note della Cavalcata delle Walkirie  gli elicotteri mitragliano un villaggio di sospetti vietcong che poi sarà fatto spianare con il napalm,  a cui Francis Ford Coppola fa dire: « Lo senti quest’odore ? Un volta bombardammo una collina per dodici ore. Non trovammo più nessuno, neanche un lurido cadavere di viet. Ma quell’odore, quell’odore di benzina. Tutta la collina odorava di… vittoria !»

 Di ben altri odori si stordisce il parigrado, cieco di guerra,  Frank Slade,  l’immenso Al Pacino,  nel film “Scent of Woman” di Martin Brest del 1992, remake di “Profumo di Donna” del 1974 per la regia di Dino Risi con Vittorio Gassman, Agostina Belli  e quell’Alessandro Momo poi reso folle dai feromoni di Laura Antonelli in “Malizia”  di Salvatore Samperi e perito non ancora diciottenne in un tragico incidente su una potente moto prestatagli da Eleonora Giorgi che dovette risponderne. Oggi avrebbe avuto sessantacinque anni,  ma spesso il successo conquistato troppo presto profuma di incoscienza e di delirio di onnipotenza.

E di odori il cinema è stato pervaso sin dalle origini come Rose Parade del 1906 per giungere ai primi effetti speciali dello Smell-O-Vision, poi dell’Odorama in cui le locandine proclamavano “ Prima si sono mossi (1895) poi hanno parlato (1927), ora profumano”.  La realtà, finta ma aumentata, aveva iniziato il proprio cammino inarrestabile.

Tuttavia hanno avuto più fascino e successo  film le cui sequenze più che odori diffusi in sala hanno sprigionato l’immaginazione della magia dei profumi, e dei sapori, come potenti strumenti di seduzione e di potere. Pur senza effetti speciali ne hanno descritto la capacità di influenza in capolavori quali “Willy Wonka” nel 1971 con Gene Wilder,  poi riproposto nel 2005 con Johnny Deep, “Vatel”  nel 2000 con Gerard Depardieu,  “Chocolat” nello stesso anno con Juliette Binoche,  il film d’animazione “Ratatouille” del 2007, “La Cuoca del Presidente” con Catherine Frot nel 2012, ispirato ad una storia vera nello scenario dorato dell’Eliseo di Françoise Mitterrand. 

Per non parlare delle gocce di Chanel n.5  unico indumento notturno di Marylin Monroe e indubbiamente note a JFK. Ne trovarono un flacone, insieme ai barbiturici, accanto al suo cadavere,  ma le immagini prese da un fotografo della rivista “Modern Screen” in quella livida alba del 5 agosto del 1962 non furono mai pubblicate. D’altronde era stata proprio Coco Chanel a sostenere che “una donna dovrebbe indossare il proprio profumo ovunque le piacerebbe essere baciata”. 

La dignità di massima opera cinematografica sul tema dell’olfatto è, ad avviso di chi scrive, il film “Perfume: a story of a murderer” del 2006,  tratto dal romanzo “Il Profumo” del drammaturgo tedesco Patrick Süskind e portato sugli schermi nel 2006 dal regista Tom Tykver.  La colonna sonora è eseguita dei Berliner Philharmoniker e il racconto è dominato dalle interpretazioni di Ben Wishaw, Dustin Hoffman e Alan Rickman, il Severus Piton della saga di “Harry Potter”

Il film è ambientato prima a Parigi e poi a Grasse, in Provenza, patria fin dal XVI secolo dell’industria profumiera e principale luogo di coltivazione della lavanda, del gelsomino e della Rosa Centifolia.

La storia, che ha ispirato questo articolo per i tanti ed attuali riferimenti con l'attualità mondiale,  narra del giovane  Grenouille, dall’infanzia dickensiana funestata dalla morte di quanti avrebbero potuto amarlo,  dotato di uno straordinario ed ossessivo senso dell’olfatto che lo spinge alla ricerca dell’aroma supremo. 

Venduto come uno schiavo al maestro profumiere, l’italiano Giuseppe Baldini ormai in declino, ne apprenderà i segreti del mestiere, lo stupirà con l’incredibile capacità di percepire e distillare l’essenza di ogni cosa e di ogni essere vivente, ma lo terrorizzerà per la luce demoniaca che gli si legge negli occhi. Grenouille infatti è disposto a qualunque nefandezza pur di creare il profumo perfetto in grado di ammaliare e sedurre qualsiasi creatura.

Acquistata la libertà con cento formule di ricette che  Baldini gli impone di scrivere quale prezzo del riscatto, si mette in cammino verso Grasse, dove da secoli è praticata la tecnica dell’enfleurage,  per cercarvi le essenze più pregiate da cui distillare ciò che cerca. Giunto in città,  scopre che esso è dato dalla mescolanza di tredici effluvi provenienti dai cadaveri di ingenue e bellissime giovani donne.

Si trasforma così in uno spietato serial killer cui presto le autorità locali inizieranno a dare la caccia. Catturato dopo aver causato l’ennesima vittima, figlia di un notabile che aveva cercato inutilmente  di metterla in salvo, è condannato al patibolo. Mentre ne sale le scale, lascia cadere alcune gocce del profumo finalmente ottenuto ed immediatamente la folla colma di odio che attende di assistere all’esecuzione, si trasforma.

Inebriati da un essenza mai sentita,  tutti gli tendono adoranti le braccia,  guardie e carcerieri, prelati e suore, potenti ed umili, poveri e ricchi cominciano ad abbracciarsi e ad accarezzarsi,  si denudano e l’intera piazza diviene teatro di un’orgia dove si consumano amori di ogni genere. Perfino il padre dell’ultima vittima, pur avendo tentato di resistere al sortilegio, abbraccia le ginocchia dell’assassino  e ne implora il perdono. La folla di amanti casuali si risveglierà dopo qualche ora e pieni di vergogna, uomini e donne cercheranno imbarazzati di coprire le proprie nudità, increduli e inorriditi per quanto accaduto. Una metafora dell’ipocrisia umana. 

Al posto del vero colpevole verrà rintracciato e giustiziato un “capro espiatorio”  e la cronaca dell’intera vicendasarà poi sepolta,  nel silenzio complice di tutti, tra i recessi più reconditi degli archivi della città.

Grenouille è scomparso. E’ libero, porta con sé l’ampolla ancora piena dell’essenza a cui deve la vita ma anche la propria maledizione. Ha scoperto l’elisir che generando amore gli ha consegnato il potere assoluto su ogni persona ma si rende conto che non potrà mai essere amato. Si incammina così verso Parigi e in piena notte giunge nella piazza del mercato dove era nato. Andando verso la folla di miserabili che vi  bivaccano,  versa su di sé l’intero contenuto dell’ ampolla, offrendosi inerme alla fine che ha scelto. La folla cenciosa attirata dal profumo irresistibile lo abbraccia sino a soffocarlo e ne divora, bramosa e antropofaga,  le carni.

La mattina seguente, mentre il mercato si anima e del fatto tutti hanno perso memoria, sul selciato rimangono l’ombra di una macchia e una fiala ormai vuota che alcuni bambini si contendono.  

Jean Baptiste  Grenouille è sparito dal mondo senza lasciare traccia, proprio come accade, prima o poi,  a tutti gli odori.



Basta un attimo di distrazione da parte del più attento  profumiere ed anche la più sofisticata miscela di essenze può diventare un olezzo nauseabondo.  In fondo anche il miglior profumo,  di cui in genere sono inumiditi con poche gocce  l’abito e cosparse le mani, non è altro che il resto di sostanze morte e putrefatte. 

Chi lo indossa spesso  non lo sa e si concede compiaciuto agli applausi dei propri sicofanti, inebriati adoratori di quel fascino fatale dietro al quale si nasconde il nulla.

Aromi e odori, puzze ed afrori guidano dunque il mondo nei periodi in cui la razionalità viene meno e prevalgono gli istinti peggio governati che portiamo con noi sin dall’inizio dell’ Umanità. 

E quando ciò accade,  sembra perdersi nell' infinito quell’ingenua ma potente speranza di  “un fresco profumo di libertà”.


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(*) Giornalista e saggista. Presidente Associazione PRUA  http://www.luigisanlorenzo.it/ 


 


26 novembre, 2021

Miniature 3

 


Oggi è un buon giorno

“Buongiorno”, disse sorridendo il turista rivolgendosi nel corridoio, alla signorina delle pulizie dell’albergo che si accingeva ad entrare nelle camere vuote per rigovernarle.

“Buongiorno”, rispose con un sorriso la signorina.  E sembrò stupita e meravigliata. Da quanto tempo non le capitava di essere salutata per prima? Da molto, così come da molto le capitava di essere lei a salutare per prima un cliente dell’albergo e di non ricevere né uno sguardo né tantomeno una risposta. Pochi si degnavano di considerarla come persona, con una sua storia, suoi sentimenti, suoi sogni e virtù. Il mestiere, diciamolo pure, umile ma dignitosissimo della donna delle pulizie, non si addiceva ad essere accomunato a quello, importante e significativo dell’uomo d’affari o della donna in carriera o del giovane di successo.

“Buongiorno”, rimuginò Clementina, che tale era il suo nome. E sorrise: quel giorno sarebbe stato veramente un buon giorno.



“Grazie” disse sorridendo il commensale, al cameriere che gli porgeva il piatto degli antipasti. Come “Grazie” aveva detto, poco prima, alla giovane cameriera che gli aveva portato una bottiglia d’acqua e gliela aveva aperta. Come risposte aveva ottenuto grandi sorrisi.

“Grazie” ripeté alla consegna del piatto di pasta che aveva ordinato e “Grazie” ribadì al servizio del dolce. Grandi sorrisi, come risposte, e sorrisi ricambiati.

In cucina, lo chef guardò il cameriere e la ragazza e li apostrofò: “Che avete tutti e due da ridere?”

“Niente, oggi è un buon giorno” risposero insieme, sorridendo.

 

Eppure…

Nella Storia, si annoverano numerosi personaggi: alcuni di grande spessore umano, altri di grande valore scientifico, altri ancora capaci di grandi visioni e prospettive. Poi ci sono altri che hanno speso la loro vita a rendere difficile la vita degli altri, a ostacolarla, a rovinarla, a terminarla.

Non sono pochi i personaggi che si sono macchiati di feroci genocidi. A partire da Erode, ma anche da prima, alcuni soggetti (mi viene difficile chiamarli “persone”) non hanno fatto altro che calpestare continuamente la dignità degli altri, fino a concepire ed eseguire veri e propri genocidi. Ecco, nonostante la mia naturale avversione per la pena di morte, forse per alcuni di questi soggetti non sarebbe così ingiusto dare loro una pena definitiva, così come loro l’hanno comminata a tante altre persone. Ovviamente, non sarà mai così: una Comunità etica e giusta non può permettersi di prefigurare tali scenari; anzi la forza di una società evoluta è proprio quella di non scendere al medesimo livello di tali soggetti.

Poi, ci sono quelli che, con una espressione usata e abusata, vogliono rammentarci, a giustificazione di qualcuno di questi soggetti, che “… comunque ha fatto anche cose buone”. Ecco, a costoro, vorrei rammentare che pure Jack lo Squartatore ha fatto anche cose buone.

 

Matteo 19,19

Intanto, un’altra cattiva notizia tra le tante: poche parole, in un solo rigo, avrebbero potute essere la nostra salvezza, la nostra riscossa di veri “homo sapiens” ma non le abbiamo ascoltate. Sarebbe bastato seguire in maniera talebana (e mi perdonerete l’accostamento, irriverente per i talebani) ciò che due mila anni fa è stato scritto e ci è stato tramandato, ovviamente senza che fossimo riusciti a farne tesoro: onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso.

E lo dico da laico e non da cristiano: se avessimo seguito sempre quelle poche parole non ci sarebbe stato bisogno di alcu codice civile o penale, alcun della strada, alcun codice tributario, tribunali, multe, condanne o carceri. La buona educazione ci avrebbe regolato da soli in un mondo in cui tutti avrebbero onorato le persone più anziane (e per simmetria, le più giovani) e considerando gli altri esseri umani come se stessi, nulla avremmo fatto al prossimo che non avremmo fatto a noi stessi. La nostra terra sarebbe ancora oggi un paradiso terrestre e non avremmo il pensiero al riscaldamento globale, alla tirannia delle mafie, alla schiavitù del capitalismo, alla violenza del potere.

Siamo ancora certi di essere creature razionali e pensanti, anzi “uomini sapienti”?




                                                                                                                   vavinilbuono

 



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 vavin è lo pseudonimo di un autore noto al responsabile del blog

24 novembre, 2021

A PRUA. Intervista sulla leadership

 

 Stare a PRUA




L'intervista telefonica sul tema della leadership rilasciata oggi a Chiara Piacenti di Radioinblu, Gruppo TV2000 diretto da Vincenzo Morgante, emittente della Conferenza Episcopale Italana


https://www.radioinblu.it/streaming/?vid=0_bmst4zwz

(inizia subito dopo la sigla introduttiva)

Palermo, frequenza FM 106.300





22 novembre, 2021

ITS Academy. Progettare il futuro tecnico del Paese

Dal sito della rivista "Il Mulino" l'articolo del prof. Federico Butera 


                               
          


di Federico Butera (*)

L’articolo 1 della legge dichiara che l’Its è un «sistema» centrato sulle finalità di innovazione richieste dal Pnrr; è uno sbocco terziario sia ai percorsi di istruzione e formazione tecnica, di competenza regionale, sia ai percorsi di formazione secondaria come i licei, di competenza statale. 
A differenza dell’università e degli istituti di istruzione secondaria, tuttavia, non è costituito da un sistema «statale» centralizzato: coordinamento e finanziamento sono nazionali, ma la competenza sulla programmazione e sull’erogazione degli Its è regionale. 
La soluzione che il ddl trova è di proporre un dispositivo dinamico di co-determinazione fra Stato e Regione sulla governance, sui decreti attuativi, sulla gestioneUn processo delicato che andrà gestito con una organizzazione cooperativa efficace e efficiente.
Il ddl dice che gli Its si occupano di «formazione professionalizzante di tecnici superiori con elevate competenze tecnologiche e tecnico-professionali». 

Forse meglio sarebbe stato precisare che essi formano «professioni a larga banda»: infatti le nostre ricerche rilevano che già oggi gli Its formano «tecnici destinati ad applicare e gestire innovazioni tecnologiche e organizzative operando nei processi di produzione di beni e servizi, con una elevata expertise in ambito digitale e tecnologico e organizzativo, con distintive competenze sociali». 

Il ddl prevede che gli Its Academy abbiano altre funzioni oltre a quelle formative: diffusione della cultura scientifica e tecnologica; orientamento permanente dei giovani verso le professioni tecniche; aggiornamento e formazione dei docenti di discipline scientifiche. 

Già oggi molti di essi sono laboratori di sviluppo di metodologie didattiche attive che possono essere trasferite ad altri canali formativi e che la riforma dovrà potenziare (su questo punto rimando a A. Zuccaro, G. Taddeo, A. Buffardi e L. Aiello, La sfida culturale dell'istruzione terziaria, Carocci, in corso di stampa). 

Ma sono, o stanno diventando, anche laboratori di innovazione in cui imprese e sistema dell’istruzione sviluppano insieme progetti e soluzioni di prodotti e servizi e sono aree di consulenza alle imprese.

Questa legge sancirà che università e Its conducano insieme la medesima partita: accrescere l'occupazione giovanile e la produttività e l'innovazione delle imprese

Il disegno di legge affronta uno dei nodi che avevano fomentato la presunta concorrenza fra Its e università: si stabilisce che esistono due canali di formazione terziaria paralleli e che l’Its può anche offrire corsi di sei semestri con certificati di livello VI dell'European Qualifications Framework. 

L’Italia è al penultimo posto in Europa per iscritti a un corso di formazione terziaria, universitaria e non. Per questo, finalmente, questa legge sancirà che università e Its debbano condurre insieme la medesima partita: accrescere occupazione giovanile e insieme produttività e innovazione delle imprese; superare il mismatch fra competenze richieste e competenze disponibili; e soprattutto sviluppare quei nuovi ruoli e professioni che emergeranno nei processi di innovazione.

Come ho già suggerito,  l’università dovrà formare, oltre che scienziati e specialisti, anche figure di progettisti dei nuovi sistemi tecnologico-organizzativi: architetti multidisciplinari dei sistemi socio-tecnici nell’industria e nei servizi. Gli Its, dal loro conto, avranno prevalentemente il compito di formare tecnici e professional attuatori e integratori e nuovi capi intermedi che si occuperanno di gestire sistemi e processi ad alta complessità, per lo più digitalizzati. 

La divisione del lavoro fra università e Its sarà quindi parte integrante dell’energico processo di costruzione dei ruoli e delle professioni della 4° rivoluzione industriale e delle nuove competenze.

Fra lauree e Its deve esserci divisione del lavoro ma anche una programmata «permeabilità» e un impegno comune nell’orientamento. Occorre favorire il passaggio dall’università all’Its e viceversa, attivando «passerelle» bidirezionali. Oltre il 30% degli studenti oggi abbandona i corsi di laurea tecnico-scientifici dopo il primo anno. D’altra parte molti studenti dell’Its al termine del loro percorso vogliono proseguire con una laurea.

Ovviamente, per quanto successo possano avere, gli Its non risolvono il problema di limitare i processi di esclusione, drop outNeet che si addensano nelle aree della formazione e istruzione secondaria tecnica. È pertanto un intervento non facile su tutta la filiera della formazione tecnica: istruzione tecnica, istruzione professionale, IeFP, Academy aziendali sono regolati da soggetti diversi (Regioni, ministero dell’Istruzione, aziende).

Gli Its Academy sono forme organizzative innovative: si costituiscono come fondazioni di diritto privato che si assumono l’impegno di gestire una istituzione pubblica. Le Fondazioni Its inoltre possono diventare in tutta Italia nodi di reti governate: sia reti multiterritoriali sia reti settoriali. Nella prospettiva dello sviluppo di un sistema nazionale, dovrebbero essere potenziate le reti multiterritoriali, che diano agli Its la stessa visibilità e legittimazione dei licei e delle università. Le reti settoriali a loro volta possono rendere gli Its risorsa preziosa per lo sviluppo dei settori produttivi sia tradizionali da innovare che emergenti.  

Gli Its Academy sono forme organizzative innovative: si costituiscono come fondazioni di diritto privato che si assumono l’impegno di gestire una istituzione pubblica

Il ruolo delle rappresentanze delle imprese e dei lavoratori nel ddl è previsto negli organi collegiali. Il problema chiave è la promozione della partecipazione attiva delle singole imprese e dei sindacati nella gestione delle Fondazioni Its. Occorre promuovere l’interesse e l’impegno anche delle imprese di minori dimensioni e importante è il coinvolgimento dei sindacati di categoria e territoriale su temi concreti, valorizzando la bilateralità: per esempio per la formazione continua (reskillingupskilling) dei lavoratori.

Per quanto riguarda il finanziamento, il ddl prevede un Fondo per l’istruzione e la formazione tecnica superiore, con una dotazione a 68 milioni di euro per l’anno 2021 e a 48 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2022. Non si fa riferimento al Pnrr, che porterà le risorse a una media di 200/250 milioni di euro l’anno, presumibilmente in una logica di crescita progressiva. Che cosa succederà fra sei anni? Si tornerà al mero fondo statale?

Il ddl non dedica poi particolare rilievo ad alcune questioni chiave per lo sviluppo del sistema: innanzitutto la necessità di aumentare l’attrattività dei percorsi terziari Stem attraverso borse di studio, collegi, corsi preparatori all’accesso all’Università e agli Its, per favorire le ragazze e i ragazzi meno abbienti e cresciuti in ambienti non-Stem. 

Bisogna fare molto orientamento delle scuole secondarie e comunicare alle famiglie e ai giovani le possibilità occupazionali e la qualità della proposta didattica dell’Its.

Per realizzare le promesse contenute nel disegno di legge è necessario potenziare l’organizzazione a tutti i livelli: la struttura e il funzionamento degli organi collettivi di governance e degli organi che svilupperanno gli atti attuativi; i presìdi della gestione di finanziamenti; i presìdi della gestione del cambiamento; le strutture dedicate del ministero e delle Regioni; e soprattutto l’organizzazione delle Fondazioni Its e delle loro reti. 

Esse dovranno essere tutte mission driven organizations ossia organizzazioni guidate dagli obiettivi economici, occupazionali e sociali del Pnrr. Organizzazioni che vanno progettate e gestite usando quei modelli, pratiche, metodologie evolute e non burocratiche che le scienze organizzative e le migliori organizzazioni ci hanno reso disponibili negli ultimi decenni.

 Per attuare la legge, sono indispensabili due strumenti non giuridici: un piano economico per utilizzare il Pnrr e un percorso di change management strutturale, ossia un percorso di cambiamento culturale e strutturale che riguarda diversi livelli del sistema.

https://www.rivistailmulino.it

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(*)  professore emerito di Scienze dell’organizzazione all'Università di Milano Bicocca e presidente della Fondazione Irso. Tra i suoi libri più recenti: Organizzazione e società. Innovare le organizzazioni dell’Italia che vogliamo (Marsilio, 2020) e Coesione e innovazione. Il patto per il lavoro dell’Emilia-Romagna (con P. Bianchi, G. De Michelis, P. Perulli, F. Seghezzi, G. Scarano, Il Mulino, 2020). Twitter: @federico_butera