25 aprile, 2022

25 Aprile 2022. Un anniversario diverso dagli altri.

 


Antichi e nuovi spettri nell'autunno della Società aperta

di Luigi Sanlorenzo (*)

Due nuovi spettri si aggirano per il mondo. 

Sono entrambi figli di quello evocato dall' uomo che riposa nel Cimitero di Highgate e che ha segnato il XX secolo generando il massimo male e, per contrasto e reazione,  ha aperto la strada al bene possibile da cui è nato ad opera dei sei Paesi fondatori nel 1952, il sogno di una pace duratura nell' Unione Europea.

Impallidite le ideologie, dimenticate le visioni del mondo, imputridite nei propri sepolcri le salme dei filosofi che si sono sforzati di decifrare il mondo - e in qualche caso di cambiarlo - il compito di concepire nuove architetture della società e dello stato è passato a protagonisti della vita di tutti giorni, spesso incolti e animati soltanto dal desiderio del potere.

Ne sono nati due "gemelli diversi" che, divenuti adulti,  percorrono il mondo in una competizione - e talvolta in un' alleanza -  che prima o poi giungerà allo scontro finale,  con la probabile caduta della cittadella della Società aperta, ormai assediata tanto in Oriente che in Occidente, e di cui riporto la definizione più esaustiva:

Secondo Karl Popper, autore del celebre saggio "La Società aperta e i suoi nemici" del 1945,  nelle società aperte, si presume che il governo sia sensibile e tollerante, i meccanismi politici trasparenti e flessibili al cambiamento, permettendo a tutti di parteciparne ai processi decisionali. Nella convinzione che l' umanità non disponga di verità assolute, ma solo approssimazioni, la società dovrebbe dare così massima libertà di espressione ai suoi individui e l'autoritarismo non è giustificato. Il pensiero filosofico di Popper necessita di una analisi approfondita che non può essere liquidata in poche parole in questo articolo. Ne scriverò presto.

Tuttavia,  fare riferimento oggi 25 aprile, anniversario della Liberazione dell'Italia dal nazifascismo, alla "società aperta" non è solo opportuno, ma necessario e dovuto per attrezzare le generazioni che verranno, spesso senza memoria o, ancora peggio, con una memoria manipolata e falsificata attraverso mezzi ben più potenti della forza delle armi o della propaganda tradizionale che hanno sempre accompagnato il conflitto tra uomini e nazioni in ogni parte del mondo.

Populismo e Sovranismo si fanno largo con ogni mezzo nel sentimento delle società deluse dalla promesse dello stato liberale che in troppi casi non è stato in grado di accompagnare lo sviluppo delle società democratiche con i necessari processi di istruzione, formazione, promozione sociale, contrasto alle povertà materiali e spirituali.  Essi infatti allignano nella parte meno attrezzata della società, dove i processi di miglioramento della condizione umana non sono riusciti ad estendersi ed a generare consenso. 

In tutte le elezioni nazionali o locali, comprese le presidenziali francesi che vedono vincente in queste ore Emmanuel Macron, il margine è sempre più ridotto e il risultato incerto fino all'ultimo minuto mai prima d'ora l'estrema destra francese era arrivata al primo turno così vicina ad una possibile elezione all'Eliseo. Al ballottaggio, l'ormai probabile 58% del presidente uscente contro il 42% di Marine Le Pen   non può certo essere accreditato all' inquilino dell' Eliseo ma alla convergenza, più o meno manifestata ufficialmente,  dalla sinistra radicale di Jean-Luc Melenchon. Un contributo populista che presto chiederà la propria libra di carne.

Non mancheranno nei prossimi giorni analisi dettagliate del flusso dei voti,  ma il dato è chiarissimo: se in Francia la democrazia liberale vuole governare deve pagare il pedaggio alla sinistra radicale, snaturandosi progressivamente e mantenendo l'instabilità del sistema. Lo vedremo presto alle elezioni per l' Assemblea Nazionale del prossimo giugno.

Lo scontro tra populismo e sovranismo avrà il proprio apice con le elezioni di medio termine negli Stati Uniti e l'incombente minaccia del ritorno di Donald Trump, resa più agevole della deludente performance di Joe Biden e dalla preoccupazione degli elettori americani del deep state di ritrovarsi con una presidente "di sinistra" quale Kamala Harris.

Nelle tre più grandi regioni del mondo, dunque, la Società aperta o non c'è, come in Asia (con l'eccezione del Giappone legato agli USA e dell'India che però non ha votato all'ONU contro Putin) )  e in larga parte dell' Africa, o si trova a resistere sulle barricate, come negli Stati Uniti e nell'Unione Europea dove crescono le democrazie illiberali, ormai oggetto di una classificazione molto ben definita e praticata dai paesi del gruppo di Visegrad a cui prima o poi anche l'Ucraina aderirà, dove solo pochi giorni fa ha trionfato per la quarta volta Victor Orban.

Per la Federazione Russa, in ogni ipotesi di esito del conflitto in corso e del destino personale di Vladimir Putin, non cambierà molto in futuro, anche in considerazione del rinnovato orgoglio nazionalistico risvegliato proprio dalla guerra d'invasione dell'Ucraina e del potente alleato rappresentato dalla Chiesa Ortodossa che fa capo al Patriarca di Mosca, Kirill,  ed ai suoi accoliti.

Il paradosso

Sovranismo e Populismo sono difficili da "smontare" come invece accadde  in passato per  le dittature palesi, a motivo di alcune ragioni che proverò ad esporre.

In primo luogo,  entrambi i fenomeni non rinnegano la democrazia, si fondano su elezioni, generalmente di tipo diretto  ed esprimono una classe dirigente comunque legittimata dal suffragio universale. Sono tuttavia lontani, nella maggior parte dei casi, dalla tripartizione dei poteri costituzionali, in particolare dall' indipendenza della Magistratura (come peraltro avviene da sempre negli Stai Uniti) e impongono cospicue limitazioni al diritto di espressione e all'esercizio del dissenso, proprio in nome del consenso popolare di cui sono investiti, come un tempo i re "unti dal Signore"  e di cui rivendicano il primato perfino sul diritto naturale.

In secondo luogo, vanno considerate le variabili legate alle dinamiche della natalità, soprattutto  in Occidente.  Il sovranismo è spinto dall'invecchiamento della popolazione e la conseguente insicurezza (il dato francese conferma che senza il voto della popolazione più anziana,  Macron non avrebbe raggiunto il ballottaggio) mentre il populismo "pesca" nell'insoddisfazione degli esclusi, nella contrapposizione con l' establishment e nel velleitarismo giovanile (si veda il dato italiano del consenso al Movimento 5 Stelle alle elezioni del 2018).

Sovranista è il Regno Unito guidato dal conservatore Boris Johnson, populiste con sfumature diverse sono la Spagna e il Portogallo in cui sono ancora forti e presenti le tracce ed i ricordi  di mezzo secolo di dittatura rispettivamente di Francisco Franco e di Antonio de Oliveira Salazar. In bilico,  molti dei paesi scandinavi, orfani della tradizione socialdemocratica che ne ha fatto in passato modelli da seguire in molti settori.

Populismo e sovranismo, proprio a motivo dell'elettorato di riferimento fondano larga parte del proprio consenso nell'erroneo convincimento che sia possibile dare soluzioni semplificate a problemi, talvolta secolari, complessi ed articolati e solo in minima parte risolvibili con soluzioni di tipo interno. Entrambi, distolgono l'attenzione dai problemi reali attraverso l'indicazione di un nemico, vero o presunto, secondo una strategia comunicazionale che ha radici nel passato e di cui in più occasioni ho scritto.

Gli esempi sono noti anche se non sempre tenuti a mente: l'impero romano indicava del Cristianesimo la causa dell'indebolimento dei valori tradizionali, il medio evo - stadio a cui le popolazione di fede islamica sembrano in larga parte  essersi fermate -  indicava nelle donne la cui influenza era percepita come eversiva, il nemico della vera Fede e le volle streghe o schiave.

Il Rinascimento, la Riforma protestante e gli stessi Risorgimenti nazionali indicarono nell' "oscurantismo" della Chiesa Cattolica - "alleata del trono" - il nemico del progresso e puntarono sulla stato laico come grimaldello per annullarne l'influenza. 

Il novecento ha visto lo spostamento delle indicazioni di "nemici da colpire" dalle istituzioni ai popoli: gli armeni sono stati additati come nemici del tentativo di laicizzare l'ex impero ottomano oggi rievocato da Recep Tayyp Erdogan, gli slavi erano l'opposto della "purezza della razza ariana"; agli ebrei è toccato il destino di essere considerati strumenti del potere finanziario che umiliava la Germania dopo la fine della Prima Guerra Mondiale; i migranti musulmani o neri sarebbero la minaccia all'integrità della società "cristiana" ed occidentale, come è stato dimostrato in questi mesi dall'atteggiamento ben più accogliente dell' Europa orientale verso i profughi ucraini.

E, di volta in volta, come ricordato, il nemico serve a distrarre dall'incapacità del sovranismo e del populismo di andare oltre la proposta di soluzioni semplificate, "vendute" come una panacea da tutti i mali sociali.

Spiacerà a molti, ma nel corso della XVIII Legislatura l'Italia ha avuto due governi populisti, di cui il primo a trazione di fatto sovranista e ne avrebbe avuto un terzo, con la piena aquiescienza del Partito Democratico,  senza la lungimiranza del Capo dello Stato e l'incarico a Mario Draghi per il quale almeno in futuro dovranno essere riconosciuti meriti a chi indubbiamente li ha maturati. 

Tuttavia si tratta di una fragile e debole tregua che si avvia al proprio termine e che nel 2023 riproporrà lo schema francese con tutte le incertezze del caso ed una campagna elettorale che sarà durissima e spietata nella quale non mi sentirei di escludere come anticipato due anni fa su altre pagine, un'alleanza tra la Destra e la parte, non governista del Movimento 5 Stelle. 

Le esitazioni di Giuseppe Conte sulle elezioni francesi e sulle responsabilità di Putin in  Ucraina  sono segnali premonitori e precisi messaggi lanciati al potenziale elettorato,  come già in passato l'appoggio scandaloso di Luigi Di Maio e di Alessando Di Battista al Movimento dei Gilè Gialli,  che fece rischiare l'incidente internazionale con la Francia. 

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E il 25 Aprile ? Vedremo tra poche ore i distinguo e il benaltrismo e non sarà uno spettacolo bello. Verificheremo arditi accostamenti tra i sentimenti di quegli anni tanto lontani e le vicende contemporanee. Assisteremo allibiti alla rivendicazioni di vecchie e nuove "verginità" politiche e si ripeterà probabilmente la polemica con le formazioni di ex partigiani realisti, cattolici e, certamente, con quelle formate da ebrei,  nel tentativo di ridurre un movimento nazionale,  che ebbe tanti meriti ma altrettante opacità  - come solo Gianpaolo Pansa e Paolo Mieli  hanno avuto il coraggio di aiutarci a non dimenticare in questi decenni -  sotto una prevalente "paternità" che avrebbe condizionato poi tanta parte della cultura italiana. 

Probabilmente solo le parole del Presidente della Repubblica saranno le uniche che varrà la pena di ascoltare perchè dettate da un antifascismo che appartiene agli italiani  intellettualmente onesti e rivolte soprattutto ai più giovani, esposti a troppe mistificazioni.

Qui basterà rileggere l'ultima lettera del partigiano Giacomo Ulivi, 19 anni, condannato a morte e fucilato nel novembre del 1944 sul sagrato del Duomo di Modena:


Giacomo Ulivi 
( Parma, 29 ottobre 1925 – Modena, 10 novembre 1944)
foto dal sito del Quotidiano "L' Adige"

" Cari amici,

vi vorrei confessare, innanzi tutto, che tre volte ho strappato e scritto questa lettera. L'avevo iniziata con uno sguardo in giro, con un sincero rimpianto per le rovine che ci circondano, ma, nel passare da questo all'argomento di cui desidero parlarvi, temevo di apparire ‘falso', di inzuccherare con un preambolo patetico una pillola propagandistica. E questa parola temo come un'offesa immeritata: non si tratta di propaganda ma di un esame che vorrei fare con voi. […]

Al di là di ogni retorica, constatiamo come la cosa pubblica sia noi stessi, la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro mondo, insomma, che ogni sia sciagura, è sciagura nostra, come ora soffriamo per l'estrema miseria in cui il nostro paese è caduto: se lo avessimo sempre tenuto presente, come sarebbe successo questo? L'egoismo - ci dispiace sentire questa parola - è come una doccia fredda, vero? […]

L'egoismo, dicevamo, l'interesse, ha tanta parte in quello che facciamo: tante volte si confonde con l'ideale. Ma diventa dannoso, condannabile, maledetto, proprio quando è cieco, inintelligente. Soprattutto quando è celato. E, se ragioniamo, il nostro interesse e quello della ‘cosa pubblica', insomma, finiscono per coincidere. Appunto per questo dobbiamo curarla direttamente, personalmente, come il nostro lavoro più delicato e importante. 

Perché da questo dipendono tutti gli altri, le condizioni di tutti gli altri Se non ci appassionassimo a questo, se noi non lo trattiamo a fondo, specialmente oggi,quella ripresa che speriamo, a cui tenacemente ci attacchiamo, sarà impossibile. Per questo dobbiamo prepararci. Può anche bastare, sapete, che con calma, cominciamo a guardare in noi e ad esprimere desideri. Come vorremmo vivere, domani? No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. 

Pensate che tutto è successo perché non ne avute più voluto sapere!

Ricordate, siete uomini e avete il dovere, se il vostro istinto non vi spinge ad esercitare il diritto, di badare ai vostri interessi, di badare a quelli dei vostri figli, dei vostri cari. Avete mai pensato che nei prossimi mesi si deciderà il destino del nostro Paese, di noi stessi: quale peso decisivo avrà la vostra volontà se sapremo farla valere: che nostra sarà la responsabilità , se andremo incontro a un pericolo negativo?

Bisognerà fare molto. Provate a chiedervi un giorno, quale stato, per l'idea che avete voi stessi della vera vita, vi pare ben ordinato: per questo informatevi a giudizi obbiettivi. Se credete nella libertà democratica, in cui nei limiti della costituzione, voi stessi potreste indirizzare la cosa pubblica, oppure aspettate una nuova concezione, più egualitaria della vita e della proprietà. 

E se accettate la prima soluzione, desiderate che la facoltà di eleggere, per esempio, sia di tutti, in modo che il corpo eletto sia espressione diretta e genuina del nostro Paese, o restringerla ai più preparati oggi, per giungere ad un progressivo allargamento? Questo ed altro dovete chiedervi. Dovete convincervi, e prepararvi a convincere, non a sopraffare gli altri, ma neppure a rinunciare.

Oggi bisogna combattere contro l'oppressore. Questo è il primo dovere per noi tutti. Ma è bene prepararsi a risolvere quei problemi in modo duraturo, e che eviti il risorgere di essi e il ripetersi di tutto quanto si è abbattuto su noi. Termino questa lunga lettera un po' confusa, lo so, ma spontanea, scusandomi ed augurandoci buon lavoro”.

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Ci stiamo provando,  caro Giacomo e Dio solo sa quanto sia difficile e doloroso farlo mentre, nell'autunno della democrazia,  siamo costretti a percorrere il sentiero nascosto che si snoda tra le foglie che declinano con mille colorate sfumature e nell'odore pungente del sottobosco marcio su cui esse vanno a morire.



2018, Giovanni Floris intervista il filosofo Dario Antiseri, 
tra i massimi interpreti  in Italia del pensiero di Karl Popper



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(*) Giornalista e Saggista. Presidente PRUA.

https://www.associazioneprua.it/socio-luigi-sanlorenzo/

 



24 aprile, 2022

Tempo di elezioni. Come sprecare una grande conquista di libertà


Immagine dal sito "La Repubblica"

 Un diritto pagato con il sacrificio o un  rito vuoto che si ripete ?

di Angelo Scuzzarella (*)


Pensavo una cosa e mi sono detto: “Parliamone”.

A Palermo fra poco ci saranno le elezioni per eleggere il nuovo sindaco e ovunque guardo mi sembra di vedere candidati. L’ultima volta hanno votato la metà delle persone rispetto a quelle che avrebbero potuto farlo.  

Perchè? 

Perché è un’innegabile opinione comune che votare non serve, che i candidati sono tutti uguali, sono scarsi e che comunque i politici non sono degni della nostra fiducia.

Ok, queste opinioni credo che siano abbastanza condivisibili e quindi ci vado al contrario, perché l’altra metà vota? Come fa, chi vince a farsi votare? Cioè, come fa chi vince a farsi attribuire competenza e fiducia?

Ricordiamo due cose.

La fiducia è quella sensazione che proviamo quando crediamo che il nostro comportamento determina nell’altro altrettanti comportamenti che soddisfano le nostre aspettative precedentemente dichiarate. Cioè,  io faccio una cosa perché così poi tu farai quello che hai promesso.

Io ti voto perché credo che poi tu farai quello che hai detto che avresti fatto.

E qui c’è la prima criticità: Che tipo di fiducia ti attribuisco? Penso che poi fai qualcosa per me o penso che puoi fare qualcosa per tutti, per la società e quindi pure per me?

Negli ultimi anni, molte persone avevano rinnovato la loro fiducia nella politica ma adesso sembra che anche gli ultimi slanci siano di nuovo compromessi. In ogni caso ci sono persone che votano perché credono nella visione e nelle prospettive organizzative proposte e ci sono persone che votano per interessi personali. 

Cioè se io ti voto poi tu farai qualcosa per me: “u puostu i travagghiu mu truovi?”

Oltre all’attribuzione di fiducia, resta comunque necessaria l’attribuzione di competenza: se ci si fida di qualcuno, contestualmente bisogna credere che quel qualcuno le cose le sappia fare e sia messo nelle condizioni di poterle fare.

Che tipo di competenza è necessario attribuire ai candidati per essere votati? Dipende. 

Se le aspettative sono semplici, gli attribuiamo competenze semplici, se le aspettative sono complesse gli attribuiamo competenze complesse. 

Se voglio un lavoro e il candidato mi dice che se vince mi fa assumere nell’azienda di suo cugino, allora la competenza attribuita non credo sia così complessa, al massimo deve essere un buon bugiardo o un buon cugino. Se penso invece che il candidato debba risolvere il cambiamento climatico globale o anni di malaffare e mala organizzazione, allora le aspettative non solo sono complesse ma anche deliranti sia da parte mia che ci credo sia da parte sua, soprattutto se è candidato al consiglio comunale dell’isola che non c’è.

Quindi, in che modo si esprime la competenza del candidato? E quando questa competenza può essere davvero utile?

Ora è necessaria un po’ di attenzione in più e forse tutto quello che ci siamo raccontati finora non serve così tanto, soprattutto in fase di selezione.

Ti sei mai candidato per un lavoro? Alla fine è quello che cerca un candidato, poter esprimere alcuni comportamenti in cambio di una retribuzione: sta cercando un lavoro.

Su quale competenza quindi fa leva un candidato politico? Per farsi scegliere dalla lista e per farsi scegliere da te?

Seguimi, è importante perché potrebbe essere il motivo per il quale votiamo male, scegliamo le persone sbagliate e soprattutto permettiamo alle persone sbagliate di poterci rappresentare, esattamente come un datore di lavoro qualsiasi in fase di selezione del personale sceglie i lavoratori sbagliati.

In psicologia del lavoro, intendiamo come competenza la capacità delle persone di ottimizzare risorse specifiche per raggiungere obiettivi specifici in contesti specifici.

Ripeto: ottimizzare risorse specifiche per raggiungere obiettivi specifici in contesti specifici.

La competenza quindi non è saper fare cose, quella è l’abilità, altrimenti magari non avremmo due parole. La competenza non è saper fare cose, ma saper mettere insieme cose per fare cose e queste cose che si mettono insieme sono le risorse.

Più la competenza da esprimere è complessa,  più le risorse devono essere diversificate e complete.

Per semplificare, se volessi  fare il fotomodello, la risorsa più importante sulla quale dovrei puntare, qual è? Il mio corpo. Un corpo dall’aspetto gradevole e in forma non basterebbe ma sicuramente rappresenterebbe la risorsa principale.

Se volessi fare il professore, su cosa dovrei puntare? Sulla mia mente, sulla mie conoscenze  dentro la mia testa. Stai cominciando a capire? Le risorse possono essere di un sacco di tipi.

Ci sono le risorse strumentali, perché per fare il falegname servono sicuramente gli attrezzi e le risorse economiche, i risparmi che servono all’imprenditore per cominciare la propria attività imprenditoriale.

Le risorse strutturali ad esempio non sono trascurabili per tutte quelle competenze che si esprimono attraverso la gestione di spazi destinati al servizio, primi fra tutti albergatori e ristoratori.

E quindi? Secondo te, quale risorsa preliminare deve possedere uno che vuole fare il politico? Una bella presenza? Aiuta. Un buon titolo di studio? Magari ma spesso i titoli di studio non sono pervenuti. 

Deve conoscere le leggi? Nemmeno. Sarebbe auspicabile che il candidato padroneggi le risorse normative perché con quelle si confronterà durante il suo mandato ma spesso non saranno il suo forte.

Sicuramente deve avere un po’ di soldi da investire per la campagna elettorale ma non è ancora questo.

Ognuno di noi per fare bene quello che deve fare, deve avere almeno un po’ di tutte le risorse.

Se volessi fare il cameriere, il ristorante lo mette il proprietario e i piatti pure, ma una camicia molto probabilmente sarò costretto a comprarla.

Te lo dico. Le risorse che in fase di selezione ottimizza il candidato sono le risorse sociali, le persone, il candidato perfetto deve conoscere persone e da queste essere creduto e considerato degno di fiducia. Per questo quando ti candidi ti dicono:“ma tu quanti voti porti”?

Perché alla fine,  le liste scelgono così. Cercano di far candidare con loro i candidati facilmente eleggibili grazie alla loro popolarità e alle loro relazioni pregresse.

La competenza tecnica o professionale in fase di selezione non è importante.

Conosci altri lavori che prendono in considerazione competenze diverse in fase di selezione ed in fase esecutiva? Cioè quello che mi serve quando devo essere scelto e quello che mi serve quando devo lavorare?

Mi piacerebbe credere che queste considerazioni possano essere utili nel processo decisionale che in ognuno di noi determina la scelta di voto, ma così non è e non sarà, nemmeno se questo contributo dovesse avere la massima diffusione.

Non è difficile avere questo tipo di consapevolezza ma raramente i comportamenti cambiano quando sappiamo come dovremmo comportarci. Un esempio su tutti è il comportamento alimentare.

Cambiare il comportamento di voto e di conseguenza la selezione della popolazione candidata è un atto complesso che dovrebbe far convergere cambiamenti multilivello e multisettoriali che richiederebbero approfondimenti considerevoli.

Ad esempio?

Ad esempio:

-          requisiti preliminari per la propria candidatura ad esempio introducendo parametri relativi alla propria formazione;

-          modifica dei regolamenti sulle liste ed i relativi premi di maggioranza con passaggi post elezioni da un orientamento all’altro;

-          ancoraggio dell’elezione a obiettivi di prestazione e risultato;

-          ridefinizione delle responsabilità;

-         

E altri mille. Per proporre questi cambiamenti cosa occorre? Essere eletti ai piani alti. Ma chi vince con le regole sbagliate, perché dovrebbe proporre regole nuove?

 

 
Dal canale YouTube: "Psicologia senza poesia"



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(*) Psicologo, psicoterapeuta. Progettista sociale.Socio PRUA.

https://www.associazioneprua.it/socio-angelo-scuzzarella/

 

 

 

16 aprile, 2022

Pasqua: un trauma che ci interroga e rinnova

 


Perché abbiamo bisogno di risorgere

di Luigi Sanlorenzo (*)

 “Per quanto gli uomini, ammucchiati in uno stretto spazio a centinaia di migliaia, cercassero di isterilire quella terra sulla quale si stringevano; per quanto coprissero quella terra di pietre affinchè nulla più ci crescesse; per quanto estirpassero ogni stelo di erba che vi germogliava; per quanto appestassero l’aria col carbon fossile ed il petrolio; per quanto tagliassero le piante e cacciassero tutti gli animali e tutti gli uccelli; pur tuttavia la primavera era la primavera, anche in città. Il sole riscaldava, l’erba spuntava, cresceva e verdeggiava dovunque non la strappavano, e non solo sulle zolle dei giardini pubblici, ma anche fra i ciottoli delle vie; e le betulle, i pioppi, i viscioli allargavano i loro rami e le loro foglie odorose, ed i tigli gonfiavano le loro gemme pronte a sbocciare; i corvi, i passeri ed i colombi preparavano allegramente i loro nidi, e le mosche ronzavano vicino ai muri delle case, riscaldati dal sole. Ed erano allegri gli uccelli, gl’insetti, e le piante, ed i bimbi. Ma gli uomini – gli uomini adulti – non cessavano dall’ingannare e dal tormentare se stessi e gli altri. Gli uomini consideravano per savia ed importante non quella mattinata primaverile, non quella bellezza del mondo di Dio, data per il bene di tutti gli esseri, quella bellezza che predisponeva alla pace, all’accordo, all’amore; ma invece solo sacro ed importante ciò che essi stessi avevano inventato per dominare gli uni sugli altri.”

Così Lev Nikolàevič Tolstoj nel celebre incipit di "Resurrezione" l’ultimo grande romanzo, scritto a Jasnaja Poljana tra il 1889 e il 1899. Ne riporto la trama, come mi sono impegnato a fare con i miei lettori, quale ultimo degli articoli sulla grande letteratura in lingua russa pubblicati a mia firma nei mesi scorsi ed elencati nelle note a piè di pagina.



Un giovane ufficiale rispettato, il principe Nechljudov, ritorna per un po' di tempo alla vita civile nella ricca provincia natale, nei pressi di Niznij Novgorod. Egli conduce una vita piacevole tutta dedita alle riunioni sociali con le sue variegate conoscenze; è imminente d'altronde il suo matrimonio, organizzato con una giovane di nobili natali, e con serenità pensa al brillante futuro che gli spetta facendo la carriera militare.

Proprio durante il suo soggiorno cittadino viene chiamato dal tribunale ad esercitare il proprio dovere facendo parte di una giuria popolare; ma quello che doveva passare come un semplice impegno civico, prende improvvisamente per il principe una piega del tutto inaspettata. Chiamato a decidere come membro della giuria della condanna di una prostituta, riconosce in lei la ragazza che aveva sedotto molti anni prima e poi abbandonata; dovette difatti andarsene dalla casa di Nechljudov dove lavorava come cameriera al fine di soddisfare le esigenze del loro bambino. Per poter sopravvivere diventa prostituta.

Dopo aver assistito alla sua ingiusta condanna, è stata difatti accusata di omicidio premeditato, tra magistrati ridicoli e avvocati giovani ed inesperti matura in lui  la volontà di salvarla e di sposarla.

Katjuša pare però rifiutare la proposta e le attenzioni del principe, il quale, divorato dal rimorso, decide di seguirla comunque ai lavori forzati in Siberia dove è stata deportata con l'immutato proposito di redimerla; compirà ogni sforzo per riscattare la propria colpa e riunirsi a lei. Egli assisterà infine alla "resurrezione" della ragazza, ma in maniera alquanto differente da come si proponeva; ella infatti rifiuterà di sposarlo, forse per l'amore d'un compagno di prigionia, forse perché non vuole che lui si rovini, e quindi per amor suo; comunque, come scelta di persona libera.

Il giovane uomo dovrà infine aprire gli occhi alla miseria spirituale del mondo e superare l'atroce delusione nei confronti della giustizia umana; ciò si risolverà non nella società del mondo, ma nella fede. La "resurrezione" di Nechljudov passa attraverso la riunione con Cristo: leggendo, una notte, il brano del Discorso della montagna trova egli stesso, attraverso il Vangelo, la via della redenzione e un nuovo indirizzo da dare alla propria vita.

Nel 1965 dal romanzo fu tratto un indimenticabile sceneggiato televisivo della RAI in sei puntate con Alberto Lupo, Valeria Moriconi, Sergio Tofano, Andrea Checchi e la regia di Franco Enriquez. 



Fu un grande successo e, grazie alla televisione in bianco e nero di allora, la maggior parte degli italiani, ancora afflitta da un consistente tasso di analfabetismo,  scoprì un mondo, fino ad allora sconosciuto o distorto dalla propaganda della Guerra Fredda e dalle sue propaggini nel nostro Paese. Altri tempi, altra RAI, altra responsabilità pedagogica del Servizio Pubblico !

Ricordo ancora il momento in cui lessi per la prima volta quelle pagine il cui odore è rimasto impresso nella parte più profonda di me stesso. Avevo 12 anni, forse non era la lettura più adatta per quell’età, ma fu il primo incontro con i temi della necessità interiore del riscatto morale e dell’ imperativo etico della giustizia sociale. Fu il primo passo di un’educazione sentimentale che si sarebbe sviluppata lungo l’intero corso della mia vitaNon vi è stata Pasqua, da allora, in cui al termine “resurrezione” io non abbia associato quell’antica esperienza sensoriale ed intellettuale.

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Perché avvertiamo periodicamente il bisogno di risorgere ? Probabilmente tale necessità è legata alla natura stessa degli esseri viventi che, in realtà, muoiono e rinascono costantemente attraverso il quotidiano ricambio cellulare che connota l’esistenza fisica per l’intera durata della vita codificata nel  DNA. Tuttavia,  mentre di questa dinamica cellulare non ci rendiamo pienamente conto, è sul piano culturale che il bisogno di rinascere esprime il massimo effetto.

Gli individui cambiano, a volte repentinamente, compiendo scelte inaspettate che sovente destano lo stupore di quanti li circondano; le società si trasformano e, seppur più lentamente, archiviano paradigmi e sistemi valoriali, sino a rendersi irriconoscibili nel volgere di pochi decenni; i popoli avvertono pulsioni inarrestabili di nuovi destini e si mettono in cammino verso terre promesse che variano secondo le epoche, fondando nuovi mondi o rigenerando quelli esistenti.

Ciascuna di queste azioni singole o collettive coincide con il grande rito del Passaggio, presente in tutte le religioni e nelle principali filosofie elaborate nei secoli; un “dies a quo” dopo il quale nulla è più come prima,  anche se il cammino è appena iniziato e la meta non è  certa né chiara. Ed è forse questo che conferisce ad ogni passaggio, il fascino dell’ignoto che prevale sulle certezze che si vogliono mettere in discussione, prima che ci soffochino ma al tempo stesso ci trova, come ogni trauma individuale e collettivo,  impreparati nel corpo o nello spirito.

E’ passaggio quello di Enea che si lascia alle spalle la patria ormai in fiamme e si incammina sulla strada dell’incertezza, portando nei lombi il seme di un impero, ma lo è anche quello di Ulisse che, tornato all’amata Itaca dopo vent’anni, avverte l’insopprimibile bisogno di varcare le colonne d’Ercole e di realizzare il sogno che ogni uomo ha di cercare incessantemente la radice di se stesso, superandosi. Sono passaggi il gesto di Martin Lutero che sfida la corruzione di una  Chiesa ostinata in un medio evo già finito, quello di Giordano Bruno che annuncia l’Universo fisico di cui siamo solo una parte infinitesima e quello di Francesco che si spoglia di ogni bene ed abbraccia il lebbroso. In ciascuno di questi passaggi c’è il conflitto con ciò che non si può più accettare e con l’ipocrisia di chi teme di lasciare “la comoda schiavitù d’Egitto”.

Sono "passaggi" l’Esodo biblico, l’Anabasi narrata da Senofonte che riscatta i Greci dall’esperienza mercenaria al soldo dei persiani, la durissima traversata atlantica dei Padri Pellegrini a bordo del Mayflower verso la libertà dall’intolleranza, la lunga marcia di Mao, l’esperienza tragica della Resistenza al nazifascismo, le grandi migrazioni di ieri e di oggi, la pandemia che ha sconvolto le esistenze individuali  e l'equilibrio, pur precario, del mondo intero.

E' passaggio il tempo di guerra che stiamo vivendo e che ci costringe a confrontarci con temi, fatti e sentimenti che pensavano confinati nel passato della Storia; stiamo assistendo ad eventi che riguardano singoli individui o interi popoli che si trovano nella necessità di rinascere ad una nuova origine, nell’aspirazione a dare un corso inedito al proprio destino che, comunque,  riguarderà, i vinti, i vincitori e quanti si illudono di essere solo spettatori.

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Durante il passaggio muore, come ci ricorda Paolo di Tarso, l’ uomo vecchio che è in noi e prende forma l’uomo nuovo che elaborerà se stesso proprio nel travaglio della trasformazione, vera e propria nuova nascita. Come quella fisica, anch’essa è originata e connessa al dolore e alla fatica immane di scrollarsi di dosso il passato superfluo, senza rinunciare alla propria identità, unica guida che consente di non smarrire se stessi tra i mille sentieri, spesso divergenti,  col cui volto il cambiamento si presenta.

Il passaggio non è immune da insidie. Lo sanno bene gli adolescenti che durante i riti tribali di iniziazione sono volutamente esposti ad ogni genere di rischio presente nella boscaglia esattamente come quelli che, con minore consapevolezza, devono affrontare i giovani delle società cosiddette  “evolute”. La principale insidia è sempre la tentazione di tornare indietro nella rassicurante condizione di un’impossibile replica dell’infanzia fisica o sociale. Persino il Cristo nell’Orto degli Ulivi implora il Padre di “allontanare il calice amaro” pur sapendo che, oltre l’umana – fin troppo umana – paura del dolore,  solo in quel calice c’è la Resurrezione.

Né minore è l’insidia di lasciare che altri guidino il passaggio, trasformando un individuo in un gregario impaurito dalla responsabilità e un popolo in un gregge terrorizzato dal mondo che cambia. L’unica possibile resurrezione è dentro noi stessi in quella solitudine amara che è la sola garanzia di libertà delle scelte che sappiamo essere necessarie per riscattare noi stessi. 

E’ solo conquistando in solitudine tale libertà che possiamo condividere il cammino con individui altrettanto liberi e con essi fondare Nuove Città, senza la presunzione di renderle ideali ed eterne, cioè, ancora una volta, di frenarne ulteriori e necessarie successive resurrezioni.

Carl Gustav Jung, padre della psicologia analitica che per la prima volta definì i concetti di inconscio collettivo e di inconscio individuale,  così scriveva nel 1911:

 "La rinascita, nelle sue varie forme di reincarnazione, resurrezione e trasformazione è una necessità che deve essere contata tra le prime affermazioni dell'uomo.”

Abbiamo bisogno di risorgere per non sopprimere il futuro, abbiamo bisogno di “passare” per non restare intrappolati in noi stessi, abbiamo bisogno di morire a qualcosa o a qualcuno per continuare a vivere in attesa del passaggio definitivo che ci restituirà al quel Tutto da cui proveniamo e di cui nutriamo una dolce e profonda nostalgia.

Buona Pasqua di Resurrezione !



Massimo Recalcati,  Il trauma, Connessioni, 2020


Note:

https://nuoviapprodipress.blogspot.com/2022/03/conoscere-lanima-russa-il-maestro-e.html

https://nuoviapprodipress.blogspot.com/2022/03/dialoghi-infernali-di-ieri-e-di-oggi.html

https://nuoviapprodipress.blogspot.com/2022/03/vera-e-falsa-liberta-il-potente.html

https://nuoviapprodipress.blogspot.com/2022/02/ucraina-altre-narrazioni.html


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(*) Giornalista e saggista. Presidente PRUA.

https://www.associazioneprua.it/socio-luigi-sanlorenzo/

 

 

 

 

 

 

10 aprile, 2022

Eleggere un sindaco. Scegliere un destino.


Immagine dal sito del periodico La vita del popolo

Elezione diretta: una magnifica occasione da non sprecare

di Luigi Sanlorenzo (*)


Si resta molto perplessi in questi giorni nel constatare che dopo ormai anni di insoddisfazione dei cittadini palermitani in merito alla condizione generale della Città su molteplici versanti e nella fase in cui ci si dovrebbe preparare a costruire le basi del prossimo decennio, il dibattito si accenda più sugli schieramenti politici, tutt'altro che compatti, che sulla figura e sulle competenze del candidato sindaco, fino a prova contraria oggetto di elezione diretta quale persona fisica che propone un proprio programma dettagliato su cui convergono successivamente liste civiche o di partito che lo supporteranno nel quinquennio.

Tralasciando la sovrapposizione con le elezioni regionali del prossimo autunno che sta viziando ulteriormente il dibattito, ci sarebbe da aspettarsi che il confronto avvenisse tra profili di competenza/esperienze amministrative e di capacità gestionali delle (poche) risorse, almeno paragonabili.

Chi scrive ha verificato il CV pubblico di alcuni candidati e candidate finora aspiranti a tale carica. In alcuni casi ha trovato "carriere" nei partiti o nelle assemblee legislative, in altri, pur benemerite posizioni apicali all'interno di "piccole " e specifiche istituzioni pubbliche, in altri ancora, infine, libere professioni di settore, elementi questi ultimi degni di riconoscimenti ed onorificenze della Repubblica ma, sia detto sommessamente, non abbastanza adeguati a governare una metropoli del terzo millennio poichè tale è la Città Metropolitana di Palermo.

Ora, per quanto un sindaco sia certamente anche una figura politica, egli è anche capo dell'amministrazione, sceglie i dirigenti degli Uffici e i presidenti delle Aziende partecipate, rappresenta la città in Italia e all'estero, è titolare di significative relazioni personali che spende a favore dell' Ente che amministra.

Dunque, nella stessa persona convivono il leader e il manager, si ha la sintesi tra visione e missione, si realizza la coerenza tra obiettivi strategici e strumenti normativi da porre in essere. Una visione "pedagogica" a 360 gradi di cui ho scritto pochi giorni fa https://nuoviapprodipress.blogspot.com/2022/04/palermo-verso-le-elezioni-amministrative.html

Per tale ragione, la legge assicura un "premio di maggioranza" - in caso di risultato vincente- alle liste che lo appoggiano e che abbiano superato la soglia del 5% , al fine di non rendere il sindaco "un'anatra zoppa" condizionato cioè da un Consiglio Comunale che, travalicando la legittima funzione di pianificazione e controllo, ne paralizzi o stravolga il programma, vanificando così il suffragio della maggioranza degli elettori.

Se nei piccoli centri, pertanto, è sufficiente la fiducia nel farmacista, nel postino o nella brava persona nota per essersi spesa nell'ambito sociale, nelle città complesse affidarsi ad esperti "solo" di politica è una scommessa molto pericolosa e alla fine dà ai partiti e non al sindaco la guida della Comunità, con i risultati che conosciamo. E' ciò è tanto più importante oggi quando le ideologie, come elementi che ispirano un programma, si sono di fatto assottigliate e trovano un valore residuale solo nelle elezioni politiche.

Quando si sente evocare per Palermo il "modello Draghi" per il quale chi scrive rivendica di essersi adoperato quasi quotidianamente nel corso di due lunghi anni sulla pagine de Linkiesta https://www.linkiesta.it/author/luigi-sanlorenzo/di fronte allo sfacelo dei primi due governi della XVIII Legislatura, si resta veramente disorientati poichè è invece l'indicatore più evidente dell'incapacità della politica di generare un governo e perfino di eleggere un Presidente della Repubblica.

Quindi esso non è un "modello" ma una scialuppa di salvataggio in precario galleggiamento per assicurare un minimo di stabilità al Paese in crisi economica, sociale e sanitaria, garantire le riforme a cui sono condizionati gli aiuti europei e portarlo infine alle prossime elezioni. Indicarlo come soluzione per Palermo è non solo di malaugurio ma anche un insulto ai tanti bisogni dei cittadini in cerca di soluzioni strutturali e durature.

Ai problemi delle città le risposte sono generalmente sempre le medesime: funzionamento della macchina amministrativa, decentramento, mobilità, servizi pubblici, sicurezza/legalità, promozione del territorio a fini economici e turistici e, ormai da alcuni anni, le politiche di accoglienza, di mediazione culturale e di integrazione.

Domande a cui in Europa le risposte sono date sul piano gestionale prima che politico "strictu sensu " affidando le grandi città anche a sindaci molto giovani ma provenienti dall' ENA, dall'INSEAD, dalla London School of Economics, dallo IESE di Barcellona o - in Italia - dalla Bocconi come nel caso del sindaco di Milano o docenti della Sapienza come per il sindaco di Roma o ex rettori e ministri come nel caso di Napoli, o accademici come Stefano Lo Russo a Torino, per la cui esperienza il settore privato pagherebbe qualsiasi stipendio.

Palermo è la quinta città: cosa l' aspetta ? Se poi la situazione finanziaria è drammatica per ragioni antiche e recenti, la soluzione non può essere sempre quella del "cappello in mano" o dei viaggi della speranza del sindaco a Roma magari confidando, non sempre con successo, in un "governo amico".

Il "patto" dunque , quello vero, consiste allora nella trasparenza dell'analisi offerta ai cittadini e e delle scelte conseguenti, nella consapevolezza dei sacrifici necessari ad arginare il disastro ed a voltare pagina "whatever it takes" .

Palermo non sarà mai Milano o Verona, nè Napoli o Bari e non potrà mai saturare la domanda di lavoro qualificato portata dalla maggior parte dei nostri giovani altamente scolarizzati, nonostante l'Università si affanni ad assicurare inediti collegamenti con il mondo del lavoro che, peraltro, in facoltà quali Ingegneria o Fisica ci sono sempre stati in Italia, in Europa e oltre. Nè trovano consistenti prospettive soluzioni più o meno durature di south working che consentirebbero un cospicuo rientro di lavoratori fuori sede, ma non certo l'attivazione di nuova occupazione.

Palermo dovrà piuttosto guardare al Mediterraneo per ri-trovare il suo ruolo di guida, di formazione, di porta dell'Europa dei diritti, viceversa resterà una città turistica come Il Cairo o l'antica Baghdad, piene di fascino ma del tutto marginali e tenute in nessuna considerazione da parte degli investitori privati, gli unici che, non se ne dispiacciano gli ultimi keynesiani, sono in grado di cambiare il volto e il destino di un territorio a patto che il medesimo sia ben governato in nome di valori non negoziabili quali, tra gli altri, la trasparenza e la tutela dell'ambiente.

In conclusione, una città ben gestita secondo il paradigma delle competenze è in grado di ottimizzare le risorse interne e quelle provenienti dal PNRR in modo tale da metterle a fattor comune, di scoprire giacimenti insospettabili di opportunità lavorative e di trarre vantaggio persino dai rifiuti.

Elementi questi che richiedono figure apicali all'altezza del compito e il cui vero risultato misureremo dallo scarto tra i voti al primo cittadino e quello delle liste, un indicatore che, ove ce fosse bisogno, è la conferma della validità dell'elezione diretta del Sindaco che, comunque la si pensi, va sempre considerata in ogni caso eminentemente civica, prima, durante e dopo l'ora di chiusura delle urne.


Greta Nasi, SDA Bocconi Il futuro è una metropoli da governare



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Giornalista e Saggista. Presidente PRUA