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Il lucido delirio di Ivan Karamazov sulla natura degli uomini e del potere
a cura di Luigi Sanlorenzo (*)
Dopo l’annullamento, come denunciato da Paolo Nori e poi la retromarcia dell’Università di Milano Bicocca del suo corso su Dostoevskij, il sindaco di Firenze Dario Nardella ha scritto su Twitter di aver avuto la proposta di buttare giù la statua del grande scrittore a Firenze: «Mi hanno chiesto di buttare giù la statua di Dostoevskij a Firenze. Non facciamo confusione. Questa è la folle guerra di un dittatore e del suo governo, non di un popolo contro un altro. Invece di cancellare secoli di cultura russa, pensiamo a fermare in fretta Putin».
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“Il Grande Inquisitore” è un capitolo del romanzo "I fratelli Karamazov" pubblicato nel 1879 dallo scrittore russo Fedor Michajlovich Dostoevvskij, oggetto di grandi polemiche strumentali nel segno della cancel culture in questi giorni travagliati del conflitto russo - ucraino.
Ivàn Karamàzov espone al fratello Aleksej un racconto allegorico di sua invenzione, ambientato in Spagna ai tempi della Santa Inquisizione.
Dopo quindici secoli dalla morte, Cristo fa ritorno sulla terra. Non viene mai menzionato per nome, ma sempre chiamato indirettamente. Pur comparendo furtivamente, viene misteriosamente riconosciuto da tutti, il popolo lo riconosce e lo acclama come salvatore, tuttavia egli viene subito incarcerato per ordine del Grande Inquisitore, proprio mentre ha appena realizzato la resurrezione di una bambina di sette anni, nella bara bianca ancora aperta, pronunziando le sue uniche parole di tutta la narrazione: "Talitha kumi".
Il Grande Inquisitore spiega a Cristo come sia necessaria un'autorità forte, quella da lui rappresentata, che dia al popolo più debole i veri bisogni materiali e richieda loro obbedienza, ingannandoli nel nome di Cristo.
Cristo ha rifiutato l'invito di Satana a cambiare le pietre in pane rispondendogli che l'uomo non vive di solo pane. Ma le moltitudini affamate di beni da consumare non vorranno invece vivere soltanto per ciò che hanno o esigono di avere, piuttosto che per la dignità spirituale che contrassegna la loro natura nel mondo delle pietre, delle piante e degli animali? L'uomo diventa così schiavo di ciò che possiede o di ciò che vuol possedere.
il Grande Inquisitore, facendosi portavoce del diavolo, rinfaccia al Santo la sua ingenuità, riassumendo «…tutto ciò che l'uomo cerca sulla terra, e cioè: a chi inchinarsi, a chi affidare la propria coscienza e in qual modo, infine, unirsi tutti in un formicaio indiscutibilmente comune e concorde, giacché il bisogno di unione universale è il terzo e l'ultimo tormento degli uomini.
L'Inquisitore conclude il suo discorso comunicando al condannato che non lo teme, che la sua esecuzione avverrà l'indomani e che il popolo ne gioirà. Cristo rimane sempre in silenzio, e come unica risposta si avvicina al vecchio Inquisitore e lo bacia sulle sue vecchie labbra esangui.
«Il vecchio sussulta. Gli angoli delle sue labbra hanno come un tremito; va verso la porta, l'apre e gli dice: "Vattene e non venire più... mai più, mai più!" E lo lascia andare per le oscure vie della città» |
L'Inquisitore è turbato, eppure Ivàn commenta: "...quel bacio gli brucia nel cuore, ma il vecchio non muta la sua idea".
Il racconto presenta consistenti analogie con il monologo di Al Pacino sul libero arbitrio, nel film "L'avvocato del Diavolo" (The Devil's Advocate) opera drammatica e thriller del 1997 diretta da Taylor Hackford e interpretata da Keanu Reeves, basata sull'omonimo romanzo dello scrittore statunitense Andrew Neiderman.
Per l'ascolto del brano che segue è consigliata la necessaria concentrazione.
(*) Giornalista e saggista. Presidente PRUA
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