27 marzo, 2022

Elezioni a Palermo, quali prospettive di cambiamento ?


Dal film Polvere di stelle, regia di Alberto Sordi, Italia, 1973

Scene da un vaudeville di provincia

di Luigi Sanlorenzo (*)

Il balletto dei candidati a Sindaco di Palermo rischia di essere rappresentato su un palco traballante come un variopinto vaudeville affollato da numerosi aspiranti che si disputeranno la già ridotta partecipazione al voto,  mentre non risultano ad oggi circostanziati programmi per il rilancio della Città la cui nuova fase comincerà comunque con il gravame di ulteriori tasse locali derivanti dal Piano di Assestamento.

Un atto importantissimo - peraltro ancora non completamente approvato - e che, comunque,  dovrà  passare al vaglio dell’attuale Consiglio Comunale,  tra il timore dei suoi componenti di doverne rispondere ai cittadini, insieme a molto altro, durante la campagna elettorale. L’alternativa, com’è noto, è la dichiarazione di dissesto della Città.

Contestualmente, in modo  più drammatico che nel resto del Paese, Palermo vive la più profonda crisi della propria storia civile. Deprivata di ogni risorsa economica, di ogni speranza in un nuovo rilancio nel quadro dell'Autonomia Siciliana e tagliata fuori dalle grandi scelte infrastrutturali,  appare incapace di evolvere verso una dimensione metropolitana ed è  isolata nel contesto nazionale ed europeo. Quella che fu una città simbolo del massimo bene e del massimo male, langue oggi alla ricerca di soluzioni che configurino un'identità nuova fuori dai luoghi comuni e dagli stereotipi di ieri e di oggi.

Nel prologo dello Statuto,  Palermo si definisce "antica capitale del Mediterraneo" e “Città di città” ma oggi è solo un’ entità satellite e periferica della Regione, sicuramente seconda per vitalità a Catania, l’eterna rivale.

La crescente disoccupazione giovanile, l'emigrazione dei giovani più promettenti, il fallimento dei servizi pubblici essenziali,  il degrado delle periferie e ora anche del Centro Storico – da cui molti residenti fuggono dopo l’iniziale entusiasmo con conseguenti investimenti -  e dei quartieri residenziali, costellati di cartelli che ne mettono in vendita a prezzi stracciati  molti appartamenti prestigiosi, la Città si presenta priva di qualsiasi visione del proprio futuro.

In presenza di un modello di sviluppo in parte coerente con la propria vocazione storico culturale ma dal respiro corto e che finora si è negato all’innovazione, fioriscono progetti ambiziosi, intriganti anche,  ma scollegati da una visione complessiva che punti a rivitalizzare le poche risorse ancora rimaste. L'ipertrofia della burocrazia locale, unitamente al buon livello delle pensioni pubbliche e all'indubbio contributo dell'economia sommersa, quando non direttamente criminale, ne sostengono ancora i consumi e permettono che le residue  prestigiose vetrine di via Libertà siano ancora aperte insieme a gioiellerie ed a concessionarie di marchi automobilistici da sogno.

I superstiti dei numerosi pub, retaggio di una strategia di breve respiro volta a trasformare il Centro Storico nel motore dello sviluppo economico della Città,  finite le restrizioni dovute alla pandemia, torneranno ad essere affollati di giovani e meno giovani che vi spendono ( sempre meno) striminzite remunerazioni da precari,  sottratte ad ogni risparmio per l'incerto futuro o a possibili micro investimenti di auto-imprenditorialità a cui fantasmagoriche iniziative regionali non hanno dato altro che deludenti risposte.

Analoga la sorte delle centinaia di Bed & Breakfast, forse presenti in quantità maggiori che a Tampa o a Tallahassee in Florida,  sorti senza alcuna programmazione ( e controllo)  e piegati prima dalla pandemia e ora dalle difficili conseguenze della guerra in Ucraina in termini di costi energetici e di ridotta mobilità internazionale.

I palazzi della politica degradano anche fisicamente con arredi mai restaurati, sale spente, atri trasformati in posteggi dei (tanti) dipendenti. Su tutto grava una cappa grigia di pessimismo e di attesa  che neanche le straordinarie belle giornate della primavera riescono ad attenuare. Giovani sempre più scettici continuano a frequentare un' Università che si affanna a rassicurarli, consapevoli che stanno investendo in formazione senza lavoro, migliaia di disoccupati affollano le aule della Formazione professionale attratti più dalla diaria che dall'intento di acquisire professioni da cui trarre un futuro reddito e confortati dal sentimento di solidarietà verso i propri "docenti" che pure devono campare la famiglia.

Gli altri giovani se ne sono già andati da un pezzo e, tra nostalgia di casa e sollievo per essere altrove, sanno bene che fuori da Palermo, comunque vadano le cose, il mondo gira ancora ed è, in ogni caso, più a portata di mano. 

Attardati nei giochi di potere, i partiti aspettano “come si conviene” l'ultimo minuto per presentare candidati e programmi su cui non si avrà mai il tempo di ragionare, di accertar le competenze dei primi e di verificare il potenziale grado di realizzabilità e di successo dei secondi http://focus.formez.it/sites/all/files/formez_le_scuole_europee_di_alta_formazione_per_la_pa_locale.pdf 

Sull'altro versante,  movimenti ed associazioni di indignati disorientati brancolano nel buio progettuale affidandosi ora ad un giovane tribuno, ora ad un'icona del passato civile dal clima ben diverso da quello odierno, ora ad un'attesa messianica che resterà delusa.

I competenti, gli onesti, le brillanti intelligenze che pur ci sono e coloro che hanno idee e progetti grandi ma concreti si tengono ben lontani dall'arena di terz'ordine in cui dovrebbero scendere per confrontarsi con una città che vorrebbe solo tornare ad essere assistita e garantita dalla materna Regione Siciliana come "ai bei tempi" . Essi temono, non a torto, di fare la  fine di consiglieri comunali illustri e riveriti quanto isolati, quali Leonardo Sciascia e Renato Guttuso e, in tempi più recenti, Letizia Battaglia e Antonino Caponnetto.

Dunque,  una Città morente che non riesce a scuotere se stessa da se stessa, incapace di sollecitare le migliori menti che eventualmente fossero rimaste, ad esporsi, oltre ogni appartenenza, per realizzare anche a Palermo quel governo di impegno comune, giustamente tanto apprezzato in questo momento dal Quirinale e dall'Unione Europea.

Una città di cui le cronache quotidiane non cessano di ricordare come, nonostante gli sforzi profusi dalle Forze dell'Ordine,  i fenomeni della corruzione, dello spaccio di stupefacenti,  del pagamento del pizzo e della generale insicurezza in cerca di protezione  gravano ancora come macigni sulla vita concreta non soltanto delle periferie ma anche in ciò che resta nel cuore commerciale della Città.


Dal film Ombre Rosse, regia di John Ford, USA, 1939


A ciò si aggiunga la considerazione che, pro quota, anche a Palermo arriveranno i fondi ed i progetti presentati nell’ambito del Next Generation Eu. Pochi o molti che dovessero essere, a chi si intende consegnarli perché vengano gestiti i primi e realizzati i secondi ? A tardi epigoni di ideologie che il mondo ha cancellato? A fanatici dell’immobilismo travestito da ambientalismo contemplativo ? A praticoni ben introdotti negli uffici pubblici,  pronti a dare l’assalto alla diligenza,  favorendo i propri elettori ? A proconsoli di lontane segreterie romane o lombarde ?

Mentre il tempo trascorre inesorabile e ci viene imputato https://www.lospessore.com/18/04/2021/pereunt-et-imputantur-una-guida-istruttiva-per-i-prossimi-candidati-a-sindaco-di-palermo/ si prefigurano alleanze innaturali concordate in queste ore tra soggetti lontani tra loro in modo siderale per storia, valori e linguaggi,  messe su nella logica del “contro” e non del “per”  di cui conosciamo per antica  esperienza il breve destino e in cui ciascun soggetto politico si crede la mosca cocchiera.

O, ancora, ad una torma di disoccupati e precari in cerca di un sussidio travestito da gettone di presenza (purchè non faccia cumulo con il "reddito di cittadinanza" !)  frammentando come sappiamo il voto di centinaia di famiglie che non se la sentiranno di negare il proprio tratto di matita copiativa  al cugino o al nipote, cercando così di dare risposta all’atavica domanda “A cu avemo o’ Comune ?”?

Un disastro,  ove si pensi che a tutt’oggi il Consiglio  ha approvato solo nel novembre scorso il Piano triennale delle opere pubbliche e che il nuovo Piano Regolatore  - che conterrebbe anche la soluzione del problema ormai cronico della bare insepolte attraverso la scelta di un nuovo cimitero - peraltro previsto nell’area di Ciaculli dal vigente PRG  - non ha alcuna speranza di essere anche solo  discusso dall’attuale  consiliatura. Molto probabilmente sarà presto consegnato ad un Commissario nominato dal governo regionale che lo approverà, come previsto dall’Ordinamento,  senza alcun confronto democratico con la cittadinanza e come mero atto d’ufficio.

Certo a Palermo, non abbiamo alcun Draghi (ma ne siamo poi così sicuri ?) nè a Palazzo d'Orleans alcun Mattarella in grado di investire con la dovuta autorità morale chicchessia ( e di questo siamo sicurissimi !) eppure chi scrive è convinto che un appello ai migliori figli e figlie di questa Città, ovunque dispersi,  non cadrebbe nel vuoto.

Bocconiano o meno, esiste un ceto di professionisti, intellettuali, manager pubblici e privati, imprenditori sani, magistrati e docenti universitari, raffinati musicisti che, mai disposti a scommettersi da soli, prenderebbero in considerazione l'idea di farlo insieme, superando schieramenti che non esistono più, se non nella mente di chi ha convenienza ad evocarne i fantasmi.  A patto però della garanzia di una governance  di elevato profilo interpretata da chi non ha alcun interesse a usare Palermo come scalino verso altre mete politiche o istituzionali e ne consideri il conseguente e oneroso impegno come coronamento della propria vita pubblica.

A queste condizioni,  escano allora allo scoperto, si riconoscano come squadra vincente ed individuino, oltre ogni appartenenza e all’insegna di un alto ed autentico civismo di scopo ,  il più capace tra essi per esperienza e competenza,   per  appoggiarlo, nell’interesse di tutti, svincolando il destino di Palazzo delle Aquile da quello di Palazzo dei Normanni, una perversa commistione che sta già ora mortificando ulteriormente una Città che non merita tale ennesima umiliazione.

Saranno sorpresi della quantità e della qualità che è sommersa o nascosta dietro cattedre prestigiose, responsabilità imprenditoriali, risultati concreti più noti all'estero che in casa. Che si incontrino, si contino e si propongano alla Città esausta, parlando il linguaggio della speranza competente e della definitiva liberazione da fantasmi del passato, amati forse e a lungo desiderati, ma non più in grado di interpretare questa nostra terra martoriata.

Allora l'aquila, che il Marchese di Villabianca nei propri diari sospettava essere piuttosto una fenice, tornerà a volare come il falco di Federico, molto più in alto del periclitante pennuto rosa nero a cui sembra finora rimangano unicamente affidate le incerte speranze di chi non ha il coraggio di guardare lassù dove abitano le idee che cambiano il mondo quaggiù.





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(*) Giornalista e saggista. Presidente PRUA.

https://www.associazioneprua.it/socio-luigi-sanlorenzo/

 

22 marzo, 2022

Crisi energetica ? Chi è causa del suo mal pianga se stesso

 

di Giancarlo Bellina (*)

La guerra in atto in Ucraina, la cui imprevista escalation rischia di minacciare l’intero pianeta e il cui protagonista è uno dei nostri principali fornitori di gas naturale, non poteva non generare,in tempi brevi,effetti collaterali molto seri in un mondo globale e globalizzato.

Tuttavia,occorre anche dire che l’Italia non ha mai avuto una visione a lungo termine sui temi energetici, anzi non ha mai pianificato una politica energetica compiuta che avesse quantomeno due obiettivi strategici: 

 - abbassare il prezzo medio dell’energia e allineare il suo costo alla media europea 

- affrancarsi dalla dipendenza di altri paesi geo politicamente critici, per quanto concerne la  fornitura di materie prime strategiche quali il gas naturale.

Eppure, dopo il Decreto Bersani del 1999 e la successiva liberalizzazione del mercato elettrico, si avevano grandi attese su una normalizzazione del prezzo dell'energia in uno scenario più competitivo; basta vedere i prezzi finali per l'industria in un anno significativo quale il 2019, per constatare che l'Italia nella UE detiene ahimè il triste primato del prezzo più alto (tra i 250 ed i 300 euro/MWh.)

Dunque stavamo già male ancora prima della guerra, con un prezzo del gas che nel 2021 si è incrementato del 400% rispetto al 2020. Abbiamo installato tanta energia rinnovabile, cosa buona e giusta per favorire il processo di decarbonizzazione e la lotta ai cambiamenti climatici,seppur a spese di rilevanti incentivi che sono inevitabilmente ricaduti sulle tasche dei contribuenti, ma ciò, purtroppo, non ha risolto ancora i nostri problemi energetici e la guerra in corso lo ha confermato.

Per il momento non possiamo ancora fare a meno delle fonti tradizionali, poiché sappiamo tutti che le rinnovabili sono fonti aleatorie e non programmabili e la loro interrompibilità deve essere coperta dalle centrali a gas naturale, almeno finché non sarà davvero maturo e competitivo lo storage(sistemi di accumulo a batterie). E questo ovviamente comporta dei costi per tenere in marcia,per poche ore l’anno, le centrali tradizionali a gas,allo scopo di sostenere,nelle ore di indisponibilità delle rinnovabili,il fabbisogno di energia.

Non a caso Terna, il gestore della rete nazionale,ha istituito un sistema di aste,ovvero il cosiddetto Capacity Market,al fine di avere garantita,attraverso un meccanismo di remunerazione nei confronti di coloro che si aggiudicano l’esito dell’asta,della capacità di potenza elettrica da centrali a gas necessaria ad evitare rischi di sicurezza nella gestione e nella regolazione della rete elettrica,in assenza o nelle ore di indisponibilità degli impianti da fonti rinnovabili (vedi il fotovoltaico).

Adesso è arrivata la tempesta perfetta: a causa della guerra, rischiamo davvero di non avere quel gas che deve sostenere l’interrompibilità delle rinnovabili e la realizzazione della transizione energetica nel nostro Paese. 



Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione del PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) al 2030,  si stima sia necessaria la realizzazione di nuovi impianti eolici e fotovoltaici per almeno 60GW, diciamo circa 6 GW/anno, quando il trend di crescita negli ultimi anni è stato inferiore a 1GW/anno;  mission impossible ad oggi, se non si attuano velocemente nuove riforme atte a semplificare l’iter autorizzativo e sburocratizzare le procedure non solo per l’installazione di nuovi impianti, ma ancor più - cosa davvero incredibile - per il re-powering di impianti rinnovabili già esistenti che,a parità di suolo impegnato, permettono di quadruplicare l’energia generata, grazie alle nuove tecnologie delle pale eoliche (oggi in Italia, in media,occorrono più di cinque anni per ottenere le autorizzazioni alla realizzazione di impianti eolici).

Osservo infine che il venir meno degli incentivi, principale driver di crescita delle rinnovabili negli anni precedenti, è un altro elemento di ostacolo alla super-accelerazione di nuove rinnovabili,richiesta anche dagli scenari geopolitici sull’alto prezzo del gas emersi già prima della guerra, oggi divenuti più preoccupanti per la criticità di fornitura di questa risorsa.

Nella logica di dire sempre no a tutto, siamo anche riusciti a perdere la grande opportunità di realizzare in Sicilia due rigassificatori, uno a Porto Empedocle e uno a Priolo, per ragioni di grande miopia politico-istituzionale e ideologica. Oggi questi impianti di gas naturale liquefatto (LNG) ci avrebbero permesso di poter disporre di uno stoccaggio locale di metano,con i benefici conseguenti di avere gas disponibile in un’area molto energivora, sicuramente a prezzi più bassi e con approvvigionamenti meno dipendenti da un singolo paese,potendo utilizzare come mezzo di trasporto le gasiere.

Dunque la sfida è davvero ardua perché nel breve/medio termine non possiamo fare a meno del gas naturale,ma c’è il serio rischio, nell’ immediato, di non disporne in quantità tali da poter contenere i relativi costi a valori sostenibili per la sopravvivenza delle imprese e della comunità.

E allora,  che facciamo?

Come siamo soliti in Italia, nelle fasi di emergenza cercheremo di tirar fuori il meglio di noi stessi(forse?). È chiaro che in tempi brevi è difficile costruire rigassificatori o accelerare la realizzazione delle rinnovabili,tenuto conto dell’attuale trend di crescita delle nuove installazioni e delle lunghe e complesse procedure autorizzative che,seppur in via di semplificazione  con l’attuazione di nuove riforme,richiederanno comunque,in fase transitoria,tempi per arrivare al ready to start di nuova capacità non compatibili con l’emergenza in corso.

Dovremo ancora una volta affidarci agli aiuti e alle pastoie governative per abbassare i costi delle bollette e per individuare un piano a breve termine che cerchi di evitare il rischio di chiusura delle nostre imprese più energivore.

Sono già in allerta in blocco per forza maggiore anche gli auto-trasportatori per i  danni diretti conseguenti agli alti prezzi del gasolio e che, indirettamente, per i ritardi o addirittura la mancanza di fornitura di materiali di prima necessità,rischiano di compromettere la sopravvivenza di molte imprese.In ultimo, udite udite, dopo   aver parlato tanto di phase-out (dismissione) del carbone, occorrerà nell’immediato sfruttare al massimo le centrali che abbiamo ancora in Italia,come soluzione tampone a breve termine,per compensare la riduzione di forniture del gas russo e sostenere il fabbisogno di energia ancora coperto da fonti fossili in alcuni settori delle industrie pesanti e, più in generale, quando le rinnovabili sono indisponibili.

Occorre altresì far fronte ai servizi ancillari di rete elettrica,in termini di regolazione di frequenza e di margini di riserva,ad oggi coperti dalle centrali a gas,essendo le rinnovabili per loro natura non programmabili e lo storage non ancora pienamente disponibile e competitivo per soddisfare i suddetti servizi di rete.

È chiaro che questo conferma quanto ho evidenziato in apertura: è mancata in Italia una politica energetica strategica di lungo termine, resiliente ai sempre più frequenti rischi globali,che ci rendesse più autonomi dalle forniture delle materie prime e più competitivi sui costi dell’energia.

Together we stand, divided we fall" cantavano i Pink Floyd negli anni '70. 

È proprio vero, oggi più che mai è il momento dell’unità, della solidarietà, della vera cooperazione, di fare rete, di aiutarci vicendevolmente:   we stand è forte, dà proprio il senso di essere noi tutti, insieme forti, dritti, resilienti; in un mondo globale e globalizzato si può e si deve rispondere necessariamente con un approccio globale perché i rischi a cui siamo soggetti sono globali.

Lo abbiamo sperimentato con la pandemia da Covid-19 e lo dobbiamo mettere in atto sulla lotta ai cambiamenti climatici e sulla politica energetica che richiedono urgentemente una visione d’insieme, una strategia comune e una governance internazionale.

Certamente va cambiato il mix energetico, occorre aumentare le estrazioni e mettere un tetto al prezzo del gas per evitare speculazioni e andare verso un mercato del gas comune,di concerto con gli altri paesi europei, rafforzando le intese e la co-governance tra le democrazie ancora illuminate del nostro pianeta, in un contesto di cooperazione,di maggiore unione politica ed economica sia globale che locale, partendo dalle città e da un maggiore coinvolgimento delle comunità locali nella governance amministrativa per arrivare a processi decisionali più partecipati e condivisi.

Tutto ciò purché siamo consapevoli che, come sosteneva Max Weber, è tempo di far prevalere l’etica delle responsabilità sull’etica delle convinzioni, queste ultime spesso foriere di ideologie di cui oggi paghiamo le conseguenze.


 Questo articolo è stato pubblicato il 21 marzo 2022 dal periodico "Notabilis" di Siracusa.  Si ringrazia l'ingegner  Giancarlo Bellina,  per aver autorizzato l'uso del testo a "Nuovi Approdi."

 

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(*)  ERG Power Managing Director

Head of  Thermo Operations  -ERG Power Generation S.p.A.

gbellina@erg.eu

https://www.linkedin.com/in/giovanni-bellina-3157a553/

©riproduzione riservata

 

20 marzo, 2022

Conoscere l'anima russa. Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov


V.V. Kandinskij, La vita variopinta, 1907. Monaco,
Städtische Galerie im Lenbachhaus

Il Diavolo abita a Mosca ?

di Luigi Sanlorenzo (*)


"Il Maestro e Margherita" è un romanzo dello scrittore ucraino Michail Bulgakov (1891-1940) riscritto più volte tra il 1928 e il 1940 e pubblicato postumo tra il 1966 e il 1967.

La vicenda è incentrata sulla storia d’amore tra uno scrittore e drammaturgo anonimo (definito il "Maestro") e Margherita Nikolaevna, sulle persecuzioni politiche inflitte a costui da parte delle autorità sovietiche degli anni trenta, e il suo riscatto grazie a una visita del Diavolo nella capitale del regime ateo di quel tempo. A queste vicende s'intrecciano parallele quelle del processo evangelico a Gesù e di Ponzio Pilato, che costituiscono l'oggetto di un romanzo scritto dallo stesso Maestro, il quale era giunto alla pazzia per il rifiuto della censura di Stato a pubblicarlo.

Molti critici considerano quest'opera, dallo spiccato contenuto satirico  uno dei più grandi capolavori della letteratura russa del Novecento. Eugenio Montale definì il romanzo «un miracolo che ognuno deve salutare con commozione», mentre Veniamin Kaverin scrisse «per originalità sarà difficile trovare un'opera che gli stia a pari in tutta la letteratura mondiale»

Francesco Cataluccio, editor della casa editrice Feltrinelli e critico letterario,  ha definito Il Maestro e Margherita “ il risultato più alto della letteratura russa del Novecento, mischiando, con uno stile di scrittura perfetto, la feroce ironia contro il Potere a una profonda spiritualità, che sono le uniche armi di sopravvivenza e resistenza."

"Quattro - prosegue Cataluccio -  sono le caratteristiche di questa riuscita e originale ricetta letteraria: Misticismo, Senso della trascendenza, Parodia, Satira. Del resto, la lingua e la cultura russe, nei secoli XIX e XX, hanno prodotto opere che si collocano ai vertici della letteratura europea. Soltanto per fare i nomi dei più grandi narratori (trascurando, per brevità, altrettanti, eccelsi, poeti e poetesse): Gogol’, Tolstoj, Dostoevskij, Čechov, Babel’, Grossman, Pasternak, Solzeničyn.”

 

Come ho voluto anticipare nei giorni scorsi ai pazienti lettori di "Nuovi Approdi" https://nuoviapprodipress.blogspot.com/2022/03/dialoghi-infernali-di-ieri-e-di-oggi.html ,  la cultura russa, come quella germanica ha puntato al Sublime e per questo ha conosciuto, a volte, l’Abisso. In Europa, questa “somiglianza” ha fatto sì che russi e tedeschi si siano attratti e odiati così spesso, e profondamente, soprattutto nel Novecento. 

C’è però una sostanziale differenza: la cultura germanica, a causa anche della sua ramificazione nel Centro Europa, ha conosciuto - soprattutto in Austria con "Ein Brief " di  Hugo von Hofmannsthal  che prefigura  le intuizioni di Ludwig Wittgenstein - la Crisi del linguaggio ed è riuscita a mostrare l’impossibilità ormai di raccontare il mondo. 

E,  nel 1936 Walter Benjamin annuncerà la "fine dell' aura"  ne "L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica". 

Ma non va dimenticato che l’abbandono della fiducia nella possibilità del raggiungimento del Sublime, si deve soprattutto alla Psicoanalisi e ad alcuni scrittori e pensatori di provenienza ebraica (primo tra tutti Franz Kafka): purtroppo un certo “antisemitismo culturale” ha origine proprio da questo risentimento verso coloro che, dopo secoli passati in stretto dialogo con Dio, hanno iniziato a perdere la fiducia nel Sublime.

I russi, invece, rimanendo per tante ragioni isolati (anche rispetto a culture europee più disincantate come quella inglese e francese, empiriche e illuministe, o allegramente spezzettate, come quella italiana o spagnola, dopo l’ubriacatura umanocentrica del Rinascimento) e nonostante ogni sforzo realista di György Lukács  - di cui nel 2017 Viktor Orban ha fatto abbattere la statua nel parco Szent István di Budapest -  hanno continuato a credere nel Sublime e nella possibilità di raggiungerlo. 

Si sono addirittura impegnate nell’ impresa disperata, non avendone le basi economiche e culturali, di realizzare l’utopia comunista. Ma questo spiega perché laggiù la rivoluzione comunista abbia attecchito e, purtroppo, sia degenerata nella violenza e nell’orrore.

Tendendo al Sublime, e conoscendo di conseguenza l’Abisso (il Sublime non è pane per noi umani, così come non può esserlo il dominio assoluto della Scienza e della Ragione), i russi e i tedeschi hanno conosciuto meglio il Diavolo: colui che si presenta quando il Sublime va in frantumi. 

Il mito di Faust e Mefistofele (a parte la trattazione iniziale, suggestiva ma poco profonda, fatta da Christopher Marlowe con "The Tragical History of Doctor Faustus, nel 1590") viene perfettamente tematizzato e raccontato da Goethe nel Faust, al quale si dedicò per sessant’anni, dal 1772 al 1831. Quel mito funzionò anche in Russia: loro erano adatti, per affine sensibilità, ad accoglierlo.

Grandioso e paradossale è invece il demonismo di Michail Bulgakov, ma, in buona sostanza, che cos’era andato a fare, ne "Il maestro e Margherita" Woland a Mosca, se non a smascherare il Male, invece di produrlo? Se non per dimostrare che il Male è la grettezza, la stupidità dell’uomo? Se non per dire indirettamente ai governanti sovietici che il Nuovo Uomo (sovietico) è antico, non è cambiato, che l’uomo è e resterà gretto nonostante i regimi politici? 

La trama

Composito affresco costituito da numerosi episodi tra loro variamente interconnessi, il romanzo si svolge su due principali piani narrativi paralleli, ai quali corrispondono due differenti ambientazioni storico-geografiche.

La prima di queste è la Mosca degli anni trenta, in cui si trova in visita Satana nei panni di Woland un misterioso professore straniero, esperto di magia nera, attorniato da una cricca di personaggi alquanto particolari: il valletto Korov'ev soprannominato Fagotto un ex-maestro di cappella sempre vestito con abiti grotteschi, il gatto Behemoth, il sicario Azazello, il pallido Abadonna, con il suo sguardo mortale, e la strega Hella.

L'arrivo del gruppo porta scompiglio non solo fra i membri di un'importante associazione letteraria sovietica, la MASSOLIT, che ha sede presso la Casa Griboedov, luogo di convegno dell'alta società moscovita, ma in tutta Mosca.

La seconda storia, che si sviluppa nel corso dell'intero romanzo interrompendo la narrazione principale sui fatti di Mosca, rievoca gli avvenimenti accaduti a Gerusalemme durante il periodo pasquale al tempo del procuratore romano Ponzio Pilato.

L'inizio del romanzo si svolge agli Stagni del Patriarca di Mosca e presenta un diretto confronto tra il presidente della MASSOLIT, Michail Aleksandrovic Berlioz e un gentiluomo forestiero di nome Woland, che asserisce di essere esperto di magia nera.

L'ambientazione è di fatto introdotta quando Woland racconta a Berlioz di essere stato presente al processo al "mite predicatore" Jeshua Ha-Nozri (Gesù), mentre poi questa storia prosegue riportando direttamente alcune pagine del perduto romanzo del Maestro, che si soffermano su ciò che accadde a Pilato durante il processo e nei giorni successivi la morte di Ha-Nozri. Sin dall'inizio Pilato viene colpito dall'atteggiamento e dai discorsi di Yesua, che si dice convinto della bontà di ogni essere umano e sostiene che Dio è uno. 

La storia prosegue con altre intromissioni nella narrazione, passando per la crocifissione, il patimento di Levi Matteo, che giunge a maledire Dio per una tale ingiustizia, e infine i tormenti di Ponzio Pilato, concludendosi con le parole: «il crudele quinto procuratore della Giudea, il cavaliere Ponzio Pilato».

Testimone dell'incontro è il giovane poeta Ivan Nikolaevič Ponyrëv detto Bezdomnyj (che in russo significa "senza casa"). La discussione verte intorno a questioni storico-filosofiche riguardanti l'esistenza di Dio e la storicità di Gesù,  Woland cerca di convincere i suoi atei e scettici interlocutori che Gesù è esistito davvero, affermando di avere assistito di persona al suo processo a Gerusalemme, di essere stato anche ospite a colazione da Kant e dicendo persino di sapere come e quando morirà Berlioz.

Ritenendo di essersi imbattuto in un folle, o peggio in una spia straniera, Berlioz si allontana per chiedere aiuto. Il letterato esce dal parco ignorando i discorsi di un vagabondo un po' insolente (Korov'ev), ma, giunto al cancello, trova la morte esattamente come previsto da Woland. Questi tragici eventi si svolgono sotto gli occhi di uno sconvolto e disperato Ivan, che tenterà di far catturare la banda e di informare tutti dei loro poteri magici, mentre invece sarà internato in un manicomio, poiché ritenuto malato di schizofrenia.

Nella sua stanza dell'ospedale psichiatrico Ivan riceve la visita di un altro paziente, uno scrittore condotto alla disperazione dal rifiuto dimostrato dalla casta dei critici letterari sovietici nei confronti del suo romanzo su Ponzio Pilato. Il visitatore dice di essere un Maestro e di non avere più un nome. Raccontando la propria storia, il Maestro rievoca la sua personale discesa verso la pazzia, ricordando come l'amore l'avesse folgorato improvvisamente un giorno di primavera, gli incontri segreti nel suo seminterrato con lei che era una donna sposata, la stesura finale del romanzo, le stroncature della critica che lo accusarono di voler «introdurre nella stampa un'apologia di Gesù Cristo», gli incubi notturni, e infine la decisione di dare alle fiamme la sua opera.

Egli ora vive così in ospedale in uno stato di totale lontananza dal mondo reale; ascoltando l'inverosimile racconto di Ivan e, sorpreso dal sentire il nome di Ponzio Pilato, svela al poeta che il professor Woland è proprio Satana.

Nel frattempo Woland e la sua banda hanno preso possesso con l'inganno dell'appartamento di Berlioz, mentre l'altro inquilino della casa, Stepan Bogdanovič Lichodeev, il direttore del Teatro di Varietà di Mosca, dopo aver scritturato Woland per uno spettacolo di magia nera viene spedito istantaneamente con un incantesimo di Azazello a Jalta sul Mar Nero. Il seguente spettacolo di magia nera al Teatro di Varietà è un avvenimento sconvolgente che mette a nudo la vanità, l'avidità e la crudeltà dei cittadini di Mosca.

Nella seconda parte del romanzo appare finalmente Margherita Nikolaevna,  l'amante che il Maestro ha abbandonato dopo una relazione segreta durata mesi. La bella e infelice donna, pur ignorandone la sorte, non ha rinunciato a ritrovare il suo amante. Il mattino dopo gli eventi al teatro di Varietà, Margherita si ridesta dopo un insolito sogno che le fa credere che presto rivedrà il suo amato; uscita di casa senza una meta precisa, assiste nei pressi del muro del Cremlino al passaggio del corteo funebre di Berlioz e viene avvicinata da un bizzarro sconosciuto, che altri non è che Azazello.

Lo sconosciuto sembra che riesca a leggere i pensieri di Margherita e ha un "affare" da proporre alla donna: un invito per la sera stessa a casa di uno straniero (Woland), dove la donna potrebbe finalmente sapere qualcosa del suo amato Maestro. Margherita, scossa ma piena di speranza, accetta, ricevendo da Azazello una crema che dovrà passare su tutto il corpo prima di recarsi all'incontro.

La crema ha un effetto miracoloso: Margherita, in un attimo ancor più bella e ringiovanita, spicca il volo come una strega, invisibile a cavallo di una scopa, sulle strade e sui tetti di una Mosca illuminata dalla luna piena. Il suo primo obiettivo sarà l'abitazione del feroce critico Latunski, principale responsabile della sfortuna del Maestro. Arrivata in volo a destinazione la strega mette a soqquadro la casa e procede inesorabile nell'opera di devastazione, interrotta solo nel momento in cui si accorge che in un altro appartamento c'è un bimbo solo e impaurito nel suo lettino che chiede aiuto. 

Dopo questa pausa di tenerezza Margherita "rientra" da strega nel mondo della notte e vola nuda al di sopra delle fitte foreste e sui fiumi della Madre Russia.

Ritornata infine a Mosca, alla casa occupata da Woland, Margherita accetta la proposta di Fagotto di essere la "regina" del gran ballo del plenilunio di primavera, o "ballo dei cento re", che si tiene la notte che coincide con il Venerdì Santo.

Al fianco di Woland accoglie tutti i personaggi tetri e oscuri della storia che escono dalla porta aperta dell' Inferno. Margherita sopravvive a questa straordinaria prova senza cedere e si guadagna così, col dolore e l'integrità, la possibilità che il diavolo esaudisca il suo più profondo desiderio: ritrovare il Maestro. Il Maestro appare nella stanza e riceve il manoscritto del romanzo, ritornato integro dopo che era stato dato alle fiamme. I due amanti, poveri ma felici, potranno così tornare nello scantinato in cui hanno vissuto la loro storia d'amore.

Nel finale del romanzo tornano in scena anche i personaggi della "storia antica" che si fonde così con la storia attuale: Levi Matteo riferisce a Woland che Jeshua ha letto il romanzo del Maestro e desidera che lo scrittore riceva la "ricompensa del riposo": «non ha meritato la luce, ha meritato la pace». Questo incarico passa da Woland ad Azazello che offre agli amanti dell'antico vino Falerno, uccidendo i due e al tempo stesso rendendoli immortali.

Woland e i suoi accoliti, tornati tutti al loro vero aspetto, si allontanano in volo da Mosca, la mattina della Domenica di Pasqua, e accompagnano i due amanti in un luogo remoto ove si trova una figura solitaria, l'antico procuratore della Giudea, che da millenni si tormenta per aver condannato ingiustamente Jeshua, quando invece avrebbe avuto la possibilità di ascoltare le sue parole di saggezza. Il Maestro chiede e ottiene che Pilato sia finalmente liberato dal suo tormento e infine i due amanti vengono lasciati insieme in un "eterno rifugio", dove trovano la serenità.


 Marc Chagall,  La passeggiata, 1918,  Museo di Stato Russo, San Pietroburgo


A Bulgakov, peraltro, non sembrano interessare le conquiste della rivoluzione: il periodo in cui si svolge l’azione è la fine degli anni ’20, alla fine della cosiddetta NEP, o nuova politica economica, e l’inizio del periodo dei piani quinquennali, con relativa industrializzazione intensiva e forzata dell’Unione sovietica. Tutto questo non interessa allo scrittore in disaccordo con l’ideologia ufficiale: gli sta piuttosto a cuore la reazione della gente a tutto quanto succede. 

Gli "strati filosofici" del romanzo, come direbbe Eco,  sono diversi: c’è la filosofia (o utopia) di Yeshua, secondo la quale tutti gli uomini sono buoni (anche i soldati feroci come il centurione Marco Ammazzatopi, anche Giuda Iscariota, che l’ha tradito) e che verrà un tempo in cui non ci saranno più né Cesari né il potere, in cui tutti gli uomini saranno liberi; c’è l’ideologia di Woland, secondo il quale non ci può essere il bene senza il male. C’è l’ideologia del Maestro, secondo il quale il poeta, lo scrittore hanno diritto di esprimere liberamente i loro sentimenti e le loro fantasie. E c’è l’ideologia di Margherita, secondo la quale ciò che conta, ciò che è vero nella vita e nella morte è l’amore e solo l’amore.

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Foto dal sito ilfattoquotidiano.it


Il Diavolo, dunque, abita a Mosca ?

Non lo sappiamo, ma di certo, dopo quello immaginario di Dante e la cruda realtà dell'Olocausto, il racconto dell'Inferno europeo ancora "in esercizio" lo dobbiamo ai racconti di Boris Pasternak, di Aleksandr Isaevič Solženicyn, di Ėduard Limonov, di Irina Denezhkina e di tanti altri intellettuali russi dissidenti di ieri e di oggi.

Papa Francesco si accinge ora  - tra cospicue polemiche di molti non credenti che finora lo avevano iscritto d'ufficio nelle proprie fila - a consacrare la Russia e l’ Ucraina alla Madonna, adempiendo così ad uno dei desideri espressi dalla Vergine e contenuti nei cosiddetti "segreti di Fatima" rivelati alle tre giovanissime veggenti portoghesi il 13 maggio 1917 https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/03/16/la-guerra-di-putin-nel-segreto-di-fatima-la-madonna-chiese-di-consacrare-la-russia-per-evitare-conflitti-e-persecuzioni-e-il-papa-benedice-mosca-ma-anche-lucraina/6527499/

Tale  gesto assume il valore di un moderno ed epocale esorcismo nei confronti di un regime che ha ormai perduto il legame con il popolo russo la cui intensa spiritualità non ha mai avuto cedimenti perfino nel corso dell’ "ateismo di stato" durante l’ URSS e che lo stesso Putin ora utilizza in forma strumentale al punto da essere diventato il cattivo maestro di tanti esponenti politici europei ed italiani.

Sarà la Grande Pasqua Russa, musicata da Nicholaj Andreevic Rimskij-Korsacov nel 1888 (https://www.youtube.com/watch?v=pC3PWII91Fwil momento della svolta per un Paese che merita molto di più di Stalin ieri e di Putin oggi

Ne scriverò presto,  commentando il romanzo “Resurrezione”  di Lev Nikolàevič Tolstòj, l’opera del 1899 in cui la spiritualità russa, la colpa, il castigo  e il perdono restituiscono la vera identità ad un grande e generoso popolo, vittima secolare di troppi carnefici.



dal film "Il maestro e Margherita" regia di Vladimir Vladimirovič Bortko, 2005
sottotitoli in italiano  


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(*) Giornalista e Saggista. Presidente PRUA

https://www.associazioneprua.it/socio-luigi-sanlorenzo/

15 marzo, 2022

Vladimir Putin, psicobiografia di un tiranno

 


La guerra Russia-Ucraina e il fenomeno dell’invidia

di Salvatore Capodieci (*)


Introduzione

Il dizionario etimologico (Cortellazzo & Zolli, 1983) definisce l’invidia “un sentimento di astio e di rancore per la fortuna, la felicità o le qualità altrui” e anche “senso di ammirazione per i beni e le qualità altrui”; deriva dal latino invidere (guardare di traverso, con occhio bieco).

Il rammarico e il risentimento sono provati dall’invidioso sia che si consideri ingiustamente escluso da tali beni sia che, già possedendoli, ne pretenda il godimento esclusivo.

Una definizione generica di invidia, che può trovare la maggior parte degli studiosi d’accordo, è che si tratti di un sentimento ostile che culmina nella cattiveria e nella malizia che origina dalla percezione della superiorità o di qualche vantaggio posseduto da un altro. La percezione cioè di una differenza: esiste una situazione nella quale alcuni hanno qualcosa e altri no!

Proverò in questo articolo a offrire un contributo alla comprensione della guerra Russia-Ucraina attraverso il vertice osservativo offerto dall’analisi del vissuto invidioso.

Premessa storica

Il primo atto di invidia nella storia dell’uomo creò il vero significato dell’esistenza: fu infatti “per l’invidia del diavolo che la morte entrò nel mondo” (Sap. 2,24).L’invidia di Lucifero verso Dio gli fa dire: «Io salirò in cielo, eleverò il mio trono al di sopra delle stelle e di Dio; […] salirò sulle sommità delle nubi, sarò simile all’Altissimo» (Isaia 14:13-14).

A quella prima apparizione dell’invidia ne seguirono altre: l’invidia di Caino nei confronti di Abele, prediletto da Dio, fu la causa del primo omicidio; quella di Esaù verso Giacobbe, favorito nella successione, seminò la di­scordia nella famiglia; sempre per invidia Giuseppe fu venduto come schiavo dai suoi fratelli e Davide fu perseguitato da Saul; e ancora per invidia gli ebrei consegnarono Cristo a Pilato.

L’invidia doveva apparire un male diffi­cilmente evitabile, da cui nessuno risultava escluso, neppure i bambi­ni dal momento che Sant’Agostino consegna questa immagine inquietante: «l’ho visto e conosciuto un bambino invidioso: non parlava ancora e già guardava livido il suo fratello di lat­te».

Eppure questa invidia, generatrice di molti mali, non compare nel­ primo elenco dei vizi capitali. È stato papa Gregorio Magno che le conferì un posto di rilievo nella sua classificazione collocandola al secondo posto, subito dopo la superbia. Inserire l’invidia tra i vizi capitali fu per Gregorio non solo una necessità, ma anche un modo per richiamare l’attenzione sulla diffu­sa presenza di questo vizio nella società (Casagrande & Vecchio, 2000).

Nella dottrina cattolica i vizi capitali sono sette peccati corrispondenti alle principali passioni e in tutti c’è un elemento, anche se transitorio, di piacere e soddisfazione.

Questo aspetto non si ritrova invece nell’invidia: l’invidioso è infatti un individuo che soffre; non prova nessun piacere nel momento in cui vive l’invidia, anzi nel cedere a questa passione prova rancore e sofferenza.

In chiave fenomenologica è altresì difficile individuare un esito preciso all’invidia: la superbia può correlarsi al narcisismo e l’avarizia all’analità ossessiva, l’ira può sfociare nei comportamenti aggressivi e la lussuria in altri aspetti narcisistici o nella perversione, la golosità può far insorgere disturbi alimentari e l’accidia la depressione. Ma l’invidia che esiti psicopatologici può contenere al suo interno nella misura in cui contiene rammarico, risentimento e dolore?

Non è allora un caso che Dante collochi gli invidiosi in Purgatorio e non nell’Inferno dal momento che chi ha provato invidia ha già sofferto sulla terra. Dante pur non conoscendo il termine “schadenfreude”, che significa “piacere provocato dal vedere la sfortuna dell’altro”, sembra illustrarlo molto accuratamente cucendo gli occhi degli invidiosi con il fil di ferro.

La Riforma protestante (specie il calvinismo), preludio del capitalismo, ha trasformato l’invidia in competitività (Weber, 1904-05), ma nel secolo successivo con il Concilio di Trento (1545-63) la Chiesa Cattolica recuperava il concetto di comunità solidale e di carità caratteristici del primo cristianesimo. Questo egualitarismo guardava di sbieco (invidia) chi voleva emergere distinguendosi dalla massa e tendeva a combattere l’individualismo proponendo l’uguaglianza nella fraternità e combattendo l’egoismo e la ricchezza dei benestanti.

Saranno l' Illuminismo, l’industrializzazione e la modernità che porteranno non più all’altruismo fondato sulla carità cristiana, ma a una concezione universale di alterità in un nuovo contesto di produzione di beni materiali e di crescente ricchezza delle nazioni, che sarà alla base di grandi cambiamenti sociali e della diffusione democratica della giustizia e dell’uguaglianza sociale; da qui nasceranno i diversi aspetti dell’invidia: tra i sessi, le professioni, nella politica, nell’arte, eccetera (De Nardis, 2000).

L’aspetto simbolico del denaro e dell’accumulazione di proprietà, che hanno caratterizzato la società moderna, rappresentano la prospettiva migliore per analizzare l’invidia: desiderio del possesso e sofferenza di non poter avere oggetti e ricchezza possedute da altri (‘ingiustamente’ secondo l’invidioso).

Renè Girard (1990) affermava “l’uomo si differenzia dagli altri animali in quanto è il più incline all’imitazione” recuperando la teoria della mimesis platonica. Ogni apprendimento si riduce all’imitazione e se, ipoteticamente, gli uomini smettessero di invidiare, scomparirebbero tutte le forme culturali. 

Dall’imitazione si passa al desiderio e quando l’oggetto del desiderio è posseduto da un altro, quest’ultimo diventa specchio del Sé in quanto termine di riferimento in un ambivalente vissuto di ammirazione e rancore che porta a un’immediata conflittualità. L’elemento che fa nascere il desiderio diventa la personificazione dello stesso, quindi il possesso realizzato dall’altro diventa il mediatore del desiderio, nei riguardi del quale scattano rivalità, competizione e appunto l’invidia.

Questa ‘moderna’ forma di invidia non cancella quella precedente rivolta contro la felicità, il benessere e il successo altrui; il riferimento storico è in questo caso l’invidia di Salieri per il talento, la genialità, il successo di Mozart e per la sua stessa esistenza così come lo descrive Alexander Surgueievich Pushkin nel 1830 (Etchegoyen&Nemas, 2003).

Il principale effetto dell’invidia non è quindi un proprio desiderio da realizzare, quanto piuttosto un evitare che altri realizzino il loro ovvero togliere all’altro ciò che si ritiene prezioso.

In ambito psicoanalitico Paolo Roccato (1991) sintetizza una definizione di invidia con queste parole: “L’invidia è il dolore della percezione delle differenze con proprio svantaggio”.

La prospettiva psicosociale

Le emozioni primarie (rabbia, gioia e paura) sono universali e ubiquitarie mentre, il sentimento invidioso, che espressività ha nei diversi contesti sociali?

Nella società statunitense, secondo Stearns e Stearns (1986), la collera è un nemico che è stato domato e allontanato, mentre l’invidia quale emozione prodromica dell’aggressività è invece probabilmente aumentata. Sicuramente è accresciuta la ricerca del successo, vissuto che al contrario è negato nei paesi latini dove si ha una sorta di vergogna ad ammettere di ricercarlo.

Non è sempre facile altresì riconoscere che la competizione sia un aspetto utile perchè un sistema sociale lasciato in balia di se stesso fa accrescere l’invidia che, nascendo dall’ammirazione e dall’identificazione, circola nei rapporti di prossimità ed emerge quando si scopre di essere stati superati da qualcuno di pari livello che non si riesce a emulare. Cosa accade a questo punto? Si accetta il successo altrui o si comincia a desiderare la sua rovina? La fenomenologia dell’invidia prevede che si blocchi l’azione finalizzata al raggiungimento dell’obiettivo e si desidera esclusivamente che quest’ultimo non venga raggiunto dall’altro.

Psicobiografia di un tiranno

Nel periodo prebellico si sono occupati del profilo psicologico di Putin due studiosi: lo psichiatra americano Kennet Dekleva e l’ingegnes e e psicologo russo Vladimir Zakharov.

Il primo, nel gennaio del 2017, scriveva su The Cipher Brief l’articolo “The ManyFaces of Vladimir Putin: A Political Psychology Profile”[1], dove raccontava che nel 2000 il presidente russo Vladimir Putin, allora poco conosciuto fuori dalla Russia, visitò il Giappone. Durante il viaggio a Tokio, in occasione del G8,fece una visita al Kodokan, la storica scuola di Judo fondata da Jigoro Kano, e partecipò a una dimostrazione sportiva, mettendo in mostra le sue abilità nelle arti marziali con un esperto atleta giapponese, che però lo atterrò con una classica mossa di judo. Putin, dopo l’inchino e un sorriso, ricevete dalla folla presente un’appropriata ovazione.

Diversi anni dopo, in seguito al tragico attacco terroristico di Beslan del 2004, dove oltre 300 scolari persero la vita, Putin, emotivamente sconvolto, parlò a una nazione addolorata, ricordando che la Russia che era stata colpita a causa della sua debolezza.

Questi brevi resoconti rivelano – sottolinea Dekleva – diversi lati del leader russo che, cresciuto all’ombra del ricordo dell’assedio di Leningrado,si ritrovava da bambino a conversare a volte con i genitori che erano rimasti traumatizzati e molto provati dalla guerra.

L’ascesa al potere di Putin è stata parallela al quella del ritorno della Russia alle precedenti glorie.

Lo psichiatra scrive che Putin rimaneva – anche dopo 16 anni che era al potere – un leader enigmatico e poco compreso. Probabilmente, a causa di tale incomprensione, le tensioni tra la Russia e Occidente (in particolare gli Stati Uniti) sono aumentate accrescendo il rischio di ulteriori conflitti. Gli eventi che hanno portato alle accuse di guerra informatica russa, di pirateria online rispetto alle elezioni americane del 2016 e le azioni militari a sostegno del presidente siriano Bashar al-Assad hanno evidenziato un assunto fondamentale: comprendere le azioni politiche della Russia, soprattutto nella sfera della politica estera, richiede un’analisi sobria e acuta della psicologia politica del presidente Putin arrivando a una profonda comprensione dei suoi diversi volti, da quale sensibilità e umanità è caratterizzato e quali idee e sentimenti lo governano.

Secondo Dekleva molti profili psicologici di Putin hanno mancato l’obiettivo etichettandolo come un “teppista” o descrivendolo come un semplice strumento di strutture o gruppi di potere più grandi e intricati, come i siloviki, le strutture militari, le forze dell’ordine e l’intelligence russa. Tali analisi del comportamento politico di Putin hanno a volte portato alla mancanza di capacità predittive riguardo le azioni della Russia o a intensificate previsioni emotive relative al timore di una nuova Guerra Fredda o a un conflitto militare tra Russia e Occidente. Solo un’attenta lettura degli scritti, delle interviste e dei discorsi di Putin – affermava Dekleva–può offrire una ricchezza di materiale, che consentirà, se valutata con la giusta attenzione,di rivelare i molti volti di Vladimir Putin, compresi quelli di politico, ufficiale dell’intelligence, esperto di arti marziali e diplomatico.

In qualità di leader, Putin ha ottenuto enormi successi nel portare la Russia fuori dalla palude politica ed economica degli anni ‘90, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, che lui stesso ha definito “una delle più grandi tragedie del 20° secolo”. L’aumento dei prezzi del petrolio e del gas naturale, nel corso degli anni 2000, ha comportato un significativo impatto sull’economia russa favorendo l’aumento del tenore di vita di questo paese e facilitando capacità organizzative, disciplina e gestione della politica interna da parte di Putin che ha potuto svolgere così un ruolo significativo nella ripresa politica ed economica della Russia.

Quello che è sfuggito a molti analisti – sottolinea lo psichiatra – è stato il revanscismo di Putin, il suo potente desiderio di rinnovamento dell’orgoglio russo e del posto occupato dalla Russia nel mondo, e di quanto questo abbia una forte fascinazione sul piano sociale, emotivo e psicologico per il popolo russo.

Questo spiega gli altissimi e pervasivi indici di popolarità politica ottenuti da Putin – superiori al 70-80 % per la maggior parte del suo mandato – che nessun altro politico russo ha mai eguagliato. Nonostante il suo stile di gestione del potere appaia forte, deciso e autoritario– può essere percepito come una sorta di De Gaulle della Russia – Putin è riuscito a riunire molti politici, economisti, diplomatici, militari e personale dell’intelligence nella struttura di potere della Russia.

Nel 2003, quando un giornalista aveva a chiesto a Putin quale paese straniero stimasse di più, aveva risposto: “Israele, perché hanno costruito un paese dal nulla, dal deserto, e hanno resuscitato una lingua morta!”. Infine, nonostante Putin sia stato spesso visto dai media occidentali come un politico eccessivamente rigido e privo di emozioni, in certi casi ha dimostrato il contrario. Ad esempio, dopo il suo ritorno alla presidenza nel 2013, la TV lo ha mostrato in lacrime durante il discorso ai suoi sostenitori.

Il passato di Putin, come ufficiale dell’intelligence del KGB, ha connotato la sua intera vita professionale. Il KGB ha plasmato la sua etica e il suo senso di identità diventando l’incarnazione di un sogno infantile. È prevalsa la tendenza a vedere Putin come meramente tattico piuttosto che strategico, ma tale visione è sbagliata [2].

Vedere tali aspetti come dicotomici, piuttosto che come due facce della stessa medaglia, fa perdere di vista l’adattabilità di Putin alle sfide di politica estera, come Ucraina, Georgia, Siria, Cina, India, Stati Uniti e l’Europa. A volte, Putin ha mostrato una magistrale flessibilità sapendo invertire la rotta e cambiando le priorità, senza allontanarsi dai principali obiettivi strategici e dal suo profondo senso per l’interesse nazionale.

Un’altra preoccupazione riguarda la stretta cerchia di consulenti di Putin, che conosce o con i quali lavora da decenni: di chi si fida e chi ascolta? E come vengono prese le decisioni strategiche?I cambiamenti del personale all’interno del Cremlino e nei ministeri chiave meritano un attento studio al riguardo, aggiungeva Dekleva.

Secondo lo psichiatra americano, le arti marziali e lo studio del judo hanno probabilmente plasmato la personalità di Putin. Studente di Judo dall’età di 10 anni, Putin detiene l’8° dan; è il judoka non giapponese più titolato al mondo e un vero ambasciatore di quest’arte [3].

E, infine, le amicizie di una vita di Putin, non solo quella di tantissimi anni con il suo Sensei (il suo insegnante di arti marziali scomparso alcuni anni fa) ma anche con i suoi compagni di judo, hanno avuto un impatto sulla sua vita politica, personale e lavorativa. Putin ha abilmente utilizzato la “diplomazia delle arti marziali” per approfondire relazioni personali informali e molto note con praticanti delle arti marziali, come l’attore statunitense Steven Seagal (che detiene il 7° dan nell’aikido e al quale Putin ha concesso cittadinanza russa onoraria nel 2016), per promuovere i propri obiettivi politici e strategici.

Studente di tedesco – la lingua del nemico – fin dall’infanzia, possiede una notevole scioltezza di linguaggio e ne sa cogliere la potenza, l’emozione e la bellezza, come è emerso nel discorso al Bundestag nel 2001, in cui ha parlato del suo desiderio di affrontare il pubblico nella “lingua di Goethe, Schiller e Kant”. Ha anche studiato inglese e lo ha utilizzato per far colpo durante la sua presentazione al CIO (Comitato olimpico internazionale), in merito alla proposta olimpica russa di Sochi. In sintesi, la miscela di abilità linguistiche e di relazioni personali fa parte di una lunga tradizione all’interno dei circoli diplomatici e di intelligence russi.

La Russia – continuava Dekleva – nonostante tutte le sue debolezze economiche, politiche e demografiche, ha troppa importanza strategica perché l’America possa ignorla. Durante una visita ufficiale a Mosca nel 2011, il vicepresidente Joseph Bidenaveva affermato in modo eloquente che una Russia forte e prospera è nell’interesse nazionale americano. Tale annuncio – sottolineava lo psichiatra – non è meno vero oggi;quello cheè meno probabile è chei tradizionali approcci delle scienze politiche alla comprensione di Putin, nell’esaminare il funzionamento del Cremlino, diano i loro frutti.

Il modo migliore per comprendere Putin consiste nell’impegnarsi in uno stile diplomatico altamente personalizzato e vecchio stile, che enfatizzi il rispetto reciproco e la forza, che apprezzi il profondo senso della storia della Russia e una comprensione basata sui reciproci interessi nazionali.

Kennet Dekleva concludeva il suo articolo rivolgendosi a chi studia lo stile della leadership di Putin suggerendo di iniziare guardando il film documentario di Hubert Seipel del 2012, “Ich, Putin” e di vedere Putin attraverso il prisma della storia e della cultura russa. Forse in questo modo si potrebbe arrivare a una verità più profonda: comprendere veramente il presidente russo Vladimir Putin significa accettare le sue caratteristiche russe per eccellenza e impegnarsi con lui a un livello più diplomatico e personale considerandolo “un russo al Cremlino”.

Il secondo studioso del profilo psicologico di Putin è stato l’ingegnere e psicologo russo Vladimir Zakharov,fondatore e direttore del Dipartimento di Psicologia Industriale all’Università tecnica statale di San Pietroburgo, ha lavorato anche presso varie aziende statunitensie ha scritto nel 2018 “Putin’s Psychological Profile: Psychobiographical Study”.

Nel suo testo scriveva che Vladimir Putin gioca un ruolo enorme nel destino della Federazione Russa e che senza di lui non si può fare nulla. Piani statali, decisioni, eventi significativi sono impossibili senza la sua presenza e la sua approvazione. Guardando la TV, sostiene Zakharov, si può avere l’impressione che lavori da solo e che coloro che lo circondano agiscono semplicemente come un’estensione del suo potere.

"Putin – continua Zakharov – è diventato leader politico sfruttando al massimo le potenzialità fornitegli da madre natura. Per essere all’altezza della propria immagine di presidente forte ha migliorato drasticamente le sue capacità di gestione e leadership, ma non ha potuto evitare la perdita di vite umane – civili e militari. Come ogni politico, Putin deve scavalcare i cadaveri dei soldati che sacrificano la propria vita come un dovere in nome e per il bene della Russia."

L’ingegnere-psicologo definisce Putin un curioso ibrido tra una persona che agisce in base a proprie regole e accordi e colui che deve rispettare la legge, tra essere il leader di una banda di ragazzi di strada e il supremo funzionario del governo. Ha le sembianze del funzionario sofisticato, che sviluppa e firma accordi e trattati internazionali ambivalenti (ad esempio, l’accordo di Minsk) e un bandito che deruba alcuni ricchi russi per ripristinare la giustizia sociale (come la intende lui) e poter diventare una figura più potente. Nonostante il costante appello alla legge, la esegue in modo molto selettivo anche se si tratta della stessa Costituzione della Federazione Russa.

Quando Putin non è soddisfatto di qualche accordo, di una legge o anche della Costituzione, semplicemente li ignora (ad esempio, il Trattato di Budapest sull’Ucraina, firmato nel 1994, dalla Russia, dagli USA, dalla Gran Bretagna e dalla stessa Ucraina) o lo cambia. Ha cambiato, ad esempio,la Costituzione in base alle sue esigenze: ha aumentato il mandato presidenziale da quattro a sei anni. Dire che questo cambiamento della Costituzione è stato avviato dal presidente Medvedev e poi votato dalla Duma di Stato e dal Consiglio della Federazione è – afferma Zakharov – una evidente bugia. Questa operazione è stata segretamente pianificata dall’inizio alla fine ed eseguita da un’unica persona: Vladimir Putin.

Per il cittadino russo, mette in evidenza Zakharov, è molto difficile filtrare le immagini di Putin mostrate dalla tv e dai media statali, perchéla stampa russa crea lesue immagini, mentre la stampa occidentale ne crea altre, solitamente all’opposto delle prime. Le prime lo vedono sotto una luce positiva, le seconde in una prospettiva negativa. Al tempo stesso, problemi psicologici personali e quelli complessi di politici, giornalisti e analisti, così come i problemi economici e politici della Russia, vanno a incidere tutti sull’immagine di questa persona.

Questi profili di uno psichiatra americano e di uno psicologo russo, realizzati in un’epoca che non faceva presagire la situazione attuale, forniscono alcuni importanti elementi psicobiografici sul presidente della Russia.

Il primo riguarda la sua passione per il judo che, pur essendo uno sport di combattimento, parte però da un metodo di difesa personale. Questa è la motivazione che Putin ribadisce sull’invasione dell’Ucraina: passare dal doversi difendere dall’accerchiamento messo in atto dalla Nato all’ inevitabile offensiva bellica.
Putin, in occasione del suo 56° compleanno, ha scritto un libro che è diventato anche un Dvd. Al suo interno si vede il presidente russo che prima parte parla della storia e della filosofia dell'arte marziale e poi,nelle numerose fotografie,lo si vede scaraventare a terra gli avversari uno dopo l'altro. È stato pubblicato anche in Italia da Mondadori nel 2001 con il titolo: “Impara il judo con Putin: la storia, la tecnica, la preparazione”.

Putin bambino ha respirato l’eco dell’assedio di Leningrado, avvenuto durante la seconda guerra mondiale, una delle più cocenti sconfitte nella guerra lampo di Adolf Hitler contro l'Unione Sovietica. Le forze armate tedesche, pur avendo programmato un assalto della durata di sei/otto settimane, incontrarono invece un’inaspettata resistenza durata anni.

Seduto a tavola, durante i pasti, Putin ascoltava i racconti dei genitori.Il padre, sabotatore dell’Nkvd, era scampato ai nazisti respirando per ore con una canna immerso in una palude; fu poi ferito da una granata.La mamma ancora viva fu salvata dal marito mentre veniva trasportata con altri cadaveri per la sepoltura e il fratello maggiore era morto di difterite a due anni in orfanotrofio.La tragedia della famiglia di Vladimir Putin, durante l’assedio tedesco di Leningrado, era stata ricordata con particolari inediti dallo stesso leader del Cremlino in un raro articolo per la rivista Ruski Pionier (Il Pioniere russo) dove Putin sottolineava che la sua famiglia «non nutriva odio per il nemico, è incredibile. 

Ad essere onesto, ancora non lo capisco completamente» confida, ricordando le parole della madre sui soldati tedeschi: «Erano gente comune e anche loro furono uccisi in guerra».[4] 

È probabile che le immagini che osserviamo oggi sull’Ucraina siano quelle che Putin bambino immaginava fossero state vissute dal suo popolo quando ascoltava i racconti dei genitori. Chi vive in prima persona la tragedia riesce anche a perdonare, come raccontava la mamma del presidente russo “i tedeschi erano gente comune e furono uccisi anche loro”, mentre i traumi transgenerazionali,come sappiamo oggi grazie agli studi di epigenetica possono essere legati ad alterazioni dell’espressione dei geni tramandati nelle generazioni. In letteratura compaiono sempre più ricerche che dimostrano come gli effetti di un ambiente negativo si possano riflettere sulle generazioni future. 

Carestie, guerre e catastrofi naturali verificatesi durante la vita dei genitori o dei nonni sembra possano influenzare la vita dei discendenti, suggerendo dunque che le conseguenze di una condizione ambientale possono essere ereditate (Pembrey et al., 2006).

Zakharov suggeriva che Putin sperimentasse meccanismi dissociativi passando da assetti rigorosi e rispettosi della legge a modalità antisociali, come quando scriveva che Putin oscilla tra l’essere il leader di una banda di ragazzi di strada e svolgere le attività di supremo funzionario del governo.

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La guerra in Ucraina e il fenomeno dell’invidia

Per concludere questo contributo, prendendo in esame la funzione svolta dal sentimento dell’invidia nelle attuali tragiche vicende belliche, utilizzerò invece alcune parti di un articolo recente– pubblicato su “il Manifesto” il 9 marzo scorso– di Giuseppe Cassisi, ex-ambasciatore e diplomatico italiano, intitolato “Il risveglio dell’orso sul baratro di una guerra d’aggressione”[5].

L’autore fa una sintesi degli avvenimenti internazionali a partire dal 1998 che hanno contribuito ad arrivare all’invasione dell’Ucraina. Alla descrizione degli avvenimenti storici presentata da Cassisi (riportata di seguito in corsivo) aggiungerò in che modo il vissuto invidioso possa aver avuto una significativa influenza sullo svolgimento dei fatti descritti.

-  - Tra il 1998 e il 2020,  la Nato accoglie 14 nuovi membri, tutti Paesi dell’Est, circondando la Russia nel suo periodo di massima debolezza da Capo Nord fino all’Anatolia.

Questa operazione “vincente” della Nato ha degli effetti, come hanno descritto accuratamente Nietzsche (1899) e Scheler (1961), che possono provocare sentimenti di odio e risentimenti nei confronti dei membri della Nato considerati,alla luce del sentimento invidioso, come belli, forti e potenti: emozione così forte da spingere l’invidioso a convincersi che i motivi del successo siano da ascriversi al vizio (“vogliono accerchiarci per farmi fuori”) e non alle qualità presenti nell’operazione

Nel 1999 gli attacchi aerei Nato su Belgrado nel conflitto del Kosovo, oltre che provocare vittime civili, offendono la Russia, storica protettrice della Serbia.

L’invidia si manifesta in questo caso verso la potenza che l’altro possiede. È come se l’altro possedesse una infinità di frecce al proprio arco e l’invidioso nemmeno una. Si invidia l’essere e non l’avere; essere che fa riferimento alla capacità di provare esperienze. In questa vicenda i russi sono stati dei Salieri e la Nato era Mozart.

- Nel 2001 gli USA “convincono” la Nato a invadere l’Afghanistan, nonostante siano sconsigliati dai russi e nel 2003 tocca all’Iraq.

Plutarco, nell’Arte di ascoltare, sostiene che l’invidia, pertugio verso l’avversione a chi ci sta di fronte, «spinge l’invidioso a controllare le reazioni degli ascoltatori, e se li vede assentire, compiaciuti e ammirati, s’indispettisce e si arrabbia […]. Così, a furia di disprezzare e gettare fango, il dibattito risulta inutile e insensato».

- - Nel 2004 a Kiev scoppia la Rivoluzione “arancione”, che rafforza un’identità nazionale ucraina.

Parkin (1979) elabora il concetto di chiusura sociale e individua, come elementi fondanti di quest’ultima, proprio quelle caratteristiche che tendono a produrre quote sempre più alte di invidia: la proprietà, la qualifica professionale, i titoli di studio e, anche se non fa un riferimento esplicito, gli stili di vita. Riesman (1950) sosteneva che gli stili di vita si possono considerare come lo strumento utilizzato dagli individui eterodiretti per raggiungere una finalità specifica: piacere agli altri nell’omologazione. In questo caso si intrecciano le invidie della Russia e quelle del popolo ucraino.

- --Nel 2007 alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza Vladimir Putin presenta, inascoltato, le sue ragioni.

Il leader russo, dopo aver accusato gli USA di voler alimentare i conflitti globali attraverso l’uso unilaterale della forza, autorizzò l’anno dopo l’invasione della Georgia e nel 2014 l’annessione della Crimea. L’idea di un’ingiustizia subita, come causa di invidia, sembrerebbe avere un’importanza inferiore a quanto si sarebbe portati a ritenere: l’invidia scatterebbe, invece, per lo più nei confronti di superiorità immaginarie, di differenze minime o di compensi del tutto meritati. È quella che glistudiosi australiani (Dixon, 1990; Peeters, 2004; Kirkwood, 2007) hanno definitola sindrome del“papavero alto”(tall poppy syndrome) ovvero la tendenza a buttar giù quelli che spiccano troppo nella convinzione che l’individualismo deve essere sempre temperato dal considerare la società nel suo insieme.

Dopo aver elencato altre situazioni che avrebbero visto la Russia in difficoltà, Cassisi afferma che “A questo punto l’Orso si risveglia dal letargo”, anche se a leggere con attenzione le vicende storiche non sembrerebbe essersi trattato di un vero e proprio “letargo”, e ingloba senza colpo ferire la Crimea (ceduta nel 1954 da Kruscev all’Ucraina benché abitata in maggioranza da russi). Inoltre, due regioni del Donbass a maggioranza russa chiedono l’autonomia da Kiev; per accordargliela, nel 2014/5 vengono siglati a Minsk due Protocolli, mai implementati dal governo ucraino con obiezioni interpretative.

L’articolo si conclude ipotizzando motivazioni paranoiche o ossessive dei russi sulla tematica della “sindrome d’accerchiamento” e queste angosce, tramite un meccanismo inconscio di spostamento si manifesterebbero “allungando a dismisura i tavoli e la distanza fisica tra sé e i suoi interlocutori”.

-   Giuseppe Cassisi sottolinea come Putin miri "a raccogliere le spoglie dell’impero sovietico, per ricreare sotto il suo usbergo una sorta di unione delle comunità storicamente legate alla Russia. Non c’è dubbio che l’Ucraina rientri in quel novero.

-  " Anzi, Kiev – continua l’ex-diplomatico – è la culla medievale del popolo dei Rus’; da lì si diffuse il cristianesimo verso nord grazie alla conversione del principe di Kiev, san Vladimiro (di cui portano il nome sia Putin che Zelenski).[…] Dostoevskij definiva l’ucraino Gogol il padre della letteratura russa. Putin, facendo terra bruciata in Ucraina, ha compiuto non solo un fratricidio ma anche un parricidio.

Nell’ excursus storico sull’invidia abbiamo visto come il fratricidio sia stato spesso la tragica conseguenza dell’invidia tra fratelli.

Conclusioni

In questo contributo si sono tralasciate, ovviamente, le considerazioni di economia politica e le ipotesi sulle cause sociopolitiche del conflitto, sia perché sono tematiche che non rientrano nelle mie competenze sia perché lo scopo principale di questo articolo rimane quello di offrire una lettura psicologica della guerra Russia-Ucraina analizzando il fenomeno dell’invidia.

Non è necessario, infatti, presentare valutazioni psicopatologiche come quelle che ipotizzano che il presidente Putin soffra di vissuti persecutori che fanno parte di un disturbo di personalità paranoide oppure di sintomi maniacali con delirio di grandezza o ancora di un disturbo antisociale o narcisistico di personalità, perché lasciano il tempo che trovano e restano un puro esercizio diagnostico.

Si ritiene più utile riflettere sulle emozioni e i sentimenti che stanno alla base delle relazioni interpersonali di tutti gli individui compresi i più potenti del pianeta.

L’invidia, quale manifestazione della distruttività primaria, è presente fin dalla nascita in ogni essere umano. È stato proprio questa sua caratteristica che l’ha portata al centro dell’indagine psicologica sin dai suoi esordi anche se, nel tempo, è andata assumendo significati diversi.

Dapprima era stata assimilata ad altri affetti ad essa vicini: la gelosia e l’avidità, ma ne sono state poi riconosciute le differenze.

L’invidia compare prima della gelosia, è sempre esperita nei confronti di un oggetto parziale e non è conseguente a una relazione triangolare. La gelosia è, invece, connessa al triangolo edipico e si sostanzia dell’odio per il rivale e dell’amore per l’oggetto del desiderio.

Putin è mosso quindi da sentimenti di rancore e odio che caratterizzano l’invidia per l’Occidente che rappresenta un “oggetto parziale”. Quest’ultimo è un termine che rimanda alla teoria delle relazioni oggettuali, nata con il lavoro di Melanie Klein, e fa riferimento ai primi passi della vita psichica del neonato, al suo primitivo teatro di oggetti interni ed esterni e alle precoci fantasie che accompagnano la relazione con sé e con il mondo. 

È superfluo ricordare ancora una volta in che modo l’infanzia di Putin fosse stata contrassegnata dalle rappresentazioni dell’assedio di Leningrado trasmesse gli da entrambi i genitori che avevano riportato un grave disturbo da stress post-traumatico dalla vicenda bellica. Non si tratta di “gelosia” perché non c’è qualcuno che voglia portargli via l’Ucraina

Il presidente della Russia non è neppure vittima dell’avidità, che ha alla sua base il meccanismo dell’introiezione e che mira al possesso di tutto ciò che è percepito di valore nell’oggetto al di là delle proprie necessità. La questione non è infatti per Putin possedere l’Ucraina perché rappresenta un “oggetto di valore”, anche perché in questo caso non la distruggerebbe. È l’invidia che ha invece come scopo quello di distruggere la bontà dell’oggetto; il vissuto invidioso agisce attraverso il meccanismo chiamato dell’“identificazione proiettiva”.

Si tratta di un meccanismo di difesa psichico che fa riferimento a operazioni mentali inconsce con cui si fantastica di introdurre la propria persona o parti di sé all’interno del corpo materno per possederlo, controllarlo o danneggiarlo. Il corpo materno, percepito dal presidente della Russia, è la vecchia Unione Sovietica che l’ha accolto alla sua nascita. 

Questo meccanismo di difesa può in realtà generare più inquietudini di quante ne elimini: infatti può indurre l’ansia inconscia di essere perseguitato dall’altro, di ricevere da questo lo stesso trattamento a lui riservato oppure di perdere nell’altro le parti buone di sé.

Queste angosce animano l’apparato emotivo e il pensiero di Putin ed è difficile prevedere quando si potranno acquietare riconducendolo a quell’armonia che percepiva quando saliva sul tatami e, prima di iniziare il combattimento, si inchinava all’avversario accettando con sportività di combattere alla pari senza commettere irregolarità che violino il rigoroso codice delle arti marziali.

 

Bibliografia

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Riesman, D., Glazer, N., Denney, R. (1950) The lonely crowd, A study of the changing american character, Yale University Press, New Haven; trad. it. La folla solitaria, Il Mulino, Bologna,1956.

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Weber, M. (1904-05), L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Rizzoli, Milano, 1991.

 

Note  

[2] I due termini non sono sinonimi ma hanno, tra di loro, un rapporto gerarchico. In estrema sintesi si può dire che la strategia rappresenta la destinazione e la modalità con la quale si vuole raggiungere un obiettivo, la tattica, invece, descrive le azioni specifiche che bisogna compiere lungo un percorso. Secondo Michel de Certeau, mentre la strategia crea il suo spazio autonomo, una tattica è un'azione volontaria determinata dall’assenza di un luogo proprio.Lo spazio della tattica è “lo spazio dell'altro”: le tattiche sono azioni isolate che si avvantaggiano delle opportunità offerte dall'avversario.

[3] È noto che con lo scoppio della guerra la Federazione Internazionale di Judo ha sospeso lo status di Vladimir Putin da presidente onorario e ambasciatore di questa disciplina sportiva.

[4]https://www.ladige.it/attualita/2015/04/30/putin-racconta-il-dramma-della-sua-famiglia-nell-assedio-di-leningrado-1.2757466


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(*) Psichiatra, psicoanalista, docente universitario. Socio PRUA.

https://www.associazioneprua.it/socio-salvatore-capodieci/