26 ottobre, 2022

Giorgia Meloni. Un discorso che segna il confine



immagine da Il Post

di Luigi Sanlorenzo (*)


Con la fiducia al 68^ governo nella storia della Repubblica si chiude un’epoca e si delinea un nuovo orizzonte della comunità nazionale.

Termina un lungo periodo che ha reso necessari per la sopravvivenza il ricorso a maggioranze parlamentari contraddittorie ed a tecnici di grande rilievo cui va comunque la gratitudine del Paese; si conclude anche la tradizione tutta maschile nel ruolo di presidente del consiglio dei ministri; giunge al capolinea il tentativo della Sinistra, in qualche occasione proficuo e commendevole, di unire all’egemonia culturale anche quella politica.

E, a cento anni dalla sua tragica ascesa, si chiude anche l’infinita polemica sul Fascismo - e sui propri veri o presunti eredi - che ha ridotto l’alternanza democratica ad un pericolo da cui difendersi, anche a costo di inaccettabili compromessi.

Il voto del 25 settembre ha reso con chiarezza il quadro sociale di un Paese - non solo preoccupato per il proprio destino economico - che ha ricondotto ad un ruolo di opposizione un soggetto politico che non ha mai compreso in cosa consistesse il non essere soltanto l’erede del Partito Comunista e confuso al punto di presentarsi con un volto liberale che non gli apparteneva, di un movimento nato con un insulto alle istituzioni, salvo poi incollar visi sull’onda di misure assistenzialiste, di cespugli appassiti abbeverati ad ideologie condannate dalla Storia.

Nonostante la presenza di molti esponenti di passati governi del Centro Destra, il nuovo Esecutivo non è in alcun modo sovrapponibile a quelle esperienze, nonostante le appassionate rivendicazioni di Silvio Berlusconi espresse nel corso del suo, pur a tratti commovente, intervento di rientro al Senato. In essi la Destra era un’appendice poco influente e ancora guardata con sospetto, mentre il timone era saldamente in mano ad una cultura politica centrista di ispirazione vagamente democristiana.

Il governo di Destra guidato da Giorgia Meloni è un inedito istituzionale e rappresenta una dirompente novità che, pur avvantaggiato dalla novità di genere che tempera molti giudizi e capta una benevolenza trasversale, introduce un consistente pragmatismo e di molti temi restituisce una lettura non più ideologica, si badi bene, ma identitaria rispetto a molti sentimenti condivisi da larga parte della società italiana anche se sovente espressi con cautela per timore di apparire fuori dal main stream quando non del tutto “nostalgici” e passatisti.

Una nuova libertà a tutti i cittadini e le cittadine di potere finalmente esprimere i propri valori senza più sottostare a chi per antica cultura ha coltivato a lungo il vezzo della superiorità morale e quello di dare a chicchessia patenti di legittimità.

Liberata dai cascami del Fascismo ma anche da quelli non meno dannosi di un residuo veterocomunismo, l’ Italia inizia oggi un nuovo percorso con la piena libertà di disporre in ogni momento di alternative disponibili e praticabili sulla sola base del consenso popolare.

Un buon modo per chiudere a distanza di cento anni il capitolo dell’autoritarismo palese e di quello - meno visibile ma strisciante e pervasivo - del pericoloso disprezzo per la volontà democratica.

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(*) Giornalista e saggista. Presidente PRUA

Il discorso di Giorgia Meloni. Elogio della chiarezza

 

Immagine ANSA

di Massimo Pullara (*)

Tre volte.

Ho ascoltato tre volte il discorso del Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, alla Camera dei Deputati.

L'ho ascoltato tre volte nella speranza, ogni volta, di riuscire ad escludere una quota sempre maggiore di pre-giudizi dettati dalla mia avversione alla cultura di “questa” destra.

E nella speranza di cogliere aspetti incoraggianti per il futuro di questo Paese.

Un dato è certo: Giorgia Meloni è di destra e ha fatto un discorso di destra.

Ed è forse la prima volta che il popolo italiano si ritrova davanti ad una destra vera.

Non ad un “Centro” che a volte è Centrosinistra e a volte è Centrodestra.

Non ad una Sinistra che a volte fa il “Centro” e a volte non sa cosa fare.

Il merito di Giorgia Meloni, dunque, potrebbe essere che, finalmente, in Italia le cose, dopo molti anni, appaiono chiare.

Abbiamo un governo di destra. Ed è chiaro.

Con tutto il suo “carico conservatore” e le sue avversioni per la modernità delle conquiste nel campo dei diritti umani e sociali.

E tante altre avversioni, troppe.

Dando un'occhiata sui social, l'indice di gradimento appare chiaro.

Il discorso è piaciuto agli elettori di destra, naturalmente, ma è piaciuto anche a molti elettori di sinistra che hanno avuto il coraggio di dirlo apertamente.

Ce ne sono molti altri, silenti. 

Perchè questo accade?

Per i contenuti? No. E gli elettori di sinistra lo dicono. Però, a pelle, è piaciuto.

E' piaciuto perchè innanzitutto, l'elettore di sinistra da anni non è più abituato all'arte oratoria.

I dirigenti dei partiti di sinistra, ne sono privi.

L'eccezione, forse, è Matteo Renzi. Non a caso, perchè Renzi non è di sinistra.

E' stato sufficiente ascoltare l'intervento di Debora Serracchiani, donna contro donna, e la asfaltante replica di Giorgia Meloni per rendersene conto.

Forse la Sinistra dovrebbe rivedere i criteri di valutazione con i quali sceglie i propri quadri.

Ma la stessa Giorgia Meloni, a volere trovare il pelo nell'uovo, ha “toppato” clamorosamente quando, nella sua replica, ha dato del “tu” al deputato di colore Soumahoro. Il successivo passo indietro e le scuse non mi sembra abbiano risolto la figuraccia, conseguenza di un modo di intendere gli extracomunitari comunque non degni nemmeno del rispetto lessicale riconosciuto ai “pari grado di etnia”. 

Ora la si dovrà giudicare su quello che il suo Governo farà.

Le premesse non sono buone.

Ad appena 24 ore dal discorso alla Camera, si parla di alzare il tetto per l'uso del contante a 10 mila euro, di introdurre la flat tax, di fare qualche condono fiscale (definirla “tregua fiscale” non migliora le cose), di bloccare le Ong, di “non disturbare chi vuole fare” (ma vuole fare che cosa?).

Al popolo di sinistra non resta altro che affidarsi alle opposizioni: sono addirittura quattro in Parlamento.

Al popolo di sinistra ora non resta che il sogno di trovare una leader (o almeno un leader) capace di unire e guidare il fronte progressista.

Una leader che, parlando in un futuro prossimo da Presidente del Consiglio, possa spingere gli elettori di destra a dire sui social: “...però il discorso mi è piaciuto”


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(*) Giornalista. Conduttore televisivo. Socio PRUA.

https://www.associazioneprua.it/socio-massimo-pullara/