Foto dal sito del Corriera della Sera |
Mentre ancora fumavano le lamiere contorte delle tre auto blindate, nell'aria intorno la puzza di cordite "sapeva di vittoria" ed i giornali di tutto il mondo davano la notizia dell'attentato, i detenuti per mafia brindarono con champagne alla fine del loro principale nemico e la cronaca di quei giorni riporta le espressioni di compiacimento e gli epiteti rivolti a Giovanni Falcone che già non era più su questa terra.
Nè la situazione appare cambiata dato che, secondo intercettazioni recenti, in più occasioni genitori mafiosi hanno vietato ai figli di prendere parte ad iniziative sulla legalità non obbligatorie come quelle scolastiche, continuando a ribadire, spesso tramandandolo, il proprio giudizio sprezzante sugli operatori di giustizia e sugli "infami" collaboratori.
Il 23 maggio si celebrava la capacità militare dell'organizzazione mafiosa di aver superato se stessa mettendo a punto l' attentato perfetto di cui si sarebbe parlato per secoli.
Anni di precauzioni, sofisticati sistemi di protezione, centinaia di milioni di lire spesi per i servizi di scorta, e controlli di ogni genere andavano letteralmente in fumo e poco importava se il prezzo che Cosa Nostra avrebbe pagato inevitabilmente sarebbe stato altissimo. Quella strage ne amplificava il mito di potere che avrebbe attratto sempre giovani "soldati" nelle periferie ed intimorito chiunque avesse osato frapporsi tra la mafia ed i suoi obiettivi.
Si dibatterà per decenni circa il perchè le cosche avessero accettato di operare come braccio armato di "menti raffinatissime" accettando di fare di quel tratto di autostrada e di quelle immagini che da trent'anni vediamo scorrere in televisione il manifesto della propria potenza, quando sarebbe stato più agevole compiere l'attentato a Roma e probabilmente meno eclatanti le reazioni che ne sarebbero seguite, anche in considerazione di modalità già viste negli anni del terrorismo e alle quali il Paese si era "abituato".
Vi fu dunque uno scambio di vantaggi tra i mandanti e gli esecutori: i primi poterono per lunghi anni attribuire alla vendetta mafiosa - peraltro promessa da anni come una fatwa irrevocabile - il movente e nascondendo dietro una cortina fumogena altri e più grandi interessi, i secondi ne trassero una fama di invincibilità fondata sulla capacità di colpire chiunque raggiungendolo in ogni parte del mondo e giungendo a pensare di porsi palesemente come antistato con cui trattare su più livelli, a partire dalle condizioni di detenzione dei membri dell'organizzazione, vero e proprio terreno su cui la mafia costruisce il proprio consenso interno.
Ogni aderente sa infatti che prima o poi dovrà fare i conti di ammontare variabile con la Giustizia ma, finito il tempo delle facili assoluzioni per insufficienza di prove durato per decenni ed a cui la creazione del pool, dovuta all'intuizione di Rocco Chinnici mise fine, confida in condizioni detentive tollerabili, e soprattutto sulla certezza del sostegno garantito alle proprie famiglie e fondato economicamente in primo luogo sulle attività estortive che mai hanno conosciuto significative interruzioni.
Trent'anni dopo la strage di Capaci, ormai unita a quella di via D'Amelio come stazioni di una tremenda Via Crucis credo sia possibile tracciare un bilancio su più versanti:
su quello investigativo non vi è interruzione di attività e ogni giorno la cronaca riferisce di arresti importanti, confische di beni, attente radiografie di rapporti che coinvolgono anche insospettabili esponenti di ogni classe sociale. Ma, attenzione, è proprio tale quotidianità che dà la misura dell'estensione del fenomeno in ampiezza e profondità: una piaga che puoi lenire ma che non guarirà mai, se non intervenendo sulle cause organiche che possono essere definite da una sola espressione: mancanza di sviluppo sociale ed economico.
Sul piano giudiziario, nonostante le tante afflizioni della Magistratura italiana, le condanne sono rigorose, le pene - in genere - certe e le condizioni detentive, pur nei limiti del rispetto dei diritti umani irrinunciabile in una società civile, sufficientemente calibrate sull'entità del reato e, nei casi più gravi, abbastanza intense da evitare comunicazioni con l'esterno in grado di consentire al mafioso di continuare a gestire la propria cosca. Ampi margini di miglioramento urgente e necessario riguardano le confische dei beni, l'amministrazione virtuosa delle aziende sequestrate, le troppe lentezze nell'assegnazione di immobili alle organizzazioni del terzo settore, spesso non accompagnate dal necessario sostegno economico per renderli fruibili.
Sul piano politico c'è stato un notevole progresso e nonostante alcuni proclami di certa antimafia di maniera, l'organizzazione non esercita più un ruolo dominante nelle istituzioni, non ha più un partito di riferimento ma può avere riferimenti minori in ogni partito in grado di controllare affari di piccolo cabotaggio, peraltro quasi immediatamente intercettati dalla Forze dell'Ordine.
Cadono nella rete piccoli amministratori locali spesso debitori di consenso elettorale ma non credo di possa più parlare nè di "sacco" nè di "mani sulla città". Grave è invece la responsabilità della politica quando in nome di residue ideologie e di qualche interesse particolare impedisce o ostacola, anche senza rendersene pienamente conto, scelte di sviluppo, condizioni di accesso rapide e trasparenti ai servizi pubblici specie nel settore del commercio e dell'edilizia privata, perpetuando lo stato di minorità di strati sociali e il conseguente ricorso a percorsi irregolari, anticamera del consenso "di necessità" alla mafia.
Sul piano culturale, su cui paradossalmente si è investito tantissimo, i ritorni sono deludenti. La scuola può fare molto e spesso lo fa, l'esercito di maestri elementari che auspicava Gesualdo Bufalino è da anni al lavoro, le associazioni giovanili continuano ad essere antenne sensibili ma solo per la percentuale minima di quanti in Italia e in Sicilia si aggregano ad esse.
Il disastro è nelle famiglie a basso reddito, ad elevata ignoranza e spesso residenti nella periferie più abbandonate dove nell'abisso del degrado naufragano gli insegnamenti ricevuti a scuola (spesso unico presidio di legalità) il bisogno materiale sovrasta ogni altra tensione umana e il messaggio contenuto nel reddito di cittadinanza si trasforma in diseducazione civile.
Quasi tutti gli arrestati recenti ne sono stati titolari, un segnale allarmante che presto dovrà indurre alla piena rivisitazione di uno strumento utile ma nato male e gestito peggio che ha solo creato un evanescente consenso iniziale e nulla più.
Tra pochi giorni chiuderanno le scuole e in molti quartieri torme di ragazzini felici si riverseranno nelle strade dove li aspetta il nulla, se non il peggio, poichè tra cooperative non pagate ed associazioni non sostenute da null'altro che volontari anche le poche attività estive del passato non potranno essere svolte. Quindi allo ZEN e al CEP assolati, nei vicoli degradati del centro storico, dove ancora grava l'ombra della pedofilia, sarà un brulichio di bambini, di giovani e spesso "neanche un prete con cui parlare" perchè il più esposto tra essi, il salesiano Don Baldassare Meli, parroco di Santa Chiara all'Albergheria per diciassette anni e scomparso nel giugno del 2020, fu inspiegabilmente allontanato e trasferito nella Diocesi di Mazara del Vallo.
Chi avrà mai il coraggio di sfidare le critiche parolaie di chi andrà tranquillamente in vacanza o in villeggiatura con i propri figli, proponendo la riattivazione delle colonie estive, marine o montane, per i bambini più bisognosi, gestite dal Comune e con il costante controllo di ASP e del Garante per l'Infanzia di cui sento parlare solo nei convegni ?
Si ha la minima idea di quante strutture forestali (si pensi all' immensa ex Colonia delle Ferrovie a Ficuzza o ai tanti ex seminari estivi delle Diocesi vicine, sovente abbandonati) e litorali della costa est potrebbero essere recuperati, quale incredibile indotto ciò creerebbe, quanti posti di lavoro sarebbero attivati per le diverse qualifiche ? Quali e quanti interventi educativi tradizionali e d'avanguardia potrebbero trovare spazio in una permanenza di tre mesi gestita con criteri organizzativi e pedagogici di massima modernità ? Quante assistenti sociali, lavoratori socialmente utili, titolari di reddito cittadinanza (vero) vi potrebbero essere convogliati ? Quanti educatori volontari , psicologi disoccupati, studenti di medicina pediatrica o igienisti opportunamente guidati da autorevoli esperti, potrebbero svolgervi un tirocinio certificato ?
Ma, ecco, vedo già una folla di benpensanti pronti ad agitare vecchie immagini di colonie estive del Fascismo, con bambini dai capelli rasati a zero, inneggianti al Duce cantando "Giovinezza" ed esercitandosi con fucili di legno.
Lasciateli gridare e provate a chiedere a qualche anziano quanto quell'esperienza gli fu d'aiuto, gli garantì un pasto adeguato all'età e una visita medica periodica, tanto sport, un po' di cultura, tanti nuovi amici, qualche maestro mai dimenticato e un vago sentore di regole di convivenza civile.
Basta, troppa è l'incapacità di distinguere il vero dal falso, il giusto dall'ingiusto, la ragione dal torto. Stolto è colui che del passato non sa distinguere il grano dal loglio e come l'asino di Buridano o, se preferite citazioni più colte, come il Don Giovanni di Mozart che ispirò il filosofo danese Soren Kirkegaard, muore nell'incapacità di scegliere e si macera in una perenne quanto vana ricerca. Un infinito tentativo di pervenire ad un definitivo Aut-Aut.
E allora ? Antimafia ? "Il catalogo è questo" e vengano pure manifestazioni oceaniche, a pochi passi dal quartiere della Kalsa dove Giovanni Falcone e Paolo Borsellino giocarono insieme sognando giustizia e diritti per tutti inseguendo un pallone rotondo come il mondo, installazioni faraoniche e liturgie così simili alla beatificazione di martiri che avrebbero desiderato non esserlo
Si mettano pure in scena tardivi e costosi atti riparatori di una città che in vita li osteggiò infastidita, quando non apertamente ostile, giungendo perfino a proporre di confinarne le esistenze in qualche elegante ma lontano compound fortificato riservato soltanto a loro, per non rischiare la stolida tranquillità di chi preferisce non vedere, non sentire e, soprattutto, non parlare.
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Ogni anno mi sono sentito interpellato da questo anniversario traducendo in parole mai abbastanza adeguate i sentimenti che mi attraversavano https://www.lospessore.com/22/05/2020/a-scacchi-con-la-morte-lultima-partita-di-giovanni-falcone/. Mai, però, avrei immaginato di leggere nel trentesimo anniversario di quella strage la notizia che mi ha raggiunto pochi giorni fa e che non molti ricorderanno il 23 maggio prossimo, nel frastuono delle celebrazioni a cui proprio per la rilevanza dell'evento sarebbe stata da preferire una giornata di silenzio in tutta la Città con uffici e negozi chiusi e traffico sospeso per un'ora durante la quale riflettere e, per chi ha il dono della Fede, pregare.
Purtroppo la tentazione tutta siciliana di trasformare in kermesse ogni evento ci è stata spiegata nell' "Identikit del siciliano eccellente " scritto da Gesulado Bufalino in "La luce e il lutto" del 1988 e descritta come "Gusto della comunicazione avara e cifrata (fino all’omertà) in alternativa all’estremismo orale e all’iperbole dei gesti ".
Di seguito, la notizia ripresa da molte testate italiane e che riporto testualmente da "Palermo Live" del 12 maggio scorso, prima che venga confinata nelle ultime pagine e presto dimenticata come un tempo accadeva per un'alluvione nella (un tempo) remota Cina:
"Marcelo Pecci, un procuratore del Paraguay, America Latina, specializzato contro la criminalità organizzata e il narcotraffico, è stato assassinato ieri in un’isola della Colombia mentre era in viaggio di nozze.
I carabinieri che indagano sugli affari internazionali della ‘ndrangheta” calabrese e seguono nell’ombra le grandi rotte del narcotraffico, avevano dato un particolare soprannome a questo coraggioso procuratore: lo chiamavano “il Falcone dell’America Latina”. Infatti in tutte le sue ultime interviste aveva parlato di un piano preciso, e lo aveva spiegato con chiarezza: «Impedire che le famiglie criminali italiane riescano a radicare i loro affari anche qui in Paraguay. Con l’aiuto degli investigatori italiani, infatti, faremo di tutto per impedirglielo: conosciamo il loro metodo, la loro capacità di infiltrarsi nell’economia locale e anche negli apparati della pubblica amministrazione. Cercheremo di stroncare i loro legami e tutti i loro affari principali».
"E il destino ha voluto che Pecci facesse la stessa fine di Giovanni Falcone. E’ stato ucciso in un agguato, raggiunto da due sicari che lo hanno sorpreso in spiaggia, nell’ultimo giorno di luna di miele con la moglie in dolce attesa.
Sono arrivati sulla riva con una moto d’acqua, magliette scure, panama sulla testa e pistole con il silenziatore. Sono andati a colpo sicuro, e con due colpi hanno portato a termine la missione. Poi sono fuggiti in un attimo, anche perché il super procuratore non aveva la scorta. La moglie del procuratore non è stata ferita. Claudia Aguilera è una giornalista d’inchiesta.
Si erano sposati il 30 aprile e avevano deciso di trascorrere qualche giorno di relax in Colombia, sull’isola di Barú, 45 minuti di navigazione da Cartagena de Las Indias. Ieri sarebbero tornati ad Asunción dove lui aveva da completare una indagine che giusto ieri ha portato all’arresto di un assassino e lei, Claudia Aguilera, sarebbe tornata al lavoro di sempre.
Per ora, i due assassini l’hanno fatta franca ma la polizia colombiana ha subito divulgato le immagini registrate da alcune telecamere di sicurezza e chiesto la collaborazione dei cittadini. Inoltre ha posto una taglia e promesso 460 mila euro a chi darà il contributo più importante per la cattura dei due killer. L’inchiesta è nelle mani di un team speciale costituito appositamente e la Direzione Centrale della Polizia Criminale italiana segue il lavoro e contribuisce.
Marcelo Pecci, nato in Paraguay ma di chiarissima origine italiana, avrebbe compiuto 46 anni il 1° settembre. Seguiva di persona le indagini più scottanti sugli affari delle ‘ndrine calabresi, e sapeva tutto del business criminale che collega il Sud america all’Italia. «I membri di questa organizzazione sono persone con preparazione accademica – raccontava -.
Le attività utilizzate per riciclare il denaro sono le più varie: dai ristoranti costosi agli hotel. Gestiscono una rete molto ampia e hanno un sistema di comunicazione ben studiato. In Paraguay la ‘ndrangheta ha sufficiente autonomia economica, ma per i loro affari i clan sono disposti a ogni tipo di alleanza. La versatilità di questa organizzazione non va trascurata. Anche qui la mafia calabrese – diceva Pecci – sta tentando di entrare nei meccanismi della pubblica amministrazione per fare affari con lo Stato».
Il PM assassinato aveva avviato e concluso indagini di grande rilievo. Perché il Paraguay è diventato da alcuni anni il centro di smistamento dei carichi di droga da spedire verso l’Europa. Il “Falcone dell’America Latina” aveva messo il naso sugli intrecci fra i clan i clan, con un giro d’affari che vale 300 miliardi l’anno. E negli ultimi mesi aveva chiuso la più grande inchiesta contro il narcotraffico. "
Nicola Gratteri procuratore della Repubblica di Catanzaro, in prima linea nella lotta contro la ‘ndrangheta e sotto scorta dal 1989, così ha commentato sulla rivista Mondo «Paragonarlo a Giovanni Falcone è un'esagerazione (sic !) ma il modo in cui lo hanno ucciso rende ancora più feroce questo delitto - che poi ha aggiunto: «Omicidio di 'ndrangheta? Modalità simili. Un'imprudenza pubblicare la sua foto al mare sui social»
Una dichiarazione alquanto anodina con cui non concordo quando penso che Giovanni Falcone di quelle "imprudenze" ne collezionò molte rivendicandole come il proprio diritto a vivere, nonostante tutto, spazzi di una vita normale non tanto per sè quanto per chi, oltre ogni intuibile rischio, aveva scelto di amarlo.
Il procuratore Marcèlo Pecci e la moglie Claudia Aguilera immagine da Instagram |
E di una cosa sono certo: anche nelle carceri del Paraguay e non solo, pochi giorni fa, ancora una volta, molti avranno brindato.
L'orazione scritta da Salvo Licata nel 1992 , recitata da Michele Placido
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(*) Giornalista e Saggista. Presidente Prua.
https://www.associazioneprua.it/socio-luigi-sanlorenzo/
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