20 febbraio, 2022

Un Paese senza ricordi. In memoria di Umberto Eco.




Il privilegio di ricordare 

di Luigi Sanlorenzo (*)


Nell' Italia che si nutre di fake news, che strizza l'occhio ai negazionisti e che,  a stento, ha memoria degli eventi di appena dieci fa,  ricordare,  come ogni anno dalla scomparsa avvenuta il 19 febbraio  2016, il pensiero multiforme  di Umberto Eco non è soltanto dovuto alla dimensione del suo ingegno ma necessario per arginare la pericolosa tendenza di un Paese che vive un eterno presente, dimentica e spesso ignora  il passato, preferisce non pensare al futuro.

Lucida profezia di questa pericolosa deriva è stata la quinta fatica letteraria del Maestro che tanto ci manca e nella quale il gioco della memoria momentaneamente svanita, poi riconquistata e, infine, irrimediabilmente perduta,  diventa lo sfondo delle vicende narrate nel romanzo  "La misteriosa fiamma della regina Loana" Bompiani, giugno 2004,  apologo di un Paese proteso sul baratro dell'amnesia collettiva.

Ricordo ancora che lo lessi, ancora fresco di stampa, durante una vacanza a Cefalù nel luglio di quell'anno su una terrazza che, nelle rare pausa dell'avida lettura, concedeva la veduta straordinaria del golfo e del Duomo normanno, voluto da Ruggero II d'Altavilla, primo re di Sicilia,  dopo essere scampato ad una tempesta e approdato sulle spiagge dell'allora poco noto borgo di pescatori. Lo scenario che avevo davanti  proiettava nel presente l'ombra di una storia che al medievalista autore di "Baudolino" sarebbe piaciuta. 

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Caratteristica dell'opera è la cospicua riproduzione di illustrazioni tratte dai periodici e dai fumetti del tempo, di testi integrali di canzonette popolari e del regime, di cui oggi a stento si ricorda forse qualche parola. Un elemento, questo, che riconduce all'interesse da sempre portato dal più grande intellettuale italiano del XX secolo nei confronti della cultura visuale e più in generale popolare di cui ho scritto su https://www.lospessore.com/17/02/2020/umberto-eco-la-sicilia-e-la-vertigine-del-complotto/

Protagonista delle vicende narrate  è il libraio antiquario Giambattista Bodoni, omaggio al corregionale di origini  saluzzesi,  incisore, tipografo e stampatore italiano del XVIII secolo vissuto a Parma e noto per i caratteri da lui creati: i Bodoni, appunto, caratterizzati da un alto contrasto tra le linee spesse e quelle sottili. È il classico esempio di carattere con grazie moderno. Il Bodoni è stato usato da varie multinazionali come parte della loro marca o per definire la loro identità societaria, come nel caso di IBM. In suo onore dal 19 aprile 2021 la Gazzetta di Parma utilizza il carattere Bodoni per i propri titoli.

Il romanzo si apre con "L’incidente" la prima delle tre parti di cui esso si compone, in cui il protagonista-narratore racconta a ritroso la sua storia, che inizia quando, tre mesi prima, nell’aprile del 1991, dopo un periodo di coma, egli si risveglia privo di memoria. 

Non ha coscienza di chi sia e, in ospedale, Gratarolo, il medico che lo visita, constata che il paziente ha perso la memoria autobiografica, relativa ai suoi dati e ricordi personali, ma conserva la memoria semantica, che riguarda le conoscenze e le informazioni acquisite per via culturale. Difatti, le prime parole che Yambo, com'è soprannominato da familiari ed amici,  pronuncia sono citazioni di opere letterarie, di cui è un grande lettore e intenditore – di mestiere fa il libraio antiquario, – e che costituiscono i suoi « soli fanali nella nebbia », gli unici punti di riferimento in grado di farlo orientare in un mondo percepito come estraneo e ostile.

Affinché possa recuperare la sua identità perduta, la moglie Paola, psicologa, consiglia all’eroe smemorato (classe 1931) di recarsi a Solara, il paesino, situato tra Langhe e Monferrato, in cui sorge la vecchia casa familiare di campagna, dove, avendo trascorso alcuni anni della sua infanzia e adolescenza, Yambo può consacrarsi ad una totale immersione nel suo passato. Infatti, vi ritrova, perché conservati dal nonno, i manuali e i quaderni scolastici, i fumetti, i racconti e i romanzi che ha letto da piccolo e che riescono a far riattivare in lui il ricordo di fatti risalenti a quel periodo.

Consultando questi ed altri documenti dell’epoca con lo scopo di fare luce su se stesso, il protagonista è portato a interrogarsi sulla formazione che il sistema educativo fascista impartiva ai giovani. Più precisamente, si rende conto che la loro educazione rifletteva l’ideale militarista del regime. 

Come spiega Emilio Gentile nel libro "La via italiana al totalitarismo" tale educazione, dispensata mediante il ricorso ad una propaganda e ad una retorica, tanto altisonanti quanto povere di contenuti, li istruiva, in effetti, a essere come dei veri soldati al servizio del bene della Patria. Inquadrati in organizzazioni di tipo paramilitare, come la Gioventù Italiana del Littorio, sin dalla più tenera età, i ragazzi venivano educati, sia per mezzo dell’insegnamento scolastico che tramite la pratica sportiva e le esercitazioni pubbliche, ad una ferrea disciplina e alla cieca osservanza della dottrina fascista, che li preparavano a diventare i paladini del Duce pronti a combattere e a morire per l’Italia.

Tuttavia, a mano a mano che esamina il materiale di quegli anni, Yambo nota che, parallelamente a questa formazione rigida e monolitica, il fascismo permetteva alla gioventù littoria di dedicarsi a svaghi e divertimenti non proprio in linea con il rigore dell’ortodossia. Infatti, scopre, per esempio, che esso tollerava la diffusione di canzoni, film e libri stranieri, soprattutto francesi, inglesi e americani, che però, a causa del nazionalismo imperante, subivano, in molti casi, un processo di italianizzazione forzata, che riguardava anche altri ambiti della società.

Come sarà illustrato meglio in seguito, dietro l’immagine di un’istruzione statale piuttosto omogenea, Yambo osserva, al contrario, l’esistenza di forme di cultura “popolare” varie e diversificate nei contenuti, che circolavano accanto a e, a volte, in contrasto con le forme e i temi della cultura “ufficiale”, diretta espressione dell’ideologia dominante. Dal punto di vista politico e culturale, quest’ultima era caratterizzata, da un lato, dal mito della guerra rivoluzionaria, dalla venerazione del dio-duce-Stato, dal rifiuto della modernità capitalistica, ecc.; dall’altro, dal mantenimento dell’ordine sociale e morale, dal riconoscimento del cattolicesimo come sola religione ammessa, dal culto della tradizione di Roma antica, ecc.

In quest’ottica, la ricostruzione, fatta dal narratore, del sistema educativo e ideologico fascista, nel quale egli ravvisa tali aspetti apparentemente contraddittori, costituisce – secondo il nostro punto di vista – una tappa fondamentale del processo di riappropriazione della sua identità. Infatti, – come vedremo – è soprattutto nel rapporto conflittuale tra il rifiuto di una realtà, intesa come oppressiva e insensata, e il rifugio in un mondo idealizzato, considerato come dimensione autentica e rassicurante, che consiste la caratteristica principale della personalità e della vita di Yambo. Questi, attraverso il recupero del suo passato più doloroso, vissuto proprio durante gli anni del fascismo e della Seconda Guerra mondiale, tenterà di ricostruire sia l’una che l’altra. 

Ma la sua ricerca lo porterà a confrontarsi con due eventi che, verificatisi esattamente in quel periodo, lo hanno segnato profondamente: la “notte del Vallone” e l’amore non corrisposto per Lila. Una volta analizzati, capirà, infine, che sono state le conseguenze drammatiche, sul piano affettivo ed esistenziale, di questi due episodi che lo hanno fatto allontanare dalla realtà e lo hanno spinto verso il mondo più confortante e soddisfacente dei libri, in modo particolare di quelli antichi.

Alla luce di tutto ciò, la figura del soldato svolge un ruolo importante nella vicenda di Yambo, perché uno degli eroi della sua amata letteratura popolare, Flash Gordon, diventerà il soldato protagonista sia della sua personale “guerra di liberazione” dall’oppressione della propaganda fascista, che gli permetterà di formarsi una vera coscienza civile, che della sua onirica battaglia amorosa, che gli consentirà di provare a riconciliarsi con se stesso e con la realtà, attraverso il ricongiungimento ideale con la ragazza amata in gioventù.

Nella seconda parte del romanzo, intitolata significativamente "Una memoria di carta" il protagonista – come si è già accennato – si dà alla ricostruzione di se stesso, a cominciare dalle testimonianze scritte della sua fanciullezza che rinviene nel solaio della casa. Lanciandosi, quindi, in quella che, parafrasando Proust, potremmo chiamare la recherche de la mémorie perdue, progressivamente riesce a dissotterrare, aprendo vecchi armadi e cassoni, il suo cospicuo tesoro di carta. 

La consultazione di questo patrimonio, fatto di giornalini, albi di fumetti, riviste, libri ed altro ancora, favorisce la rievocazione di nomi e fatti che hanno per lui il sapore dell’infanzia. Al termine di questa prima ricognizione, però, Yambo inizia a rendersi conto, con un po’ di amarezza, che i ricordi riattivati non riguardano il suo vissuto personale, ma è come se «riaffiorassero frasi, sequenze di parole, scritte su un racconto letto una volta. Flatus vocis » 

Successivamente, scartabellando una nutrita raccolta di romanzi polizieschi e d’avventura, che gli parlano di storie di ladri, criminali o ribelli, come Fantômas, Rocambole, Lupin, Ciuffettino , ecc., Yambo manifesta la sua perplessità circa la liceità di queste letture, i cui contenuti anticonformisti lo colpiscono, perché contrastano apertamente con l’idea che si sta facendo di sé, cioè di un ragazzino rispettoso della morale cattolica e dell’istruzione fascista.

Da questo punto di vista, il capitolo sette - "Otto giorni in una soffitta" - si rivela molto importante. Infatti, in esso il protagonista comincia a maturare l’idea secondo la quale la sua formazione giovanile non si sia realizzata solo su manuali scolastici, inneggianti al culto dell’eroismo e della grandezza patria, o su libri ispirati da buoni sentimenti religiosi e morali, ma anche e soprattutto su romanzi, racconti, fumetti e giornalini, che gli narravano di geni del male, pirati, delinquenti, assassini e che erano, in prevalenza, di origine francese, inglese e americana.

Tuttavia, dopo le prime tre settimane di scavo nelle pieghe più recondite della sua memoria difettosa, Yambo constata che il metodo adottato, consistente nella consultazione casuale dei documenti che di volta in volta trovava, non gli ha permesso di delineare un quadro preciso e cronologico delle letture che aveva fatto nel corso di quegli anni. Per di più, sottolinea nuovamente che i ricordi, lungi dal richiamare alla mente autentiche esperienze private, «erano ancora una volta parole che richiamavano altre parole » e che si riferivano sempre a fatti dell’immaginario collettivo.

Pertanto, decide di procedere nella sua inchiesta seguendo un andamento temporale e riprende il lavoro partendo dagli anni Trenta e Quaranta, quelli della scuola elementare e media. Selezionati gli scatoloni contenenti i giornali, le riviste, i manifesti e i libri di quel periodo, si sistema comodamente nello studio del nonno dove, messo in funzione il vecchio grammofono, «col metodo di uno storico, controllando le testimonianze per confronto reciproco », si dedica all’analisi del materiale raccolto, lasciandosi trasportare dalle melodie dell’epoca.

Gettandosi a capofitto in questa impresa appassionante, che lo tiene impegnato per giornate intere, Yambo riesce a ricostruire il clima culturale e l’ideologia politico-sociale allora dominanti. E, nel fare ciò, si accorge di alcuni aspetti, a prima vista, contraddittori, riguardanti l’educazione militarista fascista, che lo lasciano un po’ perplesso. Essi consistevano nel fatto che, sui manuali scolastici, la gioventù littoria, da un lato veniva a conoscenza di edificanti storie di eroismo e di entusiasmanti vittorie militari, dall’altro apprendeva insegnamenti religiosi che raccomandavano la pace, la fratellanza e l’amore. 

Infatti, a tal proposito, Yambo si sofferma a riflettere su alcune pagine di un sussidiario in cui, per spiegare ai bambini delle elementari le lettere e i fonemi dell’alfabeto, si faceva largo uso di esempi, come Balilla, Benito, Eja Eja Alalà! (celeberrimo grido di guerra dannunziano), gagliardetto, battaglia, mitraglia, e in cui figuravano anche preghiere all’Angelo Custode.

Come se non bastasse, in un altro libro nota che c’erano pagine in cui, per esaltare le qualità di cui un giovane milite fascista doveva essere dotato, erano riportate «solo storie di azioni gloriose della prima guerra mondiale, con immagini che mostravano i nostri fanti sul Carso nudi e muscolosi come gladiatori romani », mentre «in altre pagine apparivano, per conciliare il Balilla con l’Angelo, racconti sulla notte di Natale, pieni di dolcezza e bontà» .

Contemporaneamente, il protagonista riscontra ambiguità simili anche nelle canzoni (inni del regime, canti di guerra o pezzi di musica leggera) che ascolta come sottofondo alle letture. Da una parte, i canti fascisti, come “Giovinezza” e l’inno del Balilla, facevano riferimento a prodi legionari e a intrepide camicie nere pronte a morire per il Duce, ad azioni ardite e a battaglie leggendarie, così come la canzone del “Camerata Richard” il leale e valoroso militare nazista, suonava come un omaggio all’alleanza con la Germania. Dall’altra, brani dai toni molto meno eroici, come per esempio la canzone “Lili Marleen” la quale raccontava di un soldato tedesco, triste e malinconico, che sognava di ritornare dalla sua amata. "Brani di questo tipo – commenta il narratore – non potevano certo essere considerati dei validi esempi di fierezza militare."

E se, nonostante le disfatte subite in Cirenaica e ad Addis Abeba, si continuavano a mandare in onda canzoni, quali “La saga di Giarabub” e “Adesso viene il bello” che, rispettivamente, esaltavano la strenua resistenza delle truppe italiane, assediate dagli inglesi nell’omonima oasi in Libia, e inneggiavano alla vittoria imminente contro l’Inghilterra, era evidente che la sconfitta  fosse imminente.

Come deduce giustamente il protagonista, i mezzi di comunicazione utilizzati dal fascismo a fini propagandistici, pur di minimizzare le sconfitte del proprio esercito e la superiorità dei nemici, cercavano di diffondere tra la popolazione italiana uno spavaldo ottimismo circa le sorti della guerra, sfruttando una retorica che si avvaleva delle forme e dei temi più disparati. 

Questi andavano dall’esaltazione della razza italica, forte e coraggiosa – contrapposta a quella anglosassone, pavida e vile, – all’elogio delle donne italiane, «dal seno grosso e dalle curve morbide, splendide macchine per far figli opposte alle ossute e anoressiche miss inglesi, e alla donna-crisi di plutocratica memoria »; dalla magnificazione del profilo virile di Mussolini, che, sulla copertina della rivista Tempo, brandendo alta la spada, invitava alla guerra, alla derisione caricaturale di cui erano oggetto i capi delle nazioni nemiche, Re Giorgetto d’Inghilterra, il ministro Ciurcillone, «Rusveltaccio e il terribile Stalino, l’orco rosso del Cremlino» .

Leggendo i giornali e i libri scolastici di quegli anni, ascoltando i canti guerreschi e i brani di musica popolare, Yambo si rende conto che la propaganda bellica, che era parte integrante di una precisa strategia ideologica del regime, serviva a distogliere l’attenzione degli italiani dai problemi che realmente attanagliavano il paese. 

Infatti, rileva che, per raggiungere questo scopo, il fascismo impiegava vari mezzi e strategie: innanzitutto, la manipolazione delle informazioni, con la quale faceva credere all’opinione pubblica che la guerra andava a gonfie vele, quando invece le truppe italiane subivano sconfitte su più fronti; in seguito, la retorica dell’eroismo, legata alla celebrazione del coraggio e del sacrificio per la patria, che aveva come effetto di far accrescere il nazionalismo e la percezione della grandezza dell’Italia; e, infine, la diffusione di storie, immagini e canzoni autocelebrative o spensierate, il cui obiettivo era di narcotizzare le coscienze, soffocandole in un’apparente atmosfera di gaia e rasserenante tranquillità. Distrazioni di massa, diremmo oggi.

Alla fine di questa indagine, Yambo ha l’impressione che, a causa dei messaggi propagandistici politici e culturali, era come se, all’epoca, il regime e la nazione facessero parte di due mondi diversi e in contrasto tra loro, come se «la vita scorresse su due binari, da un lato i bollettini di guerra, dall’altro la continua lezione di ottimismo e gaiezza diffusa a piene mani dalle nostre orchestre» . A questo punto, si chiede perplesso e disincantato:

 Quante anime aveva il regime? Infuriava sotto il sole africano la battaglia di El Alamein, e la radio intonava voglio vivere così col sole in fronte e felice canto, beatamente. Entravamo in guerra con gli Stati Uniti, i nostri giornali celebravano il bombardamento giapponese di Pearl Harbor, e andava in onda sotto il cielo delle Hawaii, se in una notte scenderai, il paradiso sognerai (ma forse il pubblico della radio non sapeva che Pearl Harbor era nelle Hawaii e che le Hawaii erano territorio americano). [...]
E io, io, come vivevo questa Italia schizofrenica? Credevo nella vittoria, amavo il Duce, volevo morire per lui? Credevo nelle frasi storiche del Capo che il maestro ci dettava: è l’aratro che traccia il solco ma è la spada che lo difende, noi tireremo diritto, se avanzo seguitemi se indietreggio uccidetemi ? "

Qualche giorno dopo, leggendo un suo compito in classe, che aveva per tema la difesa «della nuova eroica civiltà che l’Italia sta(va) creando », rincara la dose delle domande:

"Ci credevo davvero o ripetevo frasi fatte? Che cosa dicevano i miei genitori vedendomi portare a casa, con un ottimo voto, quei testi? Forse dovevano crederci anche loro, perché frasi simili avevano assorbito anche prima del fascismo. Per quel che la gente ne sa, non erano nati e cresciuti in un clima nazionalista in cui si inneggiava al primo conflitto mondiale come a un lavacro purificatore, non dicevano i futuristi che la guerra era la sola igiene del mondo ?"

Che tipo di influenza ha avuto nel giovane Yambo questa pervasiva e demagogica ideologia, che permeava la cultura dell’« Italia schizofrenica  » a cavallo degli anni Trenta e Quaranta? Si vedeva anche lui come un soldato fascista pronto a battersi per la causa suprema o, piuttosto, si riconosceva nei suoi amati eroi dei romanzi d’avventura?

A giudicare dalle risposte, il narratore si mostra confuso e, soprattutto, frustrato perché constata, con un leggero rammarico, che la sua ricerca gli sta restituendo un’identità ambigua e dei ricordi più generazionali che personali:

“ Mi sentivo più confuso di quando ero arrivato. Almeno prima non ricordavo nulla, zero assoluto. Ora non ricordavo ancora, ma avevo appreso troppo. Chi ero stato? Insieme, lo Yambo della scuola e della pubblica educazione, che si svolgeva per architetture littorie, cartoline di propaganda, manifesti murali, canzoni, quello di Salgari e Verne, del capitano Satana, delle efferatezze del Giornale Illustrato dei Viaggi e delle Avventure, dei delitti di Rocambole, del Paris Mysterieux di Fantomas, delle nebbie di Sherlock Holmes, o ancora, quello di Ciuffettino, e del bicchiere infrangibile ?"

Ciononostante, leggendo qualche altro quaderno di scuola, viene a conoscenza di due temi, i cui contenuti, radicalmente diversi rispetto a quelli degli anni precedenti, gli fanno pensare che, ad un certo momento, qualcosa avesse fatto crollare la sua fede da balilla e avesse fatto nascere in lui una diversa visione della realtà, più disincantata e pessimista.

Il protagonista ritiene che questo fatto misterioso, che lo ha cambiato profondamente, debba riguardarlo direttamente e che, se è stato così importante, dovrebbe trovare una sua traccia in qualche parte dell’abitazione. Vestendo i panni di Sherlock Holmes  e facendo prova di capacità abduttive degne del suo eroe, riesce a indovinare, osservando attentamente la casa dall’esterno , la presenza di un locale in una zona appartata dell’edificio. Dopo un’attenta verifica, eseguita questa volta dall’interno, scopre che si tratta di una stanza murata che, un tempo, ospitava la Cappella di famiglia – la quale, in seguito, era stata chiusa dal nonno – e che era servita come nascondiglio a quattro ragazzi, ricercati dalle Brigate Nere.

La scoperta della Cappella, se non gli consente di fare luce definitivamente sul suo passato, gli rivela l’esistenza di un universo tutto suo: grazie al ritrovamento di altri fumetti, quaderni e riviste dell’epoca, egli capisce che quello dev’essere stato il suo rifugio segreto, dove si ritirava come in un mondo di fantasia. 

Ed è proprio in questo luogo che l’adolescente Yambo, leggendo le storie surreali e stravaganti di eroi, come Romano il Legionario, Topolino, Pippo, Flash Gordon, Mandrake, ecc., si formava ancora di più al gusto del fantastico, dell’avventuroso e del meraviglioso. Ma, allo stesso tempo, – precisa il narratore – in questo suo mondo, al confine tra realtà e immaginazione, così diverso da quello reale, così lontano dalla retorica del soldato fascista, nel personaggio di Flash Gordon vedeva «la prima immagine di un eroe [...] di una qualche guerra di liberazione combattuta in un Altrove Assoluto [...] » e veniva iniziato «a una diversa visione del Bene e del Male» . Ecco il suo commento:

“Alcuni misteri della mia schizofrenia infantile iniziavano a chiarirsi. Leggevo i libri scolastici e i fumetti, ed era sui fumetti che probabilmente mi costruivo faticosamente una coscienza civile. Per questo, certamente, avevo conservato questi cocci della mia storia diroccata, anche dopo la guerra, quando mi erano capitati tra le mani (forse portati dalle truppe americane) pagine di giornali di laggiù, con le strisce colorate domenicali che mi facevano conoscere altri eroi, come Li’l Abner e Dick Tracy . "

Successivamente, Yambo ha una rivelazione che, a tutta prima, sembra potergli permettere di aggiungere un altro tassello alla comprensione del mistero che ancora avvolge la sua gioventù. Sfogliando gli albi della raccolta "Le avventure di Cino e Franco" gli capita sotto gli occhi il fumetto, intitolato "La misteriosa fiamma della regina Loana" che dà appunto il titolo al romanzo e che gli fornisce una spiegazione sul perché la sua quête sia stata scandita dal susseguirsi di quell’espressione. 

Eccitato da quel rinvenimento, che pensa possa essere la chiave di tutta la vicenda, legge il fumetto rimanendo, però, molto deluso dalla storia insignificante della regina Loana, il cui unico particolare rilevante gli sembra essere il potere, esercitato grazie ad una misteriosa fiamma che custodisce, di rendere immortale chiunque lei voglia. Infatti, precisa subito il narratore:

Sull’onda delle emozioni causate proprio dal continuo riprodursi di queste misteriose fiamme, intuisce così che si sta avvicinando alla soluzione dell’enigma. 

Consultando altro materiale nascosto segretamente nella Cappella, trova finalmente qualcosa di molto intimo che parla di lui in prima persona. Si tratta, per l’appunto, di alcune poesie adolescenziali scritte, le une per «rievocare alcuni momenti di esaltazione e di certezza », riguardanti un non precisato episodio della lotta partigiana che lo ha visto protagonista, le altre per celebrare il suo amore per una coetanea, di cui si era platonicamente innamorato a sedici anni e di cui lo aveva colpito soprattutto il volto angelico. 

Telefonando all’ amico Gianni, viene a conoscenza della sua storia d’amore non ricambiato – perché mai confessato e solo idealmente coltivato – per Lila Saba, della quale apprende solamente ora (ma, prima dell’incidente, ancora non lo sapeva) che, trasferitasi poco dopo in Brasile con la famiglia, vi era morta dopo due anni. 

La notizia lo getta nuovamente nella delusione, dal momento che gli fa apparire come vano e insensato lo sforzo rievocativo. Tuttavia, con un colpo di scena degno dei suoi prediletti libri d’azione, il casuale ritrovamento, durante l’ultima e disperata perlustrazione del solaio, del preziosissimo in-folio del 1623 – acquistato dal nonno, antiquario, e contenente l’opera omnia di Shakespeare – gli procura un tale stato di febbrile eccitazione da subire un secondo incidente che lo fa di nuovo cadere in coma. Ecco il suo ironico commento a riguardo: «Anche in condizioni di salute normali, era una trouvaille da infarto. [...] È sicuramente il grande colpo della mia vita» .

A questo punto, ha inizio la terza e ultima parte del romanzo, che ha per titolo Oἰ νόστοι (“I ritorni”). In essa, in effetti, Yambo ritorna in coma, ma – fatto alquanto interessante – egli sembra essere piuttosto vigile, perché conserva una certa coscienza della propria situazione, pur avendo spesso l’impressione di essere in un sogno. 

Immerso in questo stato, in cui alterna momenti di lucidità a momenti di delirio , e ritrovata all’ improvviso la memoria, si lascia andare alla rievocazione di fatti del passato tra i più disparati, soffermandosi, però, su quelli che lo hanno segnato maggiormente e che lo hanno portato ad un doloroso scetticismo nei confronti della realtà.

Ora, finalmente, tutto diventa chiaro: nel capitolo sedici, intitolato "Fischia il vento"   e raccontato con toni tipicamente fenogliani, il narratore comprende qual è stato l’evento che ha cambiato radicalmente la sua vita: “la notte del Vallone”, a cui ha preso parte, giovanissimo, assieme all’amico Gragnola, con grande coraggio e senso del dovere. Infatti, ricorda che, immaginando di essere, non un milite fascista, ma un eroe dei suoi libri , aveva condotto, di notte e nella nebbia, per il temibilissimo Vallone otto transfughi cosacchi che, ricercati dai tedeschi, dovevano raggiungere le brigate partigiane per unirsi alla Resistenza. Nonostante il buon esito dell’operazione, in seguito, il ricordo di questo fatto lo aveva angosciato molto per via di un peso che aveva avvertito sulla coscienza: il senso di colpa per aver assistito all’uccisione, da parte del Gragnola, di alcuni soldati nazisti che si erano lanciati al loro inseguimento. 

Al rimorso si era aggiunto lo sconforto quando aveva appreso, subito dopo, della morte dell’amico, che si era suicidato per non rivelare nulla di quella faccenda ai tedeschi che lo avevano catturato.

A causa della drammaticità di questa esperienza, il protagonista era rimasto talmente traumatizzato che, pur rimossa poi dalla sua memoria, essa aveva lasciato in lui le tracce indelebili di un profondo malessere esistenziale. Inoltre, per via dell’influenza esercitata su di lui dal suo “maestro” spirituale, l’anarchico Gragnola – il quale, ateo e nutrito di gnosticismo, gli aveva insegnato che «il mondo è dominato dal male. Anzi, il Male con la maiuscola», che «l Male non esiste al di fuori di Dio, lui ce l’ha dentro, come una malattia», e che «Dio è il Male » – aveva maturato una visione così negativa e disincantata della realtà che, da quel momento, lo aveva spinto fino a rifiutarla, perché intesa come «il regno del male» .

Desideroso di lasciarsi tutto alle spalle, negli anni successivi aveva trovato consolazione e riparo nella solitudine di un mondo che ha continuato a costruire con letture di vario genere, tutte, però, all’insegna del male di vivere e della speranza in giorni migliori, dell’espiazione della sua “colpa” (vista come un peccato) e delle prime scoperte dell’eros. 

Tali letture andavano dal “Giovane provveduto” di don Bosco (un manualetto di esercizi spirituali) all’ “Uomo finito di Papini” (del cui protagonista condivideva l’idea di una «furia bibliomaniaca» come «possibilità di una fuga non conventuale dal mondo») , dal “Controcorrente” di Huysmans (nel cui personaggio principale, Des Esseintes, s’immedesimava) alla poesia di Gozzano “La più bella!” (che gli permetteva di fantasticare dell’Isola Non-Trovata come di un sogno irraggiungibile, che preannunciava quello del suo amore irrealizzabile per Lila).

Ma è senza dubbio dal “Cyrano de Bergerac” di Edmond Rostand che era rimasto più colpito, dal momento che, attraverso la storia di Cyrano, che non riesce a rivelare e a vivere il suo amore per Rossana, Yambo, identificandosi col protagonista, non solo riviveva la propria esperienza, ma, innamorandosi dell’amore come sentimento nobile e incontaminato, lo sublimava a condizione perfetta e paradisiaca.

Richiamando alla mente questi ricordi, il narratore capisce infine che la ricerca della sua identità coincide con la scoperta di questo amore giovanile e con la consapevolezza che esso lo ha accompagnato inconsciamente per tutta la sua esistenza. 

Riflettendo su questo episodio particolarmente importante della sua adolescenza, Yambo arriva a fare definitivamente chiarezza su questo periodo e, dunque, a spiegare il senso di quello che aveva fatto della propria vita in seguito. A cominciare, per esempio, dalla decisione di laurearsi discutendo una tesi sulla “Hypnerotomachia Poliphili ” un romanzo allegorico, attribuito a Francesco Colonna (ma la paternità dell’opera è incerta), che «racconta la storia della ricerca onirica di un amore perduto (Polia) da parte del protagonista (Polifilo), come dice anche il titolo, che può esplicitarsi così: “Battaglia d’amore in sogno di Polifilo” [...]» .

Affascinato dalla sorprendente analogia tra questa vicenda e la propria, Yambo, immedesimandosi in Polifilo, ha potuto continuare a rifugiarsi in una dimensione irreale e a vivere il sogno amoroso per Lila. 

Inoltre, non bisogna dimenticare che ha preferito poi diventare libraio antiquario, probabilmente per rinchiudersi in un sapere antico, solido e rassicurante, antidoto contro un mondo violento e incomprensibile, gli effetti dei cui mali, così come dei propri traumi personali, ha cercato di curare grazie all’aiuto di sua moglie Paola, psicologa comprensiva e pragmatica. 

Tuttavia, anche se, a questo punto della ricostruzione, egli la ritiene vana, in quanto non gli permetterà di rincontrare Lila, che è morta, il protagonista riconosce che, per avere un senso e per dare un senso alla sua vita da adulto, la sua quête deve garantirgli almeno la possibilità di vedere il viso dell’amata per un’ultima volta. 

Quel viso, che ha cercato di ritrovare nei volti di tutte le donne che ha avuto, diventa ora il simbolo di un amore puro e autentico che lo ha fatto ritornare a vivere dopo il trauma della “notte del Vallone”. Esso diventa, quindi, il fine principale e ultimo della sua ricerca esistenziale, dal momento che il narratore comprende che, se lo rivedesse, questo potrebbe far riconciliare il suo passato con il suo presente.

Però, sempre più incerto sulla sua condizione, a metà strada tra sogno e realtà , e sempre più assediato dalle immagini che si accavallano nella sua mente, Yambo si rende conto, tra farneticazioni fantasiose e barlumi di lucidità, che non riesce a dare un volto a Lila. 

Purtroppo ha ancora un blocco e, non potendo chiedere l’aiuto di nessuno, decide di ricorrere ad un eroe del suo mondo di carta. Si rivolge perciò a colei che, sola, possa compiere il miracolo: la regina Loana che, per mezzo della sua misteriosa fiamma, è in grado di ridare vita a tutti i ricordi sepolti nella sua memoria ora ritrovata. Grazie alla sua intercessione, chiamando a raccolta i personaggi incontrati durante il suo lavoro di recupero del passato, Yambo assiste ad una multiforme e letteraria visione che precede l’apparizione di Lila.

In un primo momento, però, essendone stato abbacinato, riferisce di essere caduto come in uno stato onirico e, dopo essersene ripreso, ricorda di aver visto, davanti alla scalinata del liceo da cui era solito osservare estasiato la ragazza, un combattimento che descrive come apocalittico. 

Infatti, citando alcune parti del racconto dell’Apocalisse di Giovanni, il protagonista raffigura alcune fasi della battaglia tra Ming Signore di Mongo e Flash Gordon, che richiamano quelle dello scontro biblico tra Satana, la Bestia, e Gesù, che precede il giudizio finale. Ming, circondato dai «quattro Viventi », quattro personaggi del fumetto, tra cui Uraza, regina degli Uomini Magi, che è descritta esattamente come la grande prostituta dell’Apocalisse (cap. 17, 4-6), viene battuto dal rivale e, nel rovinare per le scale, «lanciava un urlo di bestia feroce» . 

E, come nel testo biblico, al posto della città distrutta da Gordon, Mongo, sorge un’altra città, «una Città di Cristallo», descritta con alcune delle caratteristiche attribuite alla Gerusalemme celeste (Ap., 21, 16-18), che sostituisce Babilonia, annientata da Cristo.

Nella seconda parte della visione, il narratore dice di essere tornato alla realtà e assiste alla discesa, per la scalinata del liceo, dei personaggi che hanno popolato il suo immaginario letterario, iconografico, musicale e cinematografico ricostruito a Solara. Al termine della loro sfilata, in stile spettacolo di varietà, fa il suo ingresso in scena la regina Loana, a cui egli si è affidato per ricevere da lei, come da una divinità declassata, la rivelazione finale.

Conclusasi questa visionaria apocalypsis, costruita, nella prima parte, a partire dai passaggi del libro giovanneo menzionati – che parlano della distruzione di Babilonia, simbolo del peccato e della morte, e del trionfo della nuova Gerusalemme, simbolo di purezza e di rinascita – Yambo sembra essere, a sua volta, purificato e rigenerato. In tale veste, inoltre, sembra essere pronto all’incontro decisivo con Lila, che è presentata, nelle pagine precedenti, con gli attributi della Madonna, luminosa e candida, e con quelli della Beatrice dantesca, creatura angelicata ispiratrice d’elevazione spirituale. 

Il momento tanto atteso è arrivato: don Bosco gli annuncia che, ora che finalmente «omnia munda mundis » (tutto è puro per i puri), «la sposa è pronta e le fu dato di vestirsi di un bisso splendido e puro, il suo splendore sarà simile a gemma preziosissima» . Ricorrendo ancora una volta all’Apocalisse (cap. 19, 5-8), che «descrive questo incontro di nuzialità trionfale in cui Cristo-Sposo diverrà una cosa sola con la Sposa del tutto purificata: la Chiesa santa di Dio », Yambo pensa che potrà infine celebrare il suo matrimonio mistico con Lila, tanto che asserisce: «Finalmente saprò come recitare all’infinito la scena finale del mio Cyrano, saprò che cosa ho cercato per tutta la vita, da Paola a Sibilla, e mi sarò ricongiunto. Sarò in pace».

Ma, dopo aver fantasticato sulla fisionomia di Lila, al termine di un’epifania che  «è solo desiderata, solo agognata », nel momento in cui dovrebbe finalmente apparire, preso dall’eccitazione, gli si annebbia la vista e muore .

Il romanzo si conclude così, con la morte del protagonista, che sancisce l’insuccesso del suo tentativo estremo – la celebrazione della sua unione metafisica e letteraria con la donna amata – di rappacificarsi con se stesso e con la realtà. 

L'italianista Giuseppe Lovito dell'Università di Tolone nel saggio "L’immagine del soldato ne La misteriosa fiamma della regina Loana di Umberto Eco" pubblicato nel 2015  dalla rivista francese "Italies" del Centro di ricerca dell'Università Aix Marceille di Aix-en- Provence,    ha rilevato che " ripercorrendo le tappe più significative della sua giovinezza e analizzando il rapporto tra la rappresentazione “schizofrenica” dell’Italia fascista e la ricostruzione ambigua della sua identità, che ricava dall’esame dei documenti dell’epoca, Yambo capisce qualcosa di fondamentale importanza: il fatto che il carattere contraddittorio proprio del mondo in cui è cresciuto, di cui l’episodio della “notte del Vallone” è per lui la testimonianza più emblematica, ha contribuito a influenzare la sua personalità e a caratterizzare la sua vita, divisa tra il rifiuto di vivere il presente, guardato con distacco e scetticismo, e il rifugio in un passato rassicurante e appagante.

In questo senso, l’immagine del soldato, che emerge dalla riflessione che il protagonista fa a proposito dell’educazione dei giovani e dell’ideologia politico-culturale fascista, costituisce un aspetto molto importante del suo lavoro di recupero dell’io. Come abbiamo potuto osservare, dal modo in cui i soldati sono descritti nei vari discorsi propagandistici del regime, Yambo perviene a ricostruirne delle immagini piuttosto stereotipate, nelle quali rileva però alcune contraddizioni. 

Infatti, nota che: il balilla legionario, lungi dall’essere il fautore della guerra rivoluzionaria fascista, come Mussolini voleva far credere, era anzi vittima di un sistema educativo oppressivo che ne soffocava la manifestazione del senso critico; i militari italiani e tedeschi, che la propaganda fascista continuava a presentare come forti e invincibili, erano ripetutamente sconfitti, come anche alcune canzoni popolari lasciavano intendere; i soldati inglesi e americani, che i mezzi di comunicazione ufficiali volevano far apparire come deboli e perdenti per scongiurarne le vittorie, rappresentavano quei paesi, i cui prodotti culturali, come racconti, fumetti, film, ecc., già cominciavano a conquistare in Italia una larga fascia di consumatori. 

Secondo la lettura che ne fa il protagonista, queste rappresentazioni rispecchiano quegli aspetti, demagogici e retorici, costitutivi dell’ideologia politica e culturale fascista, che hanno segnato considerevolmente la sua personalità, in modo particolare per quanto riguarda la scelta alternativa di rivolgersi alla letteratura, e soprattutto a quella popolare, come ad un mondo “altro”, strumento con cui si è formato una differente e più consapevole visione della realtà.

Da questo punto di vista, il personaggio di Flash Gordon, uno dei suoi eroi di carta preferiti, può essere visto come il soldato protagonista della sua personale “guerra di liberazione” dall’oppressione della cultura fascista e dalla tirannia del senso di colpa. Così inteso, egli assurge a liberatore che, rompendo le catene della propaganda e della retorica del regime, permette a Yambo di formarsi un’autentica coscienza civile, e che, aiutandolo a vincere la guerra mistica e apocalittica contro il peccato, lo mette nelle condizioni di presentarsi, purificato e rinato, al ricongiungimento amoroso con Lila.

Tuttavia, come abbiamo potuto constatare, questo non può avvenire in quanto Yambo non può raffigurarsi il volto dell’amata, che permetterebbe di fare di lei una persona “reale”, perché – come riconosce egli stesso – «anche Lila è nata da un libro» , il Cyrano de Bergerac, e perché in lei non ha amato la Lila realmente esistita, ma ha proiettato, sublimandolo, il sentimento d’amore, del quale si era invaghito immedesimandosi nella vicenda amorosa di Cyrano e Rossana. "

Un'illusione che, ad avviso di chi scrive,  richiama la lucida follia di “Don Chisciotte della Mancia”  https://nuoviapprodipress.blogspot.com/2022/01/profili-nel-tempo-dell-erranza-don.html  innamorato dell'immagine che si è creato di Dulcinea del Toboso, "donna angelica" mai vista o incontrata,  ma in nome della quale compie le  indimenticabili gesta che il suo smaliziato scudiero Sancho Panza asseconda, sperando in un impossibile compenso.

Per concludere, possiamo affermare che, leggendo questo romanzo, si ha come l’impressione che Eco ci mostri, attraverso la vicenda di Yambo, in che modo la letteratura e, più in generale, la cultura contribuiscono a dare vita ai nostri ricordi, pensieri ed emozioni, a far sì che ci costruiamo la nostra identità e ci confrontiamo con il presente e il passato, perché come nota il Maestro in "Sei passeggiate nei boschi narrativi" del 2007 «questo intrico di memoria individuale e collettiva allunga la nostra vita, sia pure all’indietro, e ci fa balenare davanti agli occhi della mente una promessa d’immortalità»  

L'unica condizione, credo di poter aggiungere,  che ci fa sperare e costruire il futuro, e Dio solo sa quanto l'Italia abbia bisogno oggi di immaginare nuove cattedrali del pensiero in un inedito orizzonte culturale di cui il grande medievalista sarebbe potuto essere il bizzarro quanto sublime architetto.

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Forse molti ignorano che non abbiamo di Umberto Eco una tomba sui cui raccoglierci. Le sue ceneri  riposeranno un giorno nel Cimitero Monumentale di Milano. Ma non nel Civico Mausoleo Garbin, l’edicola funeraria dedicata agli artisti milanesi illustri. Questa era la soluzione offerta dal Comune. La famiglia, con una lettera firmata dalla vedova, Renate Ramge, ha ringraziato l’amministrazione, ma ha rifiutato la proposta. Nessuna vena polemica. Il loro desiderio è semplicemente un altro: realizzare una tomba di famiglia, sempre al Monumentale, dove riunire tutti i propri cari. 

Nel frattempo, come la mitica Arca dell'Alleanza nel labirintico magazzino che si intravede nell'ultima sequenza del film con Harrison Ford,   l'urna cineraria è custodita nella casa di famiglia in Piazza Castello, 13 a Milano tra le decine di migliaia di libri che compongono la sterminata biblioteca del Maestro che presto sarà trasferita all'Università di Bologna,  sua Alma Mater.

https://magazine.unibo.it/archivio/2021/06/17/la-biblioteca-di-umberto-eco-in-unibo-la-presentazione-del-progetto#:~:text=La%20Biblioteca%20Moderna%20comprende%20circa,libri%20non%20pi%C3%B9%20in%20uso.




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 (*) Giornalista e saggista. Presidente PRUA

https://www.associazioneprua.it/socio-luigi-sanlorenzo/


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