Ambrogio Bontadini, Allegoria ed Effetti del Buon Governo, 1338 Palazzo Pubblico di Siena |
La partecipazione dialogica-deliberativa
di Antonella Marascia (*)
“Me We”
(Muhammad Ali / Cassius Clay)
Introduzione
Credo che la poesia più breve del mondo (“Me we”: io, noi), di Muhammad Ali o Cassius Clay possa ben introdurci al tema della democrazia partecipativa, all’interno della quale si colloca, come forma più circoscritta e definita, la democrazia di segno dialogico-deliberativo.
Come scrive Lewanski (2007) “la partecipazione certamente si basa su processi discorsivi: vi sono discussioni, scambi verbali più o meno aggressivi, talvolta negoziati e mediazioni. Ma non necessariamente si tratta di processi dialogico-deliberativi [...]. La «deliberazione» è invece un processo che mira a generare un consenso informato attraverso un metodo dialogico (in greco«discorso tra persone») che porti a comunicazioni interpersonali significative, a una progressiva comprensione delle ragioni altrui (senza rinunciare aprioristicamente alle proprie), a uno spostamento verso valutazioni più bilanciate, condivise, ragionate e orientate al cambiamento”.
Le principali caratteristiche della partecipazione di segno dialogico-deliberativa
La legittimazione di questa particolare forma di democrazia partecipativa avviene nell’ambito di un circolo virtuoso caratterizzato dai seguenti elementi:
1.
Inclusione
Chi partecipa? Robert Putman nel suo libro Bowling Alone, parla di due tipologie apparentemente contrastanti di capitale sociale (quel corpus di regole che facilitano la collaborazione all'interno dei gruppi o tra essi) che egli chiama “bonding vs.bridging”. Nella democrazia deliberativa tutte le voci debbono poter farsi sentire ed essere ascoltate.
Non stiamo parlando di tutti gli individui ma di tutti i punti di vista rispetto alla questione oggetto del processo che dovrebbe pertanto includere i portatori di interessi “diffusi” e non semplicemente gli stakeholders (che hanno normalmente accesso e influenza nelle negoziazioni istituzionali), gli individui, anche singoli, espressione di identità sociale in una società plurale ed eterogenea, i comuni, i cittadini attivi e/o i rappresentanti di microcosmi sociologicamente significativi.
2.
Informazione
Affinché il processo sia efficace, occorre mettere a disposizione dei partecipanti non già informazioni “grezze”, ma dati rilevanti sia sul piano oggettivo che soggettivo,enfatizzando gli aspetti cognitivi così da pervenire ad un’opinione informata, come avviene ad esempio nei cosiddetti “sondaggi deliberativi” (deliberative poll). E’ importante facilitare la costruzione di ponti fra saperi “esperti” e saperi “comuni”, per ridurre il divario tra bisogni e soluzioni. Interessante, a proposito, l’esempio di“ingegneria popolare” della Gronda di Genova, dove il dialogo ha fatto emergere tutte quelle conoscenze e informazioni che, portate a fattor comune, hanno condotto alla migliore delle soluzioni possibili.
3. Dialogo
Ci riferiamo ad un dialogo “strutturato”, ad un’interazione discorsiva e comunicativa su questioni significative tra soggetti liberi e uguali, sia che avvenga in prossimità, sia che avvenga a distanza, attraverso l’utilizzo delle tecnologie. Non si tratta pertanto di avviare una conversazione spontanea sull’argomento, ma di poter esprimere la propria opinione e conoscere quella degli altri, in condizioni appropriate e, appunto,strutturate, nelle quali venga data a ciascuno la possibilità di parlare ma anche di ascoltare e di comprendere le ragioni altrui. Si tratta, pertanto, di processi dialogici in qualche maniera garantiti, neutrali, protetti, facilitati, svolti in un clima di rispetto reciproco, attraverso l’utilizzo di specifiche metodologie e tecniche che variano per numero di partecipanti, durata, utilizzo di tecnologie, come, ad esempio:
L’Open Space Technology (OST): è una tecnica adatta a coinvolgere ampi gruppi di persone in eventi pubblici che abbiano come obiettivo non solo la partecipazione ma anche la costruzione di risultati ampiamente condivisi. In diverse città d’Italia si sono realizzati nel corso degli ultimi anni OST spesso finalizzati alla costruzione condivisa del Piano strategico della Città. In questi casi viene chiesto ai partecipanti di rispondere ad una domanda semplice e al tempo stesso complessa: “Quale futuro vogliamo per la nostra Città?”.
Attraverso le risposte si definiscono gli argomenti di discussione, si formano gruppi di lavoro e, nel corso di un’intera giornata, si costruisce insieme un programma di sviluppo per la città, prospettando visioni e scenari futuri e discutendo liberamente sulle strategie di intervento, le proposte progettuali, le priorità da affrontare. I risultati vengono immediatamente restituiti a tutti i partecipanti all’interno di un instant report.
L’OST presuppone un luogo abbastanza ampio da contenere tutti coloro che vogliano prendervi parte, l’utilizzo di PC, stampanti e altri strumenti tecnologici per restituire in diretta il lavoro dei gruppi e, ovviamente, una buona squadra d facilitatori.
La “Valutazione civica”: è un processo democratico di analisi critica e sistematica dell’azione delle amministrazioni pubbliche che coinvolge direttamente i cittadini e le associazioni nelle varie fasi di gestione dei servizi. Nel 2010 alcuni comuni italiani hanno sperimentato la Valutazione civica della qualità urbana, nell’ambito del progetto PON Governance 2007-2013 promosso dal Dipartimento della Funzione Pubblica e dal Formez, in collaborazione con Cittadinanzattiva e Fondaca.
In questo caso pubblica amministrazione e cittadini costruiscono insieme un percorso di valutazione oggettiva della qualità di un quartiere o dell’intera città, condividendo informazioni, sulla scorta di un percorso metodologico strutturato, con l’obiettivo di offrire ai decisori pubblici dati e informazioni condivise, per indirizzare nel migliore dei modi le politiche di miglioramento della qualità urbana, evidenziando le priorità rispetto alle risorse disponibili.
L’ Appreciative inquiry (letteralmente: l’intervista apprezzativa, l’inchiesta elogiativa): è un metodo di diagnosi che privilegia l’intelligenza collettiva, soffermandosi, in via preliminare, sugli ambiti di azione connotati da fattori stimolanti e da positività. Questa metodologia è stata sperimentata, ad esempio, in Catalogna nell’analisi dei fabbisogni formativi per la costruzione di strategie condivise di apprendimento delle persone e delle organizzazioni
Uno dei progetti più famosi di community planning che ha usato l'Appreciative Inquiry è “Imagine Chicago” (www.imagechicago.org). Il World cafè: il caffè è, storicamente, un luogo in cui si parla e si comunica in modo diretto, colloquiale, piacevole ed informale.
Nell’ ambito della democrazia deliberativa, il World Café è una metodologia che si ispira ai vecchi caffè, creando un ambiente di lavoro che facilita la libera discussione del tipo “Eravamo quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo...”. I partecipanti, a prescindere dal numero, si dividono in piccoli gruppi di 4/5 persone, sedute attorno ad un tavolino e vengono stimolati a discutere in autogestione, all’interno di un quadro comune, sotto la guida di alcune domande di riferimento. In questo modo si creano conversazioni importanti, in modo creativo e non convenzionale e si ragiona concretamente su progetti complessi, divertendosi ma anche producendo.
Il World Cafè deve essere ben organizzato e governato, lavorando sulle domande da porre e formulandole in modo tale da stimolare le persone a discutere, ragionare, proporre soluzioni, condividerle. I Circoli di ascolto organizzativo: sono un modo per sviluppare le risorse di un’organizzazione e gestire i processi di cambiamento strategico e di miglioramento continuo. Il metodo è stato messo a punto nel 2007 nell’ambito di una sperimentazione ministeriale su vasta scala ed è stato in seguito utilizzato in alcune realtà della PA e in organizzazioni private italiane.
Consente di condividere esperienze, analisi, ipotesi di miglioramento, progetti di sviluppo, aumentando il livello di partecipazione di tutta l’organizzazione rispetto a una nuova visione. A livello più ampio può essere utilizzato per creare progetti di cittadinanza partecipata, com’è avvenuto a Trieste con l’iniziativa “Appuntamenti”.
La sperimentazione e il modello vengono raccontati nel volume I Circoli di ascolto organizzativo, pubblicato da Rubbettino nel 2007 e disponibile per il download gratuito all’indirizzo:
http://dofcounseling.com/wp-content/uploads/2012/06/I_circoli_dascolto.pdf
4. Deliberazione
Il cuore del processo partecipativo è, appunto, la deliberazione che non è una decisione ma è il punto di arrivo, il risultato di un bilanciamento (la parola “delibera” viene dal latino libra = bilancia) tra i pro e i contro dei diversi possibili corsi d’azione nelle scelte collettive. Il processo deliberativo si fonda pertanto sulla responsabilizzazione dei partecipanti attraverso un confronto dialogico, sulla scorta delle opportune informazioni e conoscenze, per la migliore soluzione possibile di un problema collettivo, per una deliberazione di qualità.
5. Scelte
condivise/consenso
Lo scopo della partecipazione di segno dialogico-deliberativo è un risultato condiviso, attraverso la ricerca di un consenso effettivo, su un terreno comune, che comporta l’accettazione della diversità ed affronta i conflitti in maniera costruttiva, sulla scorta dell’assunto che è possibile cambiare opinione grazie all’ascolto di nuovi punti di vista ed all’acquisizione di tutte le necessarie informazioni. La partita non si gioca pertanto sul terreno della negoziazione o dello scambio, ma su quello della condivisione e del consenso.
6.
Influenza/Empowerment
Il processo dialogico-deliberativo comporta un impegno motivato, come la sottoscrizione di un protocollo o la redazione delle linee guida di un piano strategico o la scelta di alcune attività formative o socio-culturali piuttosto che altre, ecc... Si tratta di avviare un circolo virtuoso in cui chi partecipa non esprime un parere (più o meno obbligatorio, più o meno vincolante), ma contribuisce a scrivere la scelta che influenzerà l’attività dell’autorità che ha avviato il processo.
Se guardiamo alla Regione Toscana, pioniera in questo ambito, vediamo che, in quattro anni, sono stati affrontati ben 116 processi dialogico-deliberativi che hanno coinvolto migliaia di cittadini, con un impegno di risorse economiche pari e € 700.000,00 annui. I risultati vanno dalla crescita del senso di appartenenza alla definizione di risposte efficaci a problemi che appaiono difficilmente gestibili e risolvibili con le modalità classiche della democrazia rappresentativa, rivelatesi spesso insufficienti, e che richiedono invece l’apporto di risorse anche da parte della società civile.
Per concludere...
...Torniamo al punto di partenza: Io, Noi. L’importanza della persona, il valore del gruppo. Il bisogno del singolo, la soluzione collettiva. Il capitale sociale complessivo,che unifica i legàmi sociali (bonding), i valori condivisi (bridging), il senso di appartenenza tra cittadini e istituzioni (linking), perché “da soli si corre più veloci, ma insieme si arriva più lontano”.
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(*) Segretario Generale Città Metropolitana di Palermo. Socia PRUA
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