Super dotati o futuri emarginati ?
di Luigi Sanlorenzo
"La
chiamiamo iperdotazione perché fa riferimento alla quantità di
intelligenza: iperdotato, più intelligente della norma. Poi ci sono stati altri
termini, come gifted, 'donato', che ha spostato l’attenzione dalla
quantità alla qualità delle dotazioni".
A spiegare
l'uso della terminologia è Daniela Lucangeli, professoressa di
Psicologia dello sviluppo all’università di Padova, esperta in psicologia
dell’apprendimento e presidente di Mind4children. "Sta cambiando il
modello dell’intelligenza, quindi siamo passati al verbo, intelligere,
perché è un flusso in trasformazione che dipende da fattori universali e
ambientali. Questi bambini nascono con un tesoro a loro disposizione ma è come
avere delle sementi che devono essere messe nella condizione di dare
fioritura".
E quindi
natura e ambiente: fattori quantitativi, qualitativi, condizioni naturali e
condizioni che dipendono dal contesto educativo. "Oggi nascono più
bimbi con caratteristiche del neurosviluppo che tendono marcatamente a queste
disomogeneità delle funzioni dell’intelligere. Un profilo ad alta
dotazione è divergente, quindi ha cioè qualità diverse dagli altri, ed è
disomogeneo, non è identificabile in caratteristiche specifiche in ogni ambito
dell'intelligenza, ma ha come dei picchi e delle cadute".
In famiglia
"I genitori
attenti si accorgono subito che il figlio possiede caratteristiche quantitative
e qualitative particolari: nel fare domande, nel cercare risposte, nel
dimostrare velocità in alcune funzioni di sviluppo", prosegue la
Professoressa. "Ci sono alcune caratteristiche che strabiliano ma anche
fatiche che non comprendiamo. Perché il profilo è disomogeneo".
Un genitore deve
capire che il suo compito è quello di armonizzare lo sviluppo, i bimbi
hanno bisogno di essere compresi. "Si rischia sempre, a livello educativo,
di aumentare la cosa che c’è già. Lo sviluppo ha invece bisogno di
armonizzazione, si devono migliorare le condizioni che portano allo squilibrio
per evitare di cadere".
Non
esiste omogeneità
Qualità
particolari e precocità di alcune funzioni. "A volte questi bambini
preferiscono stare con i grandi, perché si sentono più compresi. Se trovano
un’attività interessante magari insistono per fare solo quella. Non si stancano
mai, devono sempre ampliare, la richiesta all’adulto è continua. Alcuni hanno
caratteristiche di iperattività. Ma non dobbiamo cercare l’omogeneità perché in
questi profili non c’è. Non esiste uno che somiglia all’altro". Abbiamo
una gamma di qualità con molte sfumature, con picchi di intensità e tempi di
sviluppo diversi. "Nei giochi c’è chi predilige la routine e chi la
detesta e non è mai pago di cambiamento".
Età, scuola e contesto sociale
"L'iperdotazione
esiste dalla nascita. Se il genitore sa cosa osservare, comincia prima a fare
la parte del giusto nutrimento", afferma la dottoressa Lucangeli. "A
me personalmente la famiglia arriva a chiedere aiuto quando comincia il livello
prestazionale, ossia negli ultimi anni scuola dell’infanzia e i primi anni
scuola elementare.
Sembra paradossale ma bambini molto brillanti possono avere
un futuro scolastico non corrispondente. Se non hanno le caratteristiche qualitative delle
prestazioni ma quelle della divergenza, ossia un’elaborazione profonda e acuta,
in una scuola prestazionale possono non dare i risultati che ci si aspetta da
loro.
Ci troviamo di
fronte a bambini ad alta funzionalità cognitiva che in classe non hanno la
soddisfazione che dovrebbero avere".
E proprio da qui
deve cominciare la rivoluzione.
Ci vuole un lavoro veloce e completo di formazione del
personale scolastico. "La
psicologia a scuola deve essere capace non solo di tracciare misure di
quoziente e analisi di profilo, deve educare alla maturazione delle funzioni,
deve armonizzare lo sviluppo, deve accompagnare il processo maturazionale.
È per questo
che il personale va formato, ma evidentemente facciamo ancora fatica a far
capire l'importanza di questo passaggio ”, aggiunge la professoressa. "Non
esiste un solo specialista: tutte le figure devono sapere come assistere, tempo
dopo tempo, il loro sviluppo. Bisogna generare un sistema in cui famiglia,
scuola e contesto sociale devono coadiuvare l’insieme. Lo specialista è fondamentale
perché chiarisce la situazione, il profilo, le caratteristiche, e suggerisce
come muoversi . Ma poi ci vuole la formazione condivisa.
La collettività degli insegnanti deve sapere come accompagnare questi
bambini".
Ma loro, cosa sentono?
"Hanno
ipercognizione e ipersensibilità, anche quando non lo dimostrano e sembrano
solo chiusi in loro stessi e nei loro discorsi. Questa modalità in cui vengono
definiti, bambini zebra, è per dare l’idea che rischiamo noi di
non accorgerci di quante e quali siano le loro capacità di sentire".
Anche l’OMS ha
lanciato l’allarme e dato indicazioni per una maggiore attenzione alla
ipersensibilità e all’autoregolazione emotiva, dato che la crescita, proprio
perché ha caratteristiche a picco, può essere molto faticosa a livello
emozionale.
Ascoltiamo
le loro parole
Una bimba di neanche sei anni racconta quello che sente: "A me i pensieri
fanno confusione se non li faccio uscire. Mi ci vorrebbe un travaso dalla mente
al cuore".
Il pensiero di un
ragazzo di 12 anni:
"Mi sento un’onda dentro, come un’energia più potente della mia forza
complessiva. È come una spinta che mi fa tormento….Se tengo dentro è tutto caos
come un magma vulcanico primordiale. Se faccio uscire non si svuota ma si
manifesta…. E sto così, spesso da solo, a surfare la mia onda interiore".
Venti anni fa la
percentuale dei bimbi iperdotati era dell'1,5 per cento. Oggi i normodotati
sono l’80 per cento mentre nasce un’alta percentuale di bambini iperdotati con
profili del neuro sviluppo ad altissima funzione cognitiva e disomogenei.
"Sta accadendo una trasformazione. Il numero di questi bambini sta
crescendo esponenzialmente ed è per questo che è fondamentale velocizzare i processi di cambiamento
dei sistemi formativi, sta mutando la struttura delle funzioni
e di come si evolvono", aggiunge Daniela Lucangeli.
"Un alto quoziente
intellettivo è una dote spesso dolorosa, che implica un’ipersensibilità
profonda e uno squilibrio che famiglia e società devono essere pronte e
preparate ad armonizzare.
La prima cosa che ho imparato durante le complesse
lezioni del corso di statistica all’università è stata la cosiddetta “curva di
distribuzione normale o gaussiana”: attraverso una rappresentazione a campana è
possibile ordinare la popolazione rispetto ad un fattore (argomento, concetto,
comportamento), in cui la punta della curva indica il valore medio e le sezioni
laterali tutte quelle condizioni che via via si discostano dalla media stessa.
Tutte le volte che gli psicologi formulano una
diagnosi, leggono dei dati clinici emersi ad un test e confrontano risultati
frutto di osservazioni fanno riferimento a questa rappresentazione del concetto
di normalità.
Tutte le volte che un genitore o un insegnante
valuta l’atteggiamento, le modalità relazionali e le prestazioni scolastiche di
figli o alunni fa riferimento ad un concetto molto simile di normalità, in cui
però viene evidenziato sempre come prioritario l’eventuale discostarsi dalla
media in termini di inferiorità, di problema, di insufficienza.
Almeno nei contesti evolutivi e di cura, siamo
inseriti in una logica di salute/malattia, di funzionamento/inadeguatezza, in
cui la preoccupazione è quasi sempre quella di individuare le difficoltà e fare
di tutto per colmarle secondo le modalità corrette (basti pensare ai programmi
differenziati nelle scuole e a tutta la normativa sui Bisogni Educativi
Speciali).
Accanto a queste esperienze si verificano talvolta
casi in cui le prestazioni rilevate sono al di sopra della media: bambini molto
piccoli dotati di capacità intellettive stupefacenti, giovani studenti in grado
di affrontare situazioni complesse neanche pensabili per i coetanei, fanciulli
capaci di un pensiero fuori dal comune.
Tutti questi esempi sono reali, rispecchiano una
condizione ben definita e denominata dalla comunità scientifica GIFTEDNESS o plusdotazione."
Ma come si riconosce un bambino con queste
caratteristiche?
E come si deve comportare un adulto che si trovi in
una relazione educativa con un ragazzino gifted?
Quali conseguenze implica per il piccolo disporre di
un “dono”?
Per rispondere a queste e ad altre domande può
rilevare quanto affermato dalla dott.ss Sara Peruselli, psicologa e psicoterapeuta sistemico-relazionale, dottore di
ricerca in psicologia, socia fondatrice e responsabile clinica
dell’Associazione Italiana per lo Sviluppo del TAlento e della Plusdotazione (AISTAP).
Partiamo dalla base: cosa intendiamo con
l’espressione “gifted”? Quali caratteristiche sottende?
"Non è semplice tradurre e descrivere questo termine,
reso in italiano con “plusdotazione”, poiché non esiste pieno accordo nemmeno a
livello internazionale rispetto alle sue caratteristiche, legate molto a quali
e quanti talenti ed attitudini sono considerati rilevanti in un determinato
contesto e in un dato momento storico e culturale.
Vi è però la seguente definizione a cui io e
l’Associazione AISTAP di cui faccio parte siamo affezionati:
"la plusdotazione si presenta come una
dissincronia dello sviluppo nella quale elevate capacità cognitive ed saper
svolgere le attività con notevole intensità si combinano per formare esperienze
interiori ed una consapevolezza che sono differenti dalla norma. Questo loro
essere così particolari rende i bambini plusdotati particolarmente vulnerabili
ed è per questo che sono richiesti interventi specifici e metodi/strumenti
adeguati per rispondere alle diverse esigenze, al fine di poter sviluppare
appieno il loro potenziale” (Columbus Group, 1991).
E’ una definizione ricca e articolata, che racchiude
in sé molti concetti chiave. Quali sono i principali secondo il tuo punto di
vista?
Il livello cognitivo del bambino molto superiore
alla norma, un’intensa percezione di ciò che gli accade intorno, profonde
consapevolezza e comprensione del mondo, delle regole sociali, della giustizia
e dei principali costrutti sui quali si basa la nostra società (non in linea
con l’età anagrafica).
Quando mi si chiede di descrivere cos’è la
plusdotazione faccio fatica, mi sembra sempre di non essere esaustiva; inoltre
vista la complessità e la variabilità, ciò che posso dire si riferisce sì alla
letteratura scientifica, ma principalmente all’esperienza che in questi anni ho
maturato incontrando bambini e ragazzi plusdotati.
Ho osservato alcune specificità: una grande
sensibilità (talvolta mi è capitato di dire che sono “senza pelle”), una
velocità maggiore nel cogliere i nessi e nell’analizzare situazioni e stimoli,
al punto da poter comprendere in modo più profondo le cose, un pensiero
divergente ed arborescente inarrestabile, una esperienza di vita e di gestione
emotiva che non li attrezza abbastanza per ‘star dietro’ a ciò che
potenzialmente colgono. E questi sono solo alcuni degli aspetti più salienti.
Semplificando, quando parliamo di bambini plusdotati
intendiamo quei bambini che hanno un quoziente intellettivo molto superiore
alla norma o che mostrano un talento particolare in una o più aree dello
sviluppo (es. talento cinestesico, artistico, musicale, capacità di
leadership...), letteralmente “un dono”. "
Di che numeri stiamo parlando? Quanto è diffuso il
fenomeno?
"Anche laddove esiste una legislazione (ad oggi non è
il caso del contesto italiano) che prevede misure di supporto e sostegno agli
studenti gifted, non sempre c’è accordo su quale sia la percentuale di persone
da considerare. In genere si valutano come plusdotati dal 2% al 5% (in
caso di comorbilità con difficoltà o disturbi) degli studenti, ma ogni
situazione va osservata nello specifico."
Cosa ti ha portato a lavorare in questo settore,
come hai scelto di occupartene?
"Mi occupo nello specifico di plusdotazione dal 2005,
anno in cui ho incontrato nel mio percorso di formazione post laurea Annamaria
Roncoroni, ora Presidente Aistap. Osservando il suo lavoro, ho notato una serie
di paradossi: come mai bambini con potenzialità così grandi si trovano
spesso in difficoltà a scuola o nelle relazioni con gli altri? Perché capita
spesso che siano etichettati nei più disparati modi, che mettono in luce le
difficoltà anziché le risorse? O ancora, cosa si può fare affinché possano
essere più sereni e “banalmente” felici?
Prima di intervenire è però necessario riconoscere
di essere in presenza del fenomeno. Sulla base dei concetti chiave che hai
citato, come possono le famiglie e gli insegnanti scoprire se i loro figli e
alunni sono gifted?
Riconoscere i bambini plusdotati non è semplice, ma
neppure impossibile e ritengo doveroso far riferimento alle linee guida
presenti in ambito internazionale (es. la Raccomandazione europea n.1248/1994
del Consiglio d’Europa). Ciò che spesso accade è che le famiglie si rivolgano a
professionisti per una valutazione psicodiagnostica a fronte di difficoltà a
scuola e/o nella relazione con i pari e nelle gestione delle emozioni. A volte
sono le precocità a sorprendere, altre le difficoltà e differenze con la
maggior parte dei coetanei.
Per scoprire se uno studente è gifted si procede con
la valutazione, fatta prevalentemente attraverso l’uso di test standardizzati
tra i quali quelli per il famoso Quoziente Intellettivo, un numero che letto da
sé vuol dire poco e niente. E a seconda delle situazioni, della domanda, della
storia del singolo bambino o ragazzo e delle specificità, il professionista
valuterà quali aspetti approfondire.
I percorsi di valutazione psicodiagnostica non si
possono improvvisare, ma necessitano di preparazione, formazione specifica da
parte del professionista, oltre a sensibilità e disponibilità a diventare un
punto di riferimento molto spesso anche per la famiglia e la scuola.
Gli insegnanti, dal canto loro, possono imparare ad
osservare una serie di segnali che aiutano a scoprire e a riconoscere gli
alunni plusdotati. È però indispensabile che anch’essi siano opportunamente
formati, oltre che, sembrerà banale, interessati e motivati.
In Italia, almeno per il momento, siamo ancora
all’inizio per quanto riguarda la realizzazione di adeguati percorsi di
formazione per i docenti e non esistono percorsi curricolari specifici per
questi studenti. Si può però lavorare per creare opportunità a scuola che
rispondano alle esigenze del singolo, in una logica di beneficio comune."
Quali sono le implicazioni che tale diagnosi porta
con sé? Quali aspettative da parte degli adulti hai osservato più
frequentemente?Intanto non la chiamerei 'diagnosi', ma una possibile
descrizione di un importante aspetto della persona.
"Personalmente lavoro con l’obiettivo di far emergere
le risorse ed il potenziale di bambini e ragazzi plusdotati, non dimenticando
però la possibilità che dietro ci possano essere fatiche e sofferenze.
Vi sono in primis alcuni miti da sfatare (che creano inevitabilmente aspettative) per avvicinarsi a questo “mondo”, il primo fra tutti riguarda l'idea che il bambino plusdotato debba essere il piccolo genio, quello che va bene a scuola e sa tutto. Impensabile. Vero è che può essere uno studente di successo, autonomo perché bravo e capace, veloce nell'apprendere, consapevole delle proprie abilità e che lavora per ottenere ciò che desidera.
Accanto ad esso sono però presenti anche altre
tipologie: lo studente provocatore, che spesso mette in atto comportamenti poco
adeguati e non accettabili; lo studente invisibile che tende e fare
tutto ciò che ci si aspetta, nascondendo particolari capacità e cercando
l'approvazione; lo studente a rischio di abbandono scolastico, che si
sente molto diverso dai coetanei e spesso non compreso; lo studente con
doppia eccezionalità, che può avere un DSA oppure altri tipi di difficoltà o
disturbi, unitamente alla plusdotazione.
Non è semplice individuarli anche perché spesso nel
nostro Paese siamo abituati ad indossare le lenti di “ciò che non funziona”.
In realtà spesso è proprio la mancanza di
riconoscimento a creare i maggiori problemi, così come anche il chiedere
continuamente ai bambini gifted di aspettare e ai genitori di non “spingerli”.
Ecco un altro falso mito. I bambini plusdotati
non sono indottrinati, né sono così per via di genitori eccessivamente
stimolanti. Quasi sempre apprendono in totale autonomia a leggere e scrivere
molto prima dell’ingresso alla scuola primaria, ma non è detto che lo facciano.
Lo stesso vale per molti altri aspetti legati all’apprendimento. Sono curiosi e
vogliono imparare. Non si fermano di fronte a semplici spiegazioni o a
banalizzazioni o a frasi quali “non ora”, “sei troppo piccolo”. Hanno sete di
sapere e di imparare."
Ma una volta valutati e scoperti?
"Vi è il "dopo. Scoprire di appartenere ad una minoranza, quale è la plusdotazione, aiuta a comprendere molti aspetti di sé fino a poco prima risultati stonati nel contesto dei pari, ma a volte non è sufficiente per essere sereni.
Ci possono essere difficoltà più individuali, legate alla propria storia ed al proprio percorso, difficoltà nella relazione con i pari, così diversi nell'approccio alla scuola, all'apprendimento e spesso anche alla vita e con interessi marcatamente differenti. Poi molto di frequente si osserva la cosiddetta dissincronia tra sviluppo cognitivo e sviluppo emotivo:
di fatto la giovane età non ha permesso ai bambini gifted di essere pronti di
fronte alla grande mole di pensieri complessi che fanno (es. sull’origine della
vita, il significato della morte, il senso di giustizia, ecc.). E a volte i
genitori si trovano in una fatica costante di riconoscere i punti di forza dei
propri figli, quando quelli che emergono (soprattutto con l’ingresso nel mondo
della scuola) sembrano punti di debolezza."
Esiste una componente genetica nel mondo della
plusdotazione, ovvero si tratta di un gene che può essere trasmesso?
"Molti studi su fratelli gifted mettono in luce come
vi sia una componente genetica che spiega l'ereditarietà di alcuni
fattori. D'altro canto la genetica non è però sufficiente per prevedere,
né per determinare ciò che accadrà! Di fatto un talento può esprimersi solo
quando i catalizzatori personali ed ambientali lavorano a sostegno del talento
stesso, altrimenti possiamo avere tutta la dotazione del mondo ma questa non
troverà il modo di esprimersi.
Ecco perchè ritengo che lavorare sulle risorse e
sulle potenzialità di ciascuno, qualsiasi sia la "dotazione di
partenza", sia la chiave per migliorare la qualità della vita di
ciascuno! "
Quali suggerimenti puoi dare ad un genitore che si
trovi in questa situazione?
"Rivolgersi ad un professionista con cui fare la
valutazione cognitiva è una possibilità, per scoprire se il proprio figlio è
plusdotato e ripartire da lì.
Inoltre, sempre più spesso risulta utile il confronto
con altri genitori. AISTAP per questo organizza non solo laboratori ed attività
specifiche per bambini e ragazzi, ma anche occasioni di gruppo per i genitori
stessi, sia di tipo informale, che condotti da professionisti che collaborano
con l’Associazione.
Importante è poi ricordare che si offrono percorsi
di formazione e supporto ai docenti sia per aiutarli a riconoscere gli
studenti plusdotati, sia per una didattica più personalizzata nel caso in cui
abbiano già in classe bambini o ragazzi plusdotati.
Altre volte i singoli individui e/o le famiglie
necessitano di un percorso più clinico, di supporto o psicoterapia individuale
o familiare, per affrontare momenti di difficoltà o per ritrovare le
risorse necessarie. In particolare io lavoro molto spesso in co-conduzione con
colleghi “non esperti” nell’ottica di mantenere il più possibile una visione
ampia e binoculare della situazione.
Può capitare infine che sia necessario l’invio a
professionisti per approfondimenti o interventi di riabilitazione funzionale."
L’ AISTAP nasce
nel 2010 da un’idea di un gruppo di psicologi e ricercatori che si occupavano
da circa un decennio di plusdotazione, talento e sviluppo del potenziale.
Grazie al supporto ed al lavoro di rete con molti colleghi di differenti paesi
dell'Europa e del mondo, mira a far conoscere la plusdotazione e a dare la
possibilità a tutti questi studenti di potersi sentire liberi di sviluppare il
loro potenziale.
Don Calogero La Placa e i "suoi ragazzi" |
Una storia siciliana
Era il 1967 e in contrada Cerasella,
appena fuori dal piccolo comune di Petralia Soprana, don Calogero La
Placa, il sacerdote scomparso nel gennaio dello scorso anno all' età di 96 anni, dava vita a
una strana scuola.
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Il progetto dell’ Associazione PRUA
Sulla scorta di queste riflessioni l’Associazione
PRUA (Progetto Risorse Umane per l’ Autonomia) https://www.associazioneprua.it/ fondata a Palermo nel 2001 e nella quale sono presenti esperti psicologi professionisti ed accademici, ha deliberato la
progettazione di un percorso articolato in due obiettivi e alcune fasi da implementare
nel tempo.
Primo obiettivo: procedere alla rilevazione sul
campo e al censimento degli “alti potenziali”
eventualmente presenti nelle periferie e tra i ragazzi e ragazze,
residenti a Palermo, estendendo la platea a coloro che sono di provenienza
extracomunitaria e che, in molti casi, presentano risultati scolastici di
rilievo.
Secondo obiettivo: Somministrare sul campo strumenti
di rilevazione secondo standard già
applicati e validati
Le fasi previste
Nel rispetto di ogni tutela della privacy e dei diritti dei minori, pubblicare i dati rilevati e presentarli nel corso
di uno specifico convegno da svolgere in collaborazione con Mensa Club, AISTAP e le maggiori associazioni che si occupano del
tema.
Individuare i soggetti più rilevanti e sostenerne lo
sviluppo sia nella fase scolastico/universitaria che in quella delle scelte
professionali, agevolandone l’ingresso nel mondo del lavoro in organizzazioni particolarmente
attente alla ricerca di talenti.
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Per approfondire l'argomento
https://www.camera.it/temiap/2014/06/11/OCD177-283.pdf
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