10 febbraio, 2022

I ragazzi del dono

 


Super dotati o futuri emarginati ?

di Luigi Sanlorenzo


"La chiamiamo iperdotazione perché fa riferimento alla quantità di intelligenza: iperdotato, più intelligente della norma. Poi ci sono stati altri termini, come gifted, 'donato', che ha spostato l’attenzione dalla quantità alla qualità delle dotazioni".

A spiegare l'uso della terminologia è Daniela Lucangeli, professoressa di Psicologia dello sviluppo all’università di Padova, esperta in psicologia dell’apprendimento e presidente di Mind4children. "Sta cambiando il modello dell’intelligenza, quindi siamo passati al verbo, intelligere, perché è un flusso in trasformazione che dipende da fattori universali e ambientali. Questi bambini nascono con un tesoro a loro disposizione ma è come avere delle sementi che devono essere messe nella condizione di dare fioritura".

E quindi natura e ambiente: fattori quantitativi, qualitativi, condizioni naturali e condizioni che dipendono dal contesto educativo.  "Oggi nascono più bimbi con caratteristiche del neurosviluppo che tendono marcatamente a queste disomogeneità delle funzioni dell’intelligere. Un profilo ad alta dotazione è divergente, quindi ha cioè qualità diverse dagli altri, ed è disomogeneo, non è identificabile in caratteristiche specifiche in ogni ambito dell'intelligenza, ma ha come dei picchi e delle cadute".

In famiglia

"I genitori attenti si accorgono subito che il figlio possiede caratteristiche quantitative e qualitative particolari: nel fare domande, nel cercare risposte, nel dimostrare velocità in alcune funzioni di sviluppo", prosegue la Professoressa. "Ci sono alcune caratteristiche che strabiliano ma anche fatiche che non comprendiamo. Perché il profilo è disomogeneo".

Un genitore deve capire che il suo compito è quello di armonizzare lo sviluppo, i bimbi hanno bisogno di essere compresi. "Si rischia sempre, a livello educativo, di aumentare la cosa che c’è già. Lo sviluppo ha invece bisogno di armonizzazione, si devono migliorare le condizioni che portano allo squilibrio per evitare di cadere".

Non esiste omogeneità

Qualità particolari e precocità di alcune funzioni. "A volte questi bambini preferiscono stare con i grandi, perché si sentono più compresi. Se trovano un’attività interessante magari insistono per fare solo quella. Non si stancano mai, devono sempre ampliare, la richiesta all’adulto è continua. Alcuni hanno caratteristiche di iperattività. Ma non dobbiamo cercare l’omogeneità perché in questi profili non c’è. Non esiste uno che somiglia all’altro". Abbiamo una gamma di qualità con molte sfumature, con picchi di intensità e tempi di sviluppo diversi. "Nei giochi c’è chi predilige la routine e chi la detesta e non è mai pago di cambiamento".

Età, scuola e contesto sociale

"L'iperdotazione esiste dalla nascita. Se il genitore sa cosa osservare, comincia prima a fare la parte del giusto nutrimento", afferma la dottoressa Lucangeli. "A me personalmente la famiglia arriva a chiedere aiuto quando comincia il livello prestazionale, ossia negli ultimi anni scuola dell’infanzia e i primi anni scuola elementare. 

Sembra paradossale ma bambini molto brillanti possono avere un futuro scolastico non corrispondente. Se non hanno le caratteristiche qualitative delle prestazioni ma quelle della divergenza, ossia un’elaborazione profonda e acuta, in una scuola prestazionale possono non dare i risultati che ci si aspetta da loro.

Ci troviamo di fronte a bambini ad alta funzionalità cognitiva che in classe non hanno la soddisfazione che dovrebbero avere".   

E proprio da qui deve cominciare la rivoluzione. 

Ci vuole un lavoro veloce e completo di formazione del personale scolastico"La psicologia a scuola deve essere capace non solo di tracciare misure di quoziente e analisi di profilo, deve educare alla maturazione delle funzioni, deve armonizzare lo sviluppo, deve accompagnare il processo maturazionale.

È per questo che il personale va formato, ma evidentemente facciamo ancora fatica a far capire l'importanza di questo passaggio ”, aggiunge la professoressa. "Non esiste un solo specialista: tutte le figure devono sapere come assistere, tempo dopo tempo, il loro sviluppo. Bisogna generare un sistema in cui famiglia, scuola e contesto sociale devono coadiuvare l’insieme. Lo specialista è fondamentale perché chiarisce la situazione, il profilo, le caratteristiche, e suggerisce come muoversi . Ma poi ci vuole la formazione condivisa. La collettività degli insegnanti deve sapere come accompagnare questi bambini".

Ma loro, cosa sentono?

"Hanno ipercognizione e ipersensibilità, anche quando non lo dimostrano e sembrano solo chiusi in loro stessi e nei loro discorsi. Questa modalità in cui vengono definiti, bambini zebra, è per dare l’idea che rischiamo noi di non accorgerci di quante e quali siano le loro capacità di sentire".

Anche l’OMS ha lanciato l’allarme e dato indicazioni per una maggiore attenzione alla ipersensibilità e all’autoregolazione emotiva, dato che la crescita, proprio perché ha caratteristiche a picco, può essere molto faticosa a livello emozionale.

Ascoltiamo le loro parole

Una bimba di neanche sei anni racconta quello che sente: "A me i pensieri fanno confusione se non li faccio uscire. Mi ci vorrebbe un travaso dalla mente al cuore".

Il pensiero di un ragazzo di 12 anni:  "Mi sento un’onda dentro, come un’energia più potente della mia forza complessiva. È come una spinta che mi fa tormento….Se tengo dentro è tutto caos come un magma vulcanico primordiale. Se faccio uscire non si svuota ma si manifesta…. E sto così, spesso da solo, a surfare la mia onda interiore".

Venti anni fa la percentuale dei bimbi iperdotati era dell'1,5 per cento. Oggi i normodotati sono l’80 per cento mentre nasce un’alta percentuale di bambini iperdotati con profili del neuro sviluppo ad altissima funzione cognitiva e disomogenei. "Sta accadendo una trasformazione. Il numero di questi bambini sta crescendo esponenzialmente ed è per questo che è fondamentale velocizzare i processi di cambiamento dei sistemi formativi, sta mutando la struttura delle funzioni e di come si evolvono", aggiunge Daniela Lucangeli.

"Un alto quoziente intellettivo è una dote spesso dolorosa, che implica un’ipersensibilità profonda e uno squilibrio che famiglia e società devono essere pronte e preparate ad armonizzare.

La prima cosa che ho imparato durante le complesse lezioni del corso di statistica all’università è stata la cosiddetta “curva di distribuzione normale o gaussiana”: attraverso una rappresentazione a campana è possibile ordinare la popolazione rispetto ad un fattore (argomento, concetto, comportamento), in cui la punta della curva indica il valore medio e le sezioni laterali tutte quelle condizioni che via via si discostano dalla media stessa.

Tutte le volte che gli psicologi formulano una diagnosi, leggono dei dati clinici emersi ad un test e confrontano risultati frutto di osservazioni fanno riferimento a questa rappresentazione del concetto di normalità.

Tutte le volte che un genitore o un insegnante valuta l’atteggiamento, le modalità relazionali e le prestazioni scolastiche di figli o alunni fa riferimento ad un concetto molto simile di normalità, in cui però viene evidenziato sempre come prioritario l’eventuale discostarsi dalla media in termini di inferiorità, di problema, di insufficienza.

Almeno nei contesti evolutivi e di cura, siamo inseriti in una logica di salute/malattia, di funzionamento/inadeguatezza, in cui la preoccupazione è quasi sempre quella di individuare le difficoltà e fare di tutto per colmarle secondo le modalità corrette (basti pensare ai programmi differenziati nelle scuole e a tutta la normativa sui Bisogni Educativi Speciali).

Accanto a queste esperienze si verificano talvolta casi in cui le prestazioni rilevate sono al di sopra della media: bambini molto piccoli dotati di capacità intellettive stupefacenti, giovani studenti in grado di affrontare situazioni complesse neanche pensabili per i coetanei, fanciulli capaci di un pensiero fuori dal comune.

Tutti questi esempi sono reali, rispecchiano una condizione ben definita e denominata dalla comunità scientifica GIFTEDNESS o plusdotazione."

Ma come si riconosce un bambino con queste caratteristiche?

E come si deve comportare un adulto che si trovi in una relazione educativa con un ragazzino gifted?

Quali conseguenze implica per il piccolo disporre di un “dono”?

Per rispondere a queste e ad altre domande può rilevare quanto affermato dalla dott.ss Sara Peruselli, psicologa e psicoterapeuta sistemico-relazionale, dottore di ricerca in psicologia, socia fondatrice e responsabile clinica dell’Associazione Italiana per lo Sviluppo del TAlento e della Plusdotazione (AISTAP).

Partiamo dalla base: cosa intendiamo con l’espressione “gifted”? Quali caratteristiche sottende?

"Non è semplice tradurre e descrivere questo termine, reso in italiano con “plusdotazione”, poiché non esiste pieno accordo nemmeno a livello internazionale rispetto alle sue caratteristiche, legate molto a quali e quanti talenti ed attitudini sono considerati rilevanti in un determinato contesto e in un dato momento storico e culturale.

Vi è però la seguente definizione a cui io e l’Associazione AISTAP di cui faccio parte siamo affezionati:

"la plusdotazione si presenta come una dissincronia dello sviluppo nella quale elevate capacità cognitive ed saper svolgere le attività con notevole intensità si combinano per formare esperienze interiori ed una consapevolezza che sono differenti dalla norma. Questo loro essere così particolari rende i bambini plusdotati particolarmente vulnerabili ed è per questo che sono richiesti interventi specifici e metodi/strumenti adeguati per rispondere alle diverse esigenze, al fine di poter sviluppare appieno il loro potenziale” (Columbus Group, 1991).

E’ una definizione ricca e articolata, che racchiude in sé molti concetti chiave. Quali sono i principali secondo il tuo punto di vista?

Il livello cognitivo del bambino molto superiore alla norma, un’intensa percezione di ciò che gli accade intorno, profonde consapevolezza e comprensione del mondo, delle regole sociali, della giustizia e dei principali costrutti sui quali si basa la nostra società (non in linea con l’età anagrafica).

Quando mi si chiede di descrivere cos’è la plusdotazione faccio fatica, mi sembra sempre di non essere esaustiva; inoltre vista la complessità e la variabilità, ciò che posso dire si riferisce sì alla letteratura scientifica, ma principalmente all’esperienza che in questi anni ho maturato incontrando bambini e ragazzi plusdotati.

Ho osservato alcune specificità: una grande sensibilità (talvolta mi è capitato di dire che sono “senza pelle”), una velocità maggiore nel cogliere i nessi e nell’analizzare situazioni e stimoli, al punto da poter comprendere in modo più profondo le cose, un pensiero divergente ed arborescente inarrestabile, una esperienza di vita e di gestione emotiva che non li attrezza abbastanza per ‘star dietro’ a ciò che potenzialmente colgono. E questi sono solo alcuni degli aspetti più salienti.

Semplificando, quando parliamo di bambini plusdotati intendiamo quei bambini che hanno un quoziente intellettivo molto superiore alla norma o che mostrano un talento particolare in una o più aree dello sviluppo (es. talento cinestesico, artistico, musicale, capacità di leadership...), letteralmente “un dono”. "

Di che numeri stiamo parlando? Quanto è diffuso il fenomeno?

"Anche laddove esiste una legislazione (ad oggi non è il caso del contesto italiano) che prevede misure di supporto e sostegno agli studenti gifted, non sempre c’è accordo su quale sia la percentuale di persone da considerare. In genere si valutano come plusdotati dal 2% al 5% (in caso di comorbilità con difficoltà o disturbi) degli studenti, ma ogni situazione va osservata nello specifico."

Cosa ti ha portato a lavorare in questo settore, come hai scelto di occupartene?

"Mi occupo nello specifico di plusdotazione dal 2005, anno in cui ho incontrato nel mio percorso di formazione post laurea Annamaria Roncoroni, ora Presidente Aistap. Osservando il suo lavoro, ho notato una serie di paradossi: come mai bambini con potenzialità così grandi si trovano spesso in difficoltà a scuola o nelle relazioni con gli altri? Perché capita spesso che siano etichettati nei più disparati modi, che mettono in luce le difficoltà anziché le risorse? O ancora, cosa si può fare affinché possano essere più sereni e “banalmente” felici?

Prima di intervenire è però necessario riconoscere di essere in presenza del fenomeno. Sulla base dei concetti chiave che hai citato, come possono le famiglie e gli insegnanti scoprire se i loro figli e alunni sono gifted?

Riconoscere i bambini plusdotati non è semplice, ma neppure impossibile e ritengo doveroso far riferimento alle linee guida presenti in ambito internazionale (es. la Raccomandazione europea n.1248/1994 del Consiglio d’Europa). Ciò che spesso accade è che le famiglie si rivolgano a professionisti per una valutazione psicodiagnostica a fronte di difficoltà a scuola e/o nella relazione con i pari e nelle gestione delle emozioni. A volte sono le precocità a sorprendere, altre le difficoltà e differenze con la maggior parte dei coetanei.

Per scoprire se uno studente è gifted si procede con la valutazione, fatta prevalentemente attraverso l’uso di test standardizzati tra i quali quelli per il famoso Quoziente Intellettivo, un numero che letto da sé vuol dire poco e niente. E a seconda delle situazioni, della domanda, della storia del singolo bambino o ragazzo e delle specificità, il professionista valuterà quali aspetti approfondire.

I percorsi di valutazione psicodiagnostica non si possono improvvisare, ma necessitano di preparazione, formazione specifica da parte del professionista, oltre a sensibilità e disponibilità a diventare un punto di riferimento molto spesso anche per la famiglia e la scuola.

Gli insegnanti, dal canto loro, possono imparare ad osservare una serie di segnali che aiutano a scoprire e a riconoscere gli alunni plusdotati. È però indispensabile che anch’essi siano opportunamente formati, oltre che, sembrerà banale, interessati e motivati.

In Italia, almeno per il momento, siamo ancora all’inizio per quanto riguarda la realizzazione di adeguati percorsi di formazione per i docenti e non esistono percorsi curricolari specifici per questi studenti. Si può però lavorare per creare opportunità a scuola che rispondano alle esigenze del singolo, in una logica di beneficio comune."

Quali sono le implicazioni che tale diagnosi porta con sé? Quali aspettative da parte degli adulti hai osservato più frequentemente?Intanto non la chiamerei 'diagnosi', ma una possibile descrizione di un importante aspetto della persona.

"Personalmente lavoro con l’obiettivo di far emergere le risorse ed il potenziale di bambini e ragazzi plusdotati, non dimenticando però la possibilità che dietro ci possano essere fatiche e sofferenze.

Vi sono in primis alcuni miti da sfatare (che creano inevitabilmente aspettative) per avvicinarsi a questo “mondo”, il primo fra tutti riguarda l'idea che il bambino plusdotato debba essere il piccolo genio, quello che va bene a scuola e sa tutto. Impensabile. Vero è che può essere uno studente di successo, autonomo perché bravo e capace, veloce nell'apprendere, consapevole delle proprie abilità e che lavora per ottenere ciò che desidera. 

Accanto ad esso sono però presenti anche altre tipologie: lo studente provocatore, che spesso mette in atto comportamenti poco adeguati e non accettabili; lo studente invisibile che tende e fare tutto ciò che ci si aspetta, nascondendo particolari capacità e cercando l'approvazione; lo studente a rischio di abbandono scolastico, che si sente molto diverso dai coetanei e spesso non compreso; lo studente con doppia eccezionalità, che può avere un DSA oppure altri tipi di difficoltà o disturbi, unitamente alla plusdotazione.

Non è semplice individuarli anche perché spesso nel nostro Paese siamo abituati ad indossare le lenti di “ciò che non funziona”.

In realtà spesso è proprio la mancanza di riconoscimento a creare i maggiori problemi, così come anche il chiedere continuamente ai bambini gifted di aspettare e ai genitori di non “spingerli”.

Ecco un altro falso mito. I bambini plusdotati non sono indottrinati, né sono così per via di genitori eccessivamente stimolanti. Quasi sempre apprendono in totale autonomia a leggere e scrivere molto prima dell’ingresso alla scuola primaria, ma non è detto che lo facciano. Lo stesso vale per molti altri aspetti legati all’apprendimento. Sono curiosi e vogliono imparare. Non si fermano di fronte a semplici spiegazioni o a banalizzazioni o a frasi quali “non ora”, “sei troppo piccolo”. Hanno sete di sapere e di imparare."

Ma una volta valutati e scoperti?

"Vi è il "dopo. Scoprire di appartenere ad una minoranza, quale è la plusdotazione, aiuta a comprendere molti aspetti di sé fino a poco prima risultati stonati nel contesto dei pari, ma a volte non è sufficiente per essere sereni.

Ci possono essere difficoltà più individuali, legate alla propria storia ed al proprio percorso, difficoltà nella relazione con i pari, così diversi nell'approccio alla scuola, all'apprendimento e spesso anche alla vita e con interessi marcatamente differenti. Poi molto di frequente si osserva la cosiddetta dissincronia tra sviluppo cognitivo e sviluppo emotivo: 

di fatto la giovane età non ha permesso ai bambini gifted di essere pronti di fronte alla grande mole di pensieri complessi che fanno (es. sull’origine della vita, il significato della morte, il senso di giustizia, ecc.). E a volte i genitori si trovano in una fatica costante di riconoscere i punti di forza dei propri figli, quando quelli che emergono (soprattutto con l’ingresso nel mondo della scuola) sembrano punti di debolezza."

Esiste una componente genetica nel mondo della plusdotazione, ovvero si tratta di un gene che può essere trasmesso?

"Molti studi su fratelli gifted mettono in luce come vi sia una componente genetica che spiega l'ereditarietà di alcuni fattori. D'altro canto la genetica non è però sufficiente per prevedere, né per determinare ciò che accadrà! Di fatto un talento può esprimersi solo quando i catalizzatori personali ed ambientali lavorano a sostegno del talento stesso, altrimenti possiamo avere tutta la dotazione del mondo ma questa non troverà il modo di esprimersi. 

Ecco perchè ritengo che lavorare sulle risorse e sulle potenzialità di ciascuno, qualsiasi sia la "dotazione di partenza", sia la chiave per migliorare la qualità della vita di ciascuno! "

Quali suggerimenti puoi dare ad un genitore che si trovi in questa situazione?

"Rivolgersi ad un professionista con cui fare la valutazione cognitiva è una possibilità, per scoprire se il proprio figlio è plusdotato e ripartire da lì.

Inoltre, sempre più spesso risulta utile il confronto con altri genitori. AISTAP per questo organizza non solo laboratori ed attività specifiche per bambini e ragazzi, ma anche occasioni di gruppo per i genitori stessi, sia di tipo informale, che condotti da professionisti che collaborano con l’Associazione.

Importante è poi ricordare che si offrono percorsi di formazione e supporto ai docenti sia per aiutarli a riconoscere gli studenti plusdotati, sia per una didattica più personalizzata nel caso in cui abbiano già in classe bambini o ragazzi plusdotati.

Altre volte i singoli individui e/o le famiglie necessitano di un percorso più clinico, di supporto o psicoterapia individuale o familiare, per affrontare momenti di difficoltà o per ritrovare le risorse necessarie. In particolare io lavoro molto spesso in co-conduzione con colleghi “non esperti” nell’ottica di mantenere il più possibile una visione ampia e binoculare della situazione.

Può capitare infine che sia necessario l’invio a professionisti per approfondimenti o interventi di riabilitazione funzionale."

L’ AISTAP nasce nel 2010 da un’idea di un gruppo di psicologi e ricercatori che si occupavano da circa un decennio di plusdotazione, talento e sviluppo del potenziale. Grazie al supporto ed al lavoro di rete con molti colleghi di differenti paesi dell'Europa e del mondo, mira a far conoscere la plusdotazione e a dare la possibilità a tutti questi studenti di potersi sentire liberi di sviluppare il loro potenziale.


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Don Calogero La Placa e i "suoi ragazzi"


Una storia siciliana

Era il 1967 e in contrada Cerasella, appena fuori dal piccolo comune di Petralia Soprana, don Calogero La Placa, il sacerdote scomparso nel gennaio dello scorso anno all' età di 96 anni, dava vita a una strana scuola.

Chi scrive ebbe modo di intervistarlo alcuni anni fa, anche grazie alla presentazione del compianto professor Giovani Sprini originario di quelle zone. Mi colpì molto la sincera commozione dell'anziano sacerdote e la gratitudine per aver ricordato la sua esperienza di pioniere che volle raccontarmi.

All’ interno del "Villaggio Maurizio Carollo”, o come altri lo chiamavano il "villaggio del superdotato", don Calogero aveva radunato i ragazzini della provincia di Palermo con un quoziente intellettivo più alto della media.

«Ricordo che un gruppo di assistenti sociali venne nella scuola elementare che frequentavo a Marineo – racconta Salvatore Pulizzotto, uno degli ex-allievi della scuola -. Chiesero agli insegnanti di segnalare loro i bambini più vivaci e con una creatività più spiccata».

Don Calogero era uno dei primi componenti italiani del "Mensa", l’associazione internazionale riservata a chi possiede un elevato quoziente intellettivo e i bambini e i ragazzi selezionati dovevano superare una rigorosa serie di test curati da psicologi ed esperti.

L’esperienza iniziò con 16 ragazzi per arrivare poi, nel corso degli anni, a circa 50 allievi. Fu così singolare, perlomeno in Sicilia, che quell'esperimento pionieristico (che si concluse nel 1975) divenne oggetto di studi di rilevanza internazionale, per esempio di quelli dell’antropologa statunitense Margaret Mead che alla fine degli anni Sessanta fu ospite per qualche settimana a Cerasella insieme alla sua allieva di origini siciliane Josephine Danna.

La didattica era assolutamente non convenzionale. Nel corso dell’intera giornata si studiavano le materie classiche, tra cui italiano, greco, latino, matematica, storia, scienze ma anche musica, pianoforte e flauto con un’insegnante statunitense, c’erano laboratori d’avanguardia di chimica e di lingue, con insegnanti madrelingua.

A insegnare spagnolo era un professore arrivato dal Nicaragua, si organizzavano cineforum e avevano persino creato un gruppo musicale che si esibiva in occasione dei matrimoni.

Facevano ginnastica, giocavano a calcio e a pallavolo, praticavano sci ed equitazione. Tutti i ragazzini vivevano lì. C’era il complesso centrale della scuola e attorno refettorio e dormitorio, poi vennero anche costruiti dei piccoli bungalow in cui vivevano gli insegnanti e gli studenti a piccoli gruppetti.

I ragazzini che componevano il centro provenivano da famiglie non particolarmente agiate, non erano affatto benestanti, erano figli di contadini e di operai.

È il caso ad esempio di Salvatore Lanasa, oggi chirurgo e proprietario di una clinica privata in Virginia, negli Stati Uniti, figlio di un bracciante agricolo stagionale che - come racconta Salvatore Pulizzotto - arrivò nella scuola addirittura senza scarpe e con pochissimi vestiti a disposizione.

Per gran parte di loro, quella che di don Calogero fu un’incredibile opportunità di proseguire gli studi anche universitari.

«Io entrai al secondo anno – continua Pulizzotto – era il 1968. Mio padre era un contadino. Sono entrato nel centro di don Calogero a 10 anni, è stata un’esperienza fondamentale di vita, dal punto di vista della formazione sicuramente ma anche dal punto di vista delle relazioni. Ancora oggi, dopo quasi 50 anni siamo rimasti tutti in contatto».

Tra le attività extra c’era anche una piccola fattoria. «Avevamo una ventina di mucche e producevamo il latte che vendevamo porta a porta in paese, burro, formaggio e ricotta - aggiunge -. Avevamo anche maiali, galline, era un avviamento delle attività zootecniche che ci hanno permesso per lungo tempo di sostentarci».

Dopo i primi anni, i ragazzi potevano scegliere liberamente quali materie seguire e quali attività extra svolgere a seconda delle proprie attitudini.

Le parole chiave del centro, di questo microcosmo che gli allievi oggi definiscono un po' anarchico, erano infatti "libertà e responsabilità". E il principio di don Calogero era proprio quello: non perdere le intelligenze ma, al contrario, metterle a servizio dell’Umanità.

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Il progetto dell’ Associazione PRUA

Sulla scorta di queste riflessioni l’Associazione PRUA (Progetto Risorse Umane per l’ Autonomia) https://www.associazioneprua.it/ fondata a Palermo nel 2001 e nella quale sono presenti esperti psicologi professionisti  ed accademici, ha deliberato la progettazione di un percorso articolato in due obiettivi e alcune fasi da implementare nel tempo.

Primo obiettivo: procedere alla rilevazione sul campo e al censimento degli “alti potenziali”  eventualmente presenti nelle periferie e tra i ragazzi e ragazze, residenti a Palermo, estendendo la platea a coloro che sono di provenienza extracomunitaria e che, in molti casi, presentano risultati scolastici di rilievo.

Secondo obiettivo: Somministrare sul campo strumenti di rilevazione secondo standard  già applicati e validati

Le fasi previste

Nel rispetto di ogni tutela della privacy e dei diritti dei minori, pubblicare i dati rilevati e presentarli nel corso di uno specifico convegno da svolgere in collaborazione con Mensa Club, AISTAP  e le maggiori associazioni che si occupano del tema.

Individuare i soggetti più rilevanti e sostenerne lo sviluppo sia nella fase scolastico/universitaria che in quella delle scelte professionali, agevolandone l’ingresso nel mondo del lavoro in organizzazioni particolarmente attente alla ricerca di talenti.


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Per approfondire l'argomento

https://www.psy.it/wp-content/uploads/2019/05/Linee-Guida-per-la-Valutazione-della-Plusdotazione-Cognitiva-in-Eta%CC%80-Evolutiva_16_2_2019.pdf

https://www.camera.it/temiap/2014/06/11/OCD177-283.pdf

https://www.mensa.it/

https://www.aistap.org/


 

 Dal film Will Hunting, USA, 1997, regia di Gus Van Sant



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(*) Giornalista e saggista. Presidente PRUA

https://www.associazioneprua.it/socio-luigi-sanlorenzo/

 


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