Lo sciopero d' i' gnuri
di Salvatore Sutera (*)
Totò Buscemi era uno dei più noti cocchieri di Palermo. In realtà lui tollerava di essere chiamato così soltanto dai forestieri che, carichi di valigie, scendevano al porto o dal treno, ma lui ’gnuri era, e questa qualifica la sbandierava quasi fosse un titolo nobiliare. Era ’gnuri da generazioni, tutti lo conoscevano e in città, almeno una volta, avevano approfittato di una corsa sulla sua carrozza tirata da un cavallo che trattava meglio della moglie.
Suo bisnonno era stato uno degli ultimi siggitteri, ossia quei servi addetti al trasporto delle portantine a braccia, chiamate appunto siggette. Il nonno e il padre, estintesi le sedie volanti, erano diventati tariolàri, ovvero cocchieri che,per la cifra di un tarì, portavano in giro turisti e cittadini.
Quando la frusta passò nelle mani di Totò, tutto avvenne con la logica delle cose ineluttabili, e fu per lui naturale salire a cassetta, gridare un iuuù di incoraggiamento al cavallo, toccarne con la zotta le reni e continuare il mestiere degli antenati. Ereditata la carrozza del padre, se ne prendeva cura in modo maniacale, lustrandone ogni mattina le parti cromate e ingrassando i finimenti di robusto cuoio. Il sedile del passeggero, poi, e la cappottina pieghevole erano il suo fiore all’occhiello. Dedicava alla loro pulizia più tempo di quanto ne dedicasse alla propria, al punto che, quando i clienti prendevano posto in carrozza, commentavano: “Chi ciàvuru di neonato!”, mentre quando si avvicinavano a lui borbottavano: “Chi fetu d’armali!”. Inoltre, puliva così a fondo i vetri dei due fanali a petrolio ai lati del posto di guida, che il cerchio di luce da essi proiettato sulla strada era molto più luminoso e ampio di quello delle altre carrozze.
Durante la lunga giornata lavorativa, Totò stazionava nella zona antistante al porto perché la clientela che scendeva dalle navi era più disposta ad elargire qualche mancia,oltre al prezzo fissato dal Municipio per il trasporto entro le mura cittadine.
L’avvento di un nuovo mezzo di trasporto, l’omnibus,e l’arroganza dei gestori della compagnia che estendevano ogni giorno di più il loro raggio d’azione nella città, togliendo clienti ai cocchieri, lo vide paladino nella difesa della categoria, con l’istituzione di una congrega che aveva sede in una chiesa in via dell’Alloro.
Le controversie tra i conducenti dei diversi mezzi di trasporto non tardarono a diventare quotidiani, e poiché i ’gnuri non avevano mai frequentato l’Istituto delle Ancelle né alcun altro Educandato, gli scontri con gli avversari non si limitarono agli epiteti contro la scarsa morigeratezza dei costumi di madri, mogli e sorelle dei conducenti di omnibus; volarono pure pugni e schiaffi, e più di una volta qualche frusta arrestò la sua corsa sulle spalle di un rivale.
Inconciliabili apparivano le posizioni delle due parti in causa. La Società che gestiva il trasporto su omnibus allargava sempre di più la propria rete con una concorrenza, a detta dei cocchieri, sleale, non rispettando i giorni di festa né le zone di maggiore attrazione turistica come la Passeggiata a mare. La vicenda giunse fino alle stanze del Sindaco, Emanuele Paternò, che cercò di sciogliere quel nodo di Gordio senza riuscirvi.
Nel settembre del 1891 si giunse quindi a uno sciopero che si sarebbe protratto a lungo, creando gravissimi disagi ai palermitani. Nelle riunioni tenutesi durante i primi giorni della manifestazione, tutti i’gnuri, ed erano più di seicento, stabilirono che nessuna carrozza avrebbe dovuto lasciare la rimessa, nessun cocchiere salire a cassetta, nessun passeggero a pagamento prendere posto in vettura.
Neanche il carro funebre chè sempre guidato da un cocchiere era - avrebbe dovuto accompagnare i morti al camposanto. “Che ci vadano con i loro piedi, se proprio ci tengono!”, disse qualcuno trascinato dalla foga ma, per fortuna, anche ai più fanatici quella sembrò francamente un’esagerazione, e la frase venne immediatamente archi-viata! Sta di fatto, però, che i mezzi persuasivi adoperati dai cocchieri nei confronti di qualche collega che, approfittando della mancanza di concorrenza, aveva continuato a caricare passeggeri, furono tali che nessuno si azzardò più a trasgredire alle direttive della categoria.
Le vie di Palermo si trasformarono in un deserto: nessuna carrozzella tessè più le vie della città, il suono del ritmato trotto del cavallo non si levò al di sopra del cicaleggio cittadino, né lo schiocco secco di una frusta sottolineò il cambiamento di velocità della carrozza.
In una tale situazione carica di tensione e rabbia, a Totò Buscemi venne la brillante idea di morire! Niente di straordinario, si dirà, tutto secondo le regole immutabili della vita.
E invece no, perché la sua dipartita costituì un casus belli.
Il decano dei cocchieri, infatti, aveva sempre manifestato alla famiglia il desiderio di essere accompagnato al cimitero non dal carro comunale, ma dalla sua carrozza, come era stato per suo padre e per il padre di suo padre!
A Palermo, i più anziani ricordavano ancora il trasporto funebre del nonno: la cassa era stata adagiata su un pianale a ruote incatenato all’ asse posteriore della carrozza,con decine di altre vetture parate a lutto al seguito. Certo, quelli erano stati privilegi non comuni, sui quali le precedenti amministrazioni cittadine avevano chiuso un occhio,ma adesso la situazione era molto diversa e pericolosa.
La Società degli omnibus, infatti, avrebbe potuto interpretare il ritorno anche di una sola carrozza in strada, come il fallimento dello sciopero e la fine della contesa a loro favore; i cocchieri non avrebbero gradito la sicumera della Società rivale, i disordini sarebbero ripresi e questa volta era facile che ci scappasse il morto.
Intanto, mentre si discuteva, Totò Buscemi morto lo era da ventiquattro ore e una decisione bisognava pur prenderla. Non tenere conto delle ultime volontà del de cuius e fargli compiere l’ultimo viaggio sul carro funebre del Comune? Certo, sarebbe stata la soluzione che avrebbe salvato capra e cavoli, ma in Sicilia niente è più complicato delle cose semplici!
La moglie fu irremovibile: il marito aveva deciso così e così andava fatto! Anche tra i cocchieri i pareri erano discordi. Si era stabilito che nessuna carrozza sarebbe uscita dalla rimessa eccetera eccetera. Sì, obiettava qualcuno, però questo era un caso particolare, uno dei cocchieri storici di Palermo, anzi il fondatore della Congregazione!
No, ribattevano acidi altri, lo sciopero riguardava tutti i ’gnuri, pure quelli morti. Qualcuno, forse quello della prima infelice uscita, azzardò: “Ma se voleva andare al camposanto sulla sua carrozza, perché non moriva prima!”, dimenticando che questo atto non dipende, in linea di massima, dalla personale volontà.
Si era quindi ad un punto morto, è proprio il caso di dire, e sembrava che nessuna risoluzione potesse mettere d’accordo tutti.
Scese la seconda notte dacché Totò Buscemi era passato al mondo dei più e i cocchieri, dopo aver fatto opera di doverosa presenza dinanzi al feretro del collega, si ritirarono nelle loro case.
Durante la veglia, a Pitrino, figlio tredicenne di Totò, balenò improvvisa un’idea. La espose alla madre e quella, silenziosamente, approvò con un cenno della testa. L’indomani mattina, giorno nel quale doveva assoluta mente essere effettuato il trasporto, l’uscio della rimessa sita accanto alla casa dei Buscemi si aprì, e nella cornice della porta apparve il cavallo parato con tutti i finimenti, mentre nell’ombra si intravedeva la carrozza.
Alcuni curiosi cominciarono ad avvicinarsi e a guardare; qualcuno, meravigliato,si segnava, altri scoprivano rispettosamente il capo. Ma cosa stava dunque accadendo?
Il mistero stava per essere svelato. Lentamente, il cavallo mosse qualche passo trainando la carrozza tirata a lucido sulla quale, oh meraviglia!, saldamente legata tra lo strapuntino e la cappotta, stava, obliqua, la cassa che conteneva le spoglie mortali di Totò Buscemi.
Gli ooh ! e i talìa ! si sprecarono, mentre, con l’agilità di uno scoiattolo, saliva a cassetta Pitrino, il quale sapeva condurre meglio del padre. Uno schiocco leggero e il cavallo, quasi conscio di effettuare una corsa fuori dal normale, prese solennemente a muoversi.
La voce si era sparsa rapidamente e così, adesso, la gente era tanta, e numerosi anche i cocchieri venuti a rendere un ultimo omaggio al defunto. Uno, il meno rispettoso di tutti, afferrato per le briglie il cavallo, apostrofò il ragazzo: “Picchì niscìsti ’a carrozza? Che fa, non lo sai ca semu in sciopero?”.
Pitrino, senza scomporsi, sollevata sulla fronte la visiera del berretto che era stato di suo padre, rispose: “’U sciopero è p’i ’gnuri, e io nun sugnu ’gnuri! I carrozzi non devono pigghiari passeggeri paganti, e ccà supra c’è sulu ’u patruni! Si vo’ acchianàri tu a fare cumpagnia a mè patri, ’u spazio c’è, io nun ti fazzu pagari e accussì semu a posto!”.
Molti risero a quell’alzata d’ingegno e la tragedia, come spesso accade, si trasformò in farsa.
“Cumincia a caminàri, ma fai ’u giro largo p’a Marina”, lo esortò dopo un attimo di silenzio quello che lo aveva rimproverato, vinto dall’arguta risposta, “e poi fermati a Piazza Garraffello”.
“Sta bene!”, rispose serio quel ragazzo che si era conquistato il rispetto di gente che non andava tanto per il sottile. Per arrivare al cimitero di Santo Spirito bisognava risa-lire tutto Corso Vittorio Emanuele II e, giunti alla Cattedrale, proseguire oltre Porta Nuova, quindi dirigersi verso la periferia della città. Il tragitto era lungo e più lungo sarebbe diventato a causa di quella deviazione, ma il ragazzo non protestò.
Pitrino a cassetta, morto in carrozza, madre e parenti stretti dietro, lo strano corteo arrivò finalmente nel luogo convenuto. Impiegò più di mezz’ora, ma quando vi giunse, uno spettacolo straordinario e commovente si presentò ai suoi occhi e a quelli dei moltissimi palermitani già a conoscenza del fatto: almeno trecento ’gnuri, con tanto di divisa e frusta in mano, tenendo per la cavezza il loro cavallo, riempivano l’ampio spazio davanti a Villa Garibaldi, immobili come statue! Le carrozze le avevano lasciate in rimessa, così le regole dello sciopero non sarebbero state infrante ma la volontà del morto sarebbe stata rispettata. “Nessuna carrozza dovrà uscire dalla rimessa, nessun cocchiere montare a cassetta”.
Pitrino, con gli occhi lucidi, toccò con la frusta il cavallo, e quell’ incredibile corteo funebre si mosse.
Totò Buscemi l’aveva spuntata!
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(*) Salvatore Sutera è nato a Palermo. Laureato in Filosofia e diplomato in canto al Conservatorio Duni di Matera, didatta di tecnica vocale, da sempre coltiva l’amore per la musica lirica. Per la casa editrice Leima ha pubblicato "Vento di Scirocco" sua opera prima, raccolta di otto racconti, giunta alla seconda edizione, e il romanzo "L’avventura di due garibaldini per caso", secondo classificato al Premio Nazionale Isola 2018 - Pino Fortini.
Entrambi, oltre che su territorio nazionale, sono stati presentati anche a Ginevra. Per la casa editrice Azzali, di Parma, ha pubblicato il volume "Anche un basso può volare…alto" e "Ho brillato in un cielo di stelle" dedicati alla figura del celebre basso-baritono siciliano Simone Alaimo. L’ultima sua fatica letteraria è stata "Una calda scia di sangue" Ed. Leima, edita nell’agosto del 2021.
Un cordiale benvenuto allo scrittore Salvatore Sutera che inaugura una nuova sezione di Nuovi Approdi con questo racconto che riporta ad antiche atmosfere, parte integrante dell'anima di questa Città. Grazie Totò !
RispondiEliminaGrazie per l'attenzione dedicata a questo mio racconto della "memoria" che spero possa contribuire a mantenere vivo l'amore per il nostro passato di siciliani e palermitani. Ma non solo!
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