"Meritocrazia", questa sconosciuta...
di Massimo Pullara (*)
Ho
sempre avuto un concetto distorto della parola “raccomandazione”,
attribuendole il tradizionale significato negativo.
Mi
sono chiesto il perchè.
E
mi sono risposto: perchè in questo Paese i raccomandati sono quasi
sempre inetti, incapaci, collocati in posti di cui non sanno nulla.
Ma
la “raccomandazione” in sé potrebbe non essere un valore
negativo. Se
solo chi intercede per “raccomandare” semplicemente si limitasse
a segnalare una persona capace, in grado di non mettere a repentaglio
l'immagine dell'intercessore e che il raccomandato fosse capace di
farsi valere sul campo, dimostrando preparazione e capacità.
Basta
cambiare lingua, passare dall'italiano all'inglese, e il piano si
capovolge in senso positivo.
Le
“recommendations” negli Stati Uniti portano ad occupare un posto
di lavoro su due. Si
tratta però di “raccomandazioni” molto diverse dalle nostre. Chi
segnala qualcuno per un posto di lavoro lo fa con grande prudenza,
perché mette in gioco la propria reputazione e risponde moralmente
della performance della persona segnalata; da noi invece, come detto,
si raccomandano con leggerezza persone che non si conoscono (dal
punto di vista delle capacità professionali) per posti di lavoro che
non si conoscono.E
allora proviamo ad abbandonare il termine “raccomandazione”, o
quanto meno ad associarlo al concetto di “meritocrazia”.
Che
cos’è la meritocrazia?
La
meritocrazia è un sistema di valori. In
Italia il sistema di valori è molto meno meritocratico di quello di
altre società, come quella nord-americana e scandinava, molto più
capaci di assicurarsi una classe dirigente di alto livello. La
mancanza di meritocrazia è la causa principale del declino delle
nostre strutture politiche ed economiche.
Sir
Michael Young, il laburista inglese che nel 1954 creò il termine
“meritocrazia”, ha inventato “l’equazione del merito”:
I+E=M, dove “I” è l’intelligenza (sia quella cognitiva che
quella emotiva) ed “E” significa “effort”, cioè sforzo.
Nell'architettura
del pensiero di Young, la “I” avrebbe dovuto portare a
selezionare i migliori molto presto, azzerando i privilegi della
nascita e valorizzandoli attraverso il sistema educativo: insomma, le
moderne “pari opportunità”. La “E” è il simbolo del libero
mercato e della concorrenza che, almeno sino a prova contraria, sono
il metodo più efficace per creare gli incentivi economici per i
migliori.
Non
credo ci vogliano particolari capacità intuitive o di ragionamento
per affermare che in Italia i due valori della meritocrazia, così
come descritti da Young (pari opportunità grazie al sistema
educativo e libero mercato), sono quanto meno carenti.
Analizziamo
l'aspetto relativo alle “pari opportunità” per i giovani.
Procedendo
da Nord a Sud, si fermano a Roma. I
giovani del Sud hanno scuole pessime: lo dimostrano i test che ci
collocano agli stessi livelli di paesi come la Thailandia o
l'Uruguay, paesi splendidi ma certamente non assimilabili ad esempi
di efficienza.
Se
parliamo delle donne, il quadro peggiora ulteriormente.
Le
pari opportunità per le migliori donne italiane non esistono. Tanto
che si deve ricorrere all'aberrazione delle “quote rosa”, a mio
parere indicatore principe del livello di arretratezza culturale e
sociale di un Paese.
Analizziamo
allora l'altro aspetto, quello relativo alla “concorrenza”.
E
partiamo da un' anomalìa. In
Italia si preferisce proteggere imprese e lavoratori piuttosto che
consumatori e cittadini. E
la classe imprenditoriale italiana, dimostrando tutto il suo
provincialismo (quando non addirittura l'adesione ad un “moderno
feudalesimo”), invece di far crescere la propria azienda
valorizzando il talento non familiare, preferisce tenere ben stretto
il controllo della leadership in famiglia, in modo tale che l'impresa
serva soprattutto, o esclusivamente, gli interessi della famiglia.
Quale
progresso in queste condizioni?
Nessuno,
e si vede.
Il
Cattolicesimo, che sul concetto e il valore della Famiglia basa gran
parte del proprio dogma, rischia così di essere additato come una
delle principali cause del ritardo dell'Italia. Un
ritardo causato dall'applicazione (anche in molti altri settori) del
concetto e della dalla forza abnorme della famiglia, che genera quel
“familismo amorale” italiano studiato dai sociologi di tutto il
mondo e giustificato dalla debolezza dello Stato che non è riuscito
a creare fiducia nei cittadini.
Nel
1958 Edward Banfield nel suo libro ”Le basi morali di una società
arretrata”, tradotto in Italia solo nel 1976, prese spunto dai suoi
studi sul campo condotti in un paesino della Basilicata, in provincia
di Potenza, che presentava evidenti tratti di arretratezza sotto il
profilo economico e sociale. Grazie a questi studi l'autore arrivò a
ipotizzare che certe comunità sarebbero arretrate soprattutto per
ragioni culturali. La loro cultura presenterebbe una concezione
estremizzata dei legami familiari che danneggia la capacità di
associarsi e l'interesse collettivo.
Banfield
ne dedusse una serie di nefaste conseguenze, la principale delle
quali era che nessuno persegue l'interesse comune, salvo quando ne
trae un vantaggio proprio.
Gli
italiani non hanno fiducia nella Giustizia, nella Scuola, nella
Sanità pubblica, e così si rifugiano nella “famiglia”.
Cosa
altro sono, se non “famiglie”, associazioni come Confindustria e
Confcommercio? L’azienda
di famiglia passa oggi di padre in figlio (maschio) esattamente come
150 anni fa in tutto il mondo si passava la proprietà della terra.
In
Italia la “meritocrazia” continua ad essere simbolo di
ineguaglianza, quando invece è proprio l'assenza di meritocrazia ad
avere generato la società più ineguale, forse, dell'occidente
industrializzato.
Non
è esiste mobilità orizzontale nel mondo del lavoro in Italia. Solo
staticità verticale. Chi
è povero, dunque, resta povero e la differenza tra redditi “top”
e redditi “bottom” è altissima. Con
una aggravante: l'inesistenza, appunto, della mobilità orizzontale
che in altri paesi invece, grazie anche alle pari opportunità,
consente meno divario nelle diseguaglianze.
Non
tutto è negativo ovviamente.
Esistono
isole di eccellenza che dimostrano che la meritocrazia può
attecchire anche in Italia. Ma
bisogna cambiare tendenza. E
tocca, ancora una volta, alla politica. Bisogna
innanzitutto consegnare ai cittadini un settore pubblico più
efficiente, una più giovane e preparata classe dirigente nella
Pubblica Amministrazione. Creare
un sistema che consenta di verificare la qualità della scuola e il
merito di insegnanti, che sono l’unico vero strumento per aumentare
il merito degli studenti. Migliorare
la qualità della scuola primaria e secondaria, in particolare al
Sud. Prevedere
norme per i Consigli di Amministrazione delle più importanti società
che impongano alte quote di presenze femminili “qualificate”. Sono
tante le ricerche che dimostrano come le imprese con leadership anche
femminile crescano e guadagnino di più.
Insomma,
puntare ad un Paese che non abbia più paura della “meritocrazia”.
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(*) Giornalista professionista. Socio PRUA
https://www.associazioneprua.it/socio-massimo-pullara/
Un'analisi dettagliata e onesta intellettualmente che contribuisce a far pulizia di tanti luoghi comuni sul valore del merito spesso dettati dalla consapevolezza della propria inadeguatezza o impreparazione che si pretende di nascondere dietro un falso egualitarismo ! Grazie Massimo !
RispondiEliminaLa maggioranza dei politici non essendo interessata allo sviluppo del Paese, ma unicamente alla propria ricchezza, o quantomeno alla propria rielezione, non è interessata alle persone di merito, ma esclusivamente alle persone fedeli che portano voti. Come si suole dire, per lui i cittadini sono "voti con i piedi". I politici di una volta riservavano tra le proprie file qualche spazio alle persone di merito, ora non più, quindi sempre peggio per le persone intelligenti e colte che pertanto ragionano con la propria testa: sono infatti definiti "inaffidabili", quindi per fare carriera dovranno, salvo una minoranza che costituisce eccezione, emigrare. Una volta al Nord, data l'industria e l'economia c'erano zone libere dalla politica. Ora con la delocalizzazione e il precariato stanno finendo anche lì. Infatti i migliori sono andati in USA, in UK, ecc.
RispondiEliminaCondivido le interessanti riflessioni in particolare sull'importanza della cultura per lo sviluppo e la crescita di un popolo. Cultura che deve essere trasmessa e sviluppata fin dalle scuole primarie. Purtroppo penso che volutamente si cerca di abbassare sempre più il livello culturale e la capacità di ragionamento perché così è più facile ... per chi vuole gestire le "masse" ...
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