11 gennaio, 2022

Riflessioni sul merito


 "Meritocrazia", questa sconosciuta...

di Massimo Pullara  (*)


Ho sempre avuto un concetto distorto della parola “raccomandazione”, attribuendole il tradizionale significato negativo.

Mi sono chiesto il perchè.

E mi sono risposto: perchè in questo Paese i raccomandati sono quasi sempre inetti, incapaci, collocati in posti di cui non sanno nulla.

Ma la “raccomandazione” in sé potrebbe non essere un valore negativo. Se solo chi intercede per “raccomandare” semplicemente si limitasse a segnalare una persona capace, in grado di non mettere a repentaglio l'immagine dell'intercessore e che il raccomandato fosse capace di farsi valere sul campo, dimostrando preparazione e capacità.

Basta cambiare lingua, passare dall'italiano all'inglese, e il piano si capovolge in senso positivo.

Le “recommendations” negli Stati Uniti portano ad occupare un posto di lavoro su due. Si tratta però di “raccomandazioni” molto diverse dalle nostre. Chi segnala qualcuno per un posto di lavoro lo fa con grande prudenza, perché mette in gioco la propria reputazione e risponde moralmente della performance della persona segnalata; da noi invece, come detto, si raccomandano con leggerezza persone che non si conoscono (dal punto di vista delle capacità professionali) per posti di lavoro che non si conoscono.E allora proviamo ad abbandonare il termine “raccomandazione”, o quanto meno ad associarlo al concetto di “meritocrazia”.

Che cos’è la meritocrazia?

La meritocrazia è un sistema di valori. In Italia il sistema di valori è molto meno meritocratico di quello di altre società, come quella nord-americana e scandinava, molto più capaci di assicurarsi una classe dirigente di alto livello. La mancanza di meritocrazia è la causa principale del declino delle nostre strutture politiche ed economiche.

Sir Michael Young, il laburista inglese che nel 1954 creò il termine “meritocrazia”, ha inventato “l’equazione del merito”: I+E=M, dove “I” è l’intelligenza (sia quella cognitiva che quella emotiva) ed “E” significa “effort”, cioè sforzo.

Nell'architettura del pensiero di Young, la “I” avrebbe dovuto portare a selezionare i migliori molto presto, azzerando i privilegi della nascita e valorizzandoli attraverso il sistema educativo: insomma, le moderne “pari opportunità”. La “E” è il simbolo del libero mercato e della concorrenza che, almeno sino a prova contraria, sono il metodo più efficace per creare gli incentivi economici per i migliori.

Non credo ci vogliano particolari capacità intuitive o di ragionamento per affermare che in Italia i due valori della meritocrazia, così come descritti da Young (pari opportunità grazie al sistema educativo e libero mercato), sono quanto meno carenti.

Analizziamo l'aspetto relativo alle “pari opportunità” per i giovani.

Procedendo da Nord a Sud, si fermano a Roma. I giovani del Sud hanno scuole pessime: lo dimostrano i test che ci collocano agli stessi livelli di paesi come la Thailandia o l'Uruguay, paesi splendidi ma certamente non assimilabili ad esempi di efficienza.

Se parliamo delle donne, il quadro peggiora ulteriormente.

Le pari opportunità per le migliori donne italiane non esistono. Tanto che si deve ricorrere all'aberrazione delle “quote rosa”, a mio parere indicatore principe del livello di arretratezza culturale e sociale di un Paese.

Analizziamo allora l'altro aspetto, quello relativo alla “concorrenza”.

E partiamo da un' anomalìa. In Italia si preferisce proteggere imprese e lavoratori piuttosto che consumatori e cittadini. E la classe imprenditoriale italiana, dimostrando tutto il suo provincialismo (quando non addirittura l'adesione ad un “moderno feudalesimo”), invece di far crescere la propria azienda valorizzando il talento non familiare, preferisce tenere ben stretto il controllo della leadership in famiglia, in modo tale che l'impresa serva soprattutto, o esclusivamente, gli interessi della famiglia.

Quale progresso in queste condizioni?

Nessuno, e si vede.

Il Cattolicesimo, che sul concetto e il valore della Famiglia basa gran parte del proprio dogma, rischia così di essere additato come una delle principali cause del ritardo dell'Italia. Un ritardo causato dall'applicazione (anche in molti altri settori) del concetto e della dalla forza abnorme della famiglia, che genera quel “familismo amorale” italiano studiato dai sociologi di tutto il mondo e giustificato dalla debolezza dello Stato che non è riuscito a creare fiducia nei cittadini.

Nel 1958 Edward Banfield nel suo libro ”Le basi morali di una società arretrata”, tradotto in Italia solo nel 1976, prese spunto dai suoi studi sul campo condotti in un paesino della Basilicata, in provincia di Potenza, che presentava evidenti tratti di arretratezza sotto il profilo economico e sociale. Grazie a questi studi l'autore arrivò a ipotizzare che certe comunità sarebbero arretrate soprattutto per ragioni culturali. La loro cultura presenterebbe una concezione estremizzata dei legami familiari che danneggia la capacità di associarsi e l'interesse collettivo.

Banfield ne dedusse una serie di nefaste conseguenze, la principale delle quali era che nessuno persegue l'interesse comune, salvo quando ne trae un vantaggio proprio.

Gli italiani non hanno fiducia nella Giustizia, nella Scuola, nella Sanità pubblica, e così si rifugiano nella “famiglia”.

Cosa altro sono, se non “famiglie”, associazioni come Confindustria e Confcommercio? L’azienda di famiglia passa oggi di padre in figlio (maschio) esattamente come 150 anni fa in tutto il mondo si passava la proprietà della terra.

In Italia la “meritocrazia” continua ad essere simbolo di ineguaglianza, quando invece è proprio l'assenza di meritocrazia ad avere generato la società più ineguale, forse, dell'occidente industrializzato.

Non è esiste mobilità orizzontale nel mondo del lavoro in Italia. Solo staticità verticale. Chi è povero, dunque, resta povero e la differenza tra redditi “top” e redditi “bottom” è altissima. Con una aggravante: l'inesistenza, appunto, della mobilità orizzontale che in altri paesi invece, grazie anche alle pari opportunità, consente meno divario nelle diseguaglianze.

Non tutto è negativo ovviamente.

Esistono isole di eccellenza che dimostrano che la meritocrazia può attecchire anche in Italia. Ma bisogna cambiare tendenza. E tocca, ancora una volta, alla politica. Bisogna innanzitutto consegnare ai cittadini un settore pubblico più efficiente, una più giovane e preparata classe dirigente nella Pubblica Amministrazione. Creare un sistema che consenta di verificare la qualità della scuola e il merito di insegnanti, che sono l’unico vero strumento per aumentare il merito degli studenti. Migliorare la qualità della scuola primaria e secondaria, in particolare al Sud. Prevedere norme per i Consigli di Amministrazione delle più importanti società che impongano alte quote di presenze femminili “qualificate”. Sono tante le ricerche che dimostrano come le imprese con leadership anche femminile crescano e guadagnino di più.

Insomma, puntare ad un Paese che non abbia più paura della “meritocrazia”.


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(*) Giornalista professionista. Socio PRUA

https://www.associazioneprua.it/socio-massimo-pullara/

3 commenti:

  1. Un'analisi dettagliata e onesta intellettualmente che contribuisce a far pulizia di tanti luoghi comuni sul valore del merito spesso dettati dalla consapevolezza della propria inadeguatezza o impreparazione che si pretende di nascondere dietro un falso egualitarismo ! Grazie Massimo !

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  2. La maggioranza dei politici non essendo interessata allo sviluppo del Paese, ma unicamente alla propria ricchezza, o quantomeno alla propria rielezione, non è interessata alle persone di merito, ma esclusivamente alle persone fedeli che portano voti. Come si suole dire, per lui i cittadini sono "voti con i piedi". I politici di una volta riservavano tra le proprie file qualche spazio alle persone di merito, ora non più, quindi sempre peggio per le persone intelligenti e colte che pertanto ragionano con la propria testa: sono infatti definiti "inaffidabili", quindi per fare carriera dovranno, salvo una minoranza che costituisce eccezione, emigrare. Una volta al Nord, data l'industria e l'economia c'erano zone libere dalla politica. Ora con la delocalizzazione e il precariato stanno finendo anche lì. Infatti i migliori sono andati in USA, in UK, ecc.

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  3. Condivido le interessanti riflessioni in particolare sull'importanza della cultura per lo sviluppo e la crescita di un popolo. Cultura che deve essere trasmessa e sviluppata fin dalle scuole primarie. Purtroppo penso che volutamente si cerca di abbassare sempre più il livello culturale e la capacità di ragionamento perché così è più facile ... per chi vuole gestire le "masse" ...

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