29 gennaio, 2022

La morte della Politica

 

Rembrandt, La lezione di anatomia del dottor Tulp , 1632, Museo dell'Aia



Un' autopsia necessaria

di Luigi Sanlorenzo (*)


Nel gran teatro della democrazia italiana, sostituiti "i catafalchi" con discutibili e labirintiche  cabine color fucsia, campeggia ora un tavolo anatomico freddo e indifferente.

Si sta per svolgere l'autopsia della Politica, deceduta per consunzione dopo essere stata colpita da un virus lento ma letale - tra poco saranno trent'anni -  nei corridoi del Pio Albergo Trivulzio di Milano.

Per tre decenni  si è cercato di tenerla in vita con ostinazione attraverso il berlusconismo prima, specchio di una società edonistica autoconvintasi di essere ricca e il populismo,  interessato a riportarla tra la gente ricorrendo ad ogni rischiosa semplificazione dei problemi e delle relative soluzioni e irridendo ogni forma di cultura, preparazione e competenza al grido di "uno vale uno".

Il Paese sconta oggi quei tentativi estremi, interrotti solo da brevi parentesi che non hanno avuto però la capacità di generare una cultura politica, così necessaria in una società affetta da analfabetismo funzionale e di ritorno.

Un'intera generazione non ha memoria di altro. 

Per essa la Politica e ogni altra cosa connessa ha solo il volto sfocato di Silvio Berlusconi e l'agitazione tarantolata di Beppe Grillo. In mezzo, il nulla in un paese che paradossalmente deve alla pandemia, cui ha pagato un prezzo altissimo in vite umane, una sia pur ancora poco avvertita soluzione finanziaria ai propri enormi problemi di indebitamento e al ritardo infrastrutturale che lo fa ultimo tra le principali democrazie dell' Unione.

Ora che il malato ha esalato l'ultimo respiro alla presenza del Parlamento in seduta comune per eleggere il nuovo Capo dello Stato, è giunto il momento di una necessaria autopsia, unica didattica possibile perchè qualsiasi cosa verrà fuori,  domani possa essere il più possibile immune da nuove contaminazioni fatali.

Procediamo allora al triste rito secondo gli insegnamenti della medicina che nella dissezione dei cadaveri ha trovato spesso le vere cause del decesso.

Il cadavere è nudo. Steso prono sul tavolo metallico leggermente inclinato per favorire lo spurgo dei fluidi corporei, è osservato nella sua ultima integrità che presto avrà termine. Rivela ogni recesso, non può opporre alcuna residua finzione cosmetica, ogni pudore gli è negato.

Il patologo lo osserva senza emozioni e, postosi sul volto la mascherina chirurgica impregnata di mentolo per attenuare la puzza, dà inizio al rito antico.

La mano ferma effettua con il bisturi un' incisione "ad Y" partendo dal torace e proseguendo fino al pube. Il cadavere si apre come un libro, offrendo la lettura dei propri organi vitali.

Con difficoltà viene estratto il cuore. E' difficile da trovare perchè è ridotto ad un grumo gelatinoso che sembra aver cessato da tempo il proprio ruolo di pompare il sangue depurato dai polmoni nel sistema circolatorio alimentando tutto l'organismo di nuova energia. Il suo battito, ininterrotto dal concepimento, ha scandito il tempo dell'esistenza. 

Gli antichi credevano fosse il centro delle emozioni, ma da recente qualcuno vi ha trovato tracce di rispecchiamento con ciò che, invece, avviene nel cervello. In ogni caso,  quel muscolo si presenta atrofizzato e palesemente superfluo rispetto alla funzione originaria. Negli ultimi tempi era giunto al limite inferiore delle proprie possibilità ma, soprattutto, non faceva più battere il cuore della gente comune. Il patologo lo pesa, lo mette da parte ed esso sembra sparire nel lucore metallico del vasto contenitore pensato per ospitare ben altre dimensioni.

E' il momento dei polmoni. Rivelano la qualità dell'aria che il corpo ha respirato negli anni. Nel filtro che essi rappresentano sono ancora incastrati i residui di tempi dimenticati, i sedimenti di poche stagioni salubri, le lunghe permanenze in stanze tanto dorate quanto mefitiche e, talvolta venefiche, i fumi dell'avidità e le esalazioni del potere.   

Si presentano neri e slabbrati e i bronchi al loro interno sembrano una rete di canali disseccati in cui l'ultimo refolo di aria pulita è passato da troppo tempo. Senza galleggiare neanche per un attimo, scendono nella soluzione di formalina predisposta per ospitarli. Si depositano sul fondo del vaso, agglutinandosi in una forma presto indistinta. 

Il patologo passa ora al fegato, la grande spugna purpurea deputata a filtrare il sangue della digestione di ciò di cui il corpo si è nutrito. La massa è enorme, gonfia, durissima,  più nera che violacea. I vasi che la percorrono sono ostruiti da tempo, talmente ingente è stata la quantità di veleni che l'organo non è riuscito a filtrare. Essi si sono cristallizzati e sono bene identificabili anche prima dell'analisi con gascromatografo e spettometro di massa. 

Non si rinvengono tracce di interventi depurativi effettuati in vita,  se non qualche residuo di alcuni iniziali nutrienti poi soverchiati dalla spazzatura che è stata ingoiata per decenni.

Lo stomaco è dilatato a dismisura. Sembra avere preso il posto del cuore poichè in esso sembrano essersi concentrati gli umori più pestilenziali, le reazioni intempestive, le contrazioni più lancinanti, gli appetiti meno nobili, un'incredibile predisposizione ad invadere lo spazio degli altri organi. 

Le tracce degli ultimi pasti rivelano le abitudini alimentari del corpo ormai cadavere. Tracce di brani di carne altrui non ancora digerita, farina di notizie scorse frettolosamente, un tempo nella mazzetta d'ordinanza e poi sugli schermi di un tablet, nel tentativo di cogliere il "vento" e di seguirne il corso, non disponendo di idee proprie da proporre e difendere. 

Una massa recente e non ancora smaltita rivela un improvviso ispessimento delle pareti gastriche, in precedenza abituate ad ospitare i più parchi alimenti di precedenti periodi di povertà.

Il lungo tubo dell'intestino è aggrovigliato, presenta più diverticoli che tratti liberi,  in cui ristagnano residui di feci mai espulse. L'ano sembra arroventato per un probabile uso improprio e ricorrente. Messo da parte l'intero apparato digerente per un esame istologico approfondito, il patologo teme di sapere già quale sarà l'esito definitivo. 

La prima parte dell'autopsia è conclusa. Il patologo pesa diligentemente tutto ciò che ha estratto. Gli antichi egizi riponevano gli organi interni nei vasi canopi. Ora,  dopo ulteriori esami, finiranno in un inceneritore. Polvere alla polvere, cenere alla cenere.

Si passa all'esame dei grandi vasi che raggiungono gli arti inferiori  le arterie iliache e femorali che dopo il tratto comune si biforcano a destra e a sinistra. Il patologo resta perplesso. In entrambi gli arti risaltano aneurismi e trombi di ampie estensioni dovuti all'innaturale accumulo di mescolanza di fluidi diversi e contraddittori impossibili da far transitare senza difficoltà e che, influenzando  l'intera circolazione,  impediscono il movimento,  condannando ad una progressiva immobilità.

L'ultimo atto della penosa esperienza è la testa. Fatta una prima incisione sul cuoio capelluto rasato, con una sega elettrica incide la calotta cranica, e messo a nudo il cervello,  ne scosta il velo che lo ricopre. 

Ciò che vede lo lascia sbigottito. 

Lo squilibrio dei due emisferi è abnorme. Normalmente, essi sono disposti in modo tale che uno appartenga alla metà destra del corpo umano e l'altro alla metà sinistra. gli emisferi cerebrali controllano i movimenti volontari, le funzioni sensoriali (udito, olfatto, vista, tatto e gusto), la capacità di linguaggio e di comprensione del linguaggio, il pensiero, la memoria a breve e a lungo termine, l'apprendimento, l'attenzione e la coscienza; per mezzo della sostanza grigia sottocorticale, inoltre, presiedono a funzioni come l'elaborazione delle emozioni e dei ricordi, la memoria spaziale, il consolidamento della paura, i comportamenti motivati, il processo decisionale finalizzato a una data ricompensa (sistema della ricompensa) e, ancora, la memoria, l'apprendimento e l'olfatto.

Gli emisferi cerebrali hanno un ruolo centrale nei meccanismi e nelle funzioni mentali-cognitive. I cervelli maschili sono infatti strutturati per facilitare il coordinamento tra percezione e azione. Mentre le donne si dimostrano più efficienti nelle azioni che richiedono il coordinamento di entrambi gli emisferi: sono più intuitive, hanno migliore memoria, sono più emotivamente coinvolte quando ascoltano qualcuno. 




Questo gli hanno insegnato i maestri all'Università, le tante esperienze precedenti  e gli studi più recenti https://www.istitutobeck.com/beck-news/cervello-maschile-e-quello-femminile  e  la sorpresa è ancora maggiore. 

Probabilmente il cadavere in esame appartiene ad un uomo, non è dato a noi di saperlo, ma il dato obiettivo rivela una massa che non presenta più la scissura interemisferica che separa i quattro lobi nè i solchi e le cinconvoluzioni  in cui si sviluppano, tramite i neuroni, le sinapsi celebrali. 

Il patologo si trova davanti ad unico blocco cementato che pare si sia spento sprigionando l'ultima scintilla: "Potere". Via le emozioni, le cognizioni, le capacità di collegare concetti lontani tra loro e, soprattutto, niente sogni, niente speranze, nessun futuro da immaginare. Il peso, rispetto alla norma del chilo e duecento/quattrocento grammi, e di tre e il medico si chiede quanto ciò sia stato responsabile, in vita, di lancinanti emicranie e di allucinazioni ricorrenti.

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E' ormai stanco, l'autopsia è durata diverse ore e presto dovrà consegnarne il rapporto, il più strano ed inquietante della propria carriera. Mentre le luci dell'obitorio si spengono in uno sfarfallio di neon,  un ultimo interrogativo lo assale: come è stato possibile che quel corpo sia rimasto in vita tanto a lungo ?

Uscito dall' edificio i cui contorni scompaiono nell'oscurità che nasconde l'orrore di cui è stato testimone, si allontana nella notte e la risposta gli giunge inaspettata: l'organismo malato è sopravvissuto con le periodiche trasfusioni di un'intera società che, in fondo, ha preferito la furbizia all'onestà, il sotterfugio alla trasparenza, la protezione al merito,  l'inganno alla verità, la parzialità alla giustizia. 

Intanto, all'orizzonte appaiono le dita d'oro (ῥοδοδάκτυλος Ἠώςdella dea Aurora, figlia di Iperione e di Tea, sorella di Elio e di Selene,  moglie di Astreo, promessa omerica  di un nuovo giorno;  il cuore del poveruomo si stringe al solo pensiero che potrebbe essere uguale a tutti i precedenti, nell'eterna indifferenza dell'Universo verso i miserabili destini umani. 

Si riscuote quando gli balena in mente qualcosa che in quelle ore aveva dovuto dimenticare: sta per diventare padre e nel suo cuore si accende l'ultima struggente speranza che sia una bambina. Sorride a quel pensiero. Decide:: la chiamerà Italia come la nonna triestina nata nel 1918 proprio il giorno della liberazione della città e  la cui grande foto seppiata domina il salotto della casa di campagna. 
Pare non usi più, eppure  è esistito un tempo  in cui anche dare il nome ai figli era segno di una fede, incarnava un auspicio e prefigurava un destino.

Si avvia finalmente verso casa. Potrà esserci di nuovo il futuro !









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(*) Giornalista e Saggista. Presidente PRUA


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