Galleria delle carte geografiche, Musei Vaticani |
Autonomia Siciliana,
opportunità o madre di tutte le sventure ?
di Luigi Sanlorenzo (*)
Nella giornata di ieri il presidente della regione, Nello Musumeci, ha denunciato un piano volto per lasciarlo fuori dal voto per il Quirinale e, mentre la Sicilia si avvia diventare zona arancione se non rossa, ha reagito sciogliendo la Giunta https://www.italiaoggi.it/news/sicilia-musumeci-sfiduciato-a-destra-scioglie-la-giunta-202201130905515359 .
Il fiero proponimento pare sia stato sospeso poche ore dopo, rinviandolo a dopo l'approvazione dell' esercizio provvisorio. Tutti d'accordo quando sono in ballo "i picciuli", specialmente in vista della campagna elettorale.
Siamo davanti ad una sceneggiata che ricorda le "Baruffe chiozzote" di Carlo Goldoni o, per restare in terra isolana, le dinamiche del Cortile Cascino, del cui degrado si occupo' per primo Danilo Dolci nell' "Inchiesta su Palermo" del 1956 e di cui Indro Montanelli, che certo non era un giornalista di “sinistra”, scrisse andando a trovare il sociologo friulano che vi si era accampato, digiunando per protesta :
"Forse fino a ieri nessuno a Palermo, salvo quelli che ci abitano e i loro immediati vicini, conosceva il vicolo Cascino. Esso, a dire il vero, non è neanche un vicolo, ma una specie di cortile strozzato, sotto una rampa di scale precipizi e sbocconcellante, nel cuore di una delle molte “Casbah” sopravvissute un po’ dovunque al margine delle strade principali. Ma esso ora ha acquistato una improvvisa notorietà perché vi ha preso stanza “chiddu chi fa u digghiunu”, quello che fa il digiuno….. Gli abitanti non sanno nemmeno che si chiama Danilo Dolci ma sanno dove abita. Dritto andate, ‘a secunda a destra pigghiate, u passaggiu a livellu attraversate. E là sta”
Tempi e fatti dimenticati, ma che ritornano puntualmente nella prospettiva delle elezioni per il rinnovo del Parlamento siciliano in autunno e rendono lecito e necessario porsi alcune domande:
ha ancora senso parlare di Autonomia della Sicilia ? Sono ancora valide le ragioni storiche che le diedero origine? Nell’era della globalizzazione è ancora un vantaggio per i siciliani sentirsi “speciali” ? Quanto ancora la mediocrità della classe politica siciliana impedirà alla Sicilia di cambiare in modo strutturale ?
Queste e tante altre domande si affollano nella mente di quanti stanno assistendo al declino di un territorio tra i più popolosi d’Europa che, nonostante le immense risorse di ogni genere di cui dispone, da decenni si dibatte in un’agonia senza fine.
______________________
Sull’eccentricità della Sicilia si sono interrogati i viaggiatori del Grand Tour nei secoli scorsi, i più acuti intellettuali italiani ed europei del ‘900 e gli storici, economisti e narratori del nostro tempo a partire da Roberto Alajmo nel suo " Repertorio dei pazzi della città di Palermo" Edizioni della Battaglia, 1993.
Nel 2000 fu pubblicato da Neri Pozza, Vicenza, un libro sulle eccentricità di alcuni personaggi siciliani, e non solo, che vivevano beatamente al di fuori di quel centro che assimila molta parte dell’umanità. Gente di terra e di mare profondamente legata più che ai luoghi a quella complessa cultura da essi generata nel corso dei secoli.
L’autore, Stefano Malatesta, viaggiatore e giornalista scomparso nel 2020, esordiva i suoi racconti descrivendo il particolare legame esistente tra un cane ed il mare delle Eolie, che deve averlo profondamente colpito al punto da dare il titolo a tutto il libro. Nelle isole spesso la presenza dei cani è parte del paesaggio. Cani che vivono liberi al margine delle comunità locali, popolando porticcioli e calette , in attesa di una carezza o di un rimasuglio di pesce
Ma il nostro cane aveva portato la sua autonomia al massimo livello ed era riuscito ad imporla a tutti al punto che gli era facile praticare quello che sembrava essere il suo maggiore interesse : navigare tra le isole dell’arcipelago. Non sollecitava carezze e a volte rifiutava sprezzante anche il cibo che qualche pescatore gli offriva. Aspettava paziente sui moli di Lipari riconoscendo il rumore dei motori, e distinguendo il tipo di imbarcazione sul quale poteva salire indisturbato.
Evitava gli aliscafi e aspettava paziente i piccoli traghetti locali. Dopo qualche tempo la sua presenza venne facilmente tollerata da tutti gli equipaggi e accettata dai turisti di passaggio anche se la mole, il colore e la non particolare socievolezza, avevano sollevato, all’inizio di questa attività di viaggiatore impenitente, qualche perplessità. Saliva su un isola e discendeva su un’altra, sparendo frettolosamente verso l’interno non appena sbarcato, per poi ritornare e porsi in attesa del successivo traghetto
Trascorse così la sua vita completamente immerso in questa attività al punto di diventare una attrazione del posto, come un paesaggio, una caletta o uno dei tanti pescatori. Lo videro dal porto, per l’ultima volta tuffarsi, inspiegabilmente in acqua, e nuotare a largo, poi voltarsi per un’ultima occhiata all’isola ed inabissarsi.
C’è chi fa risalire l'eccentricità all’insularità, chi la ascrive alle molte dominazioni straniere che ne avrebbero determinato il groviglio inestricabile di caratteristiche spesso contraddittorie, chi, ancora, ad uno strisciante complesso d’inferiorità mascherato da orgogliosa arroganza.
L’eccentricità sarebbe divenuta poi la giustificazione esistenziale su cui fondare la pretesa di essere popolo distinto da quello italiano (il continente !) ben oltre la naturale fierezza che ogni identità regionale rivendica giustamente nel resto del Paese e che coltiva con passione senza per questo pretendere di essere qualcosa di più e di meglio delle altre.
Non è questo il luogo per ripercorrere le motivazioni che portarono alla Statuto Speciale, maturate in un periodo storico talmente lontano da non dire più nulla alle nuove generazioni che peraltro non ne hanno mai percepito specifici vantaggi.
Per le generazioni Erasmus, infatti, l’infinito blaterare di Autonomia e di Statuto mentre costruivano la propria formazione in Europa o negli Stati Uniti, aggiunge distanza dalla politica siciliana e da chi la interpreta ed ha il sapore di vecchie liti familiari che si tramandano da generazioni e della cui origine si è perso il ricordo.
Ma, soprattutto, è altrove che essi si sono confrontati con modelli istituzionali ed amministrativi e con un senso civico di altra caratura, con la cultura del risultato e del merito, con un welfare meno ipocrita ma concretamente efficace.
L’Autonomia, oggi di fatto negata in modo crescente nella quotidianità, sembra essere un istituto desueto, un’ inesauribile fonte di livore e di infinita rivendicazione rispetto a torti subiti in un passato remoto e, purtroppo, anche recente. Una faida infinita contro uno Stato mai amato, a stento riconosciuto, sempre vissuto come l’ennesimo dominatore.
E ciò è ancora di più incomprensibile quando si analizzano le serie storiche dei risultati concreti di una tale specialissima condizione istituzionale: essa non ha valorizzato le vocazioni del territorio quali cultura, turismo e agricoltura ma per decenni ha inseguito un fallimentare modello di industrializzazione che ha generato disastri ambientali e ha sparso il sale su interi territori in cambio di una ridotta occupazione sempre a rischio e, sovente finanziata in perdita dal denaro pubblico.
Sul piano dell’identità culturale e della formazione delle giovani generazioni per decenni ha prodotto più laureati in diritto, economia, ingegneria e scienze umane piuttosto che in agraria, turismo, innovazione, ambiente, marketing del territorio.
Il risultato è stato il più alto tasso di emigrazione dei cervelli mai registrato nel nostro Paese e la desertificazione di interi territori cui oggi si aggiunge una fuga ancora più disperata perché composta da giovani pur qualificati ma disposti a qualsiasi tipo di occupazione per sopravvivere.
A differenza della generazione di chi scrive per la quale lavare piatti a Londra o vendemmiare in Provenza era solo un’esperienza di formazione, oggi la larga parte dei laureati siciliani sa bene di rischiare che occupazioni marginali potrebbero essere invece per la vita.
Si tratta dello stesso fenomeno cui ormai da anni assistiamo quando il lavavetri africano o il collaboratore domestico dell’est Europa cui decidiamo di dedicare qualche momento in più di attenzione ci dice di essersi qualificato nel proprio paese anche a livelli elevati e in professioni di rilievo. Per anni ne siamo rimasti sconvolti e quasi increduli. Ora accade anche ai nostri ragazzi.
In anni che sembrano lontanissimi in molti abbiamo creduto nell’”Italia delle Città e nell’Europa delle Regioni” immaginando nella prospettiva di un’ Unione Federale il tramonto degli stati nazionali e dei conseguenti nazionalismi. La deriva economica e finanziaria dell’Unione Europea ha archiviato quel sogno e non sembra che all’orizzonte vi siano segnali diversi.
Ad oggi gli stati erigono barriere e si spingono persino ad archiviare il Trattato di Schengen, limitando la circolazione anche dei cittadini comunitari (sic!). Persino la nazione più cosmopolita del Vecchio Continente minaccia già di restringere l’immigrazione di lavoratori europei con grave preoccupazione di decine di migliaia di giovani italiani che avevano individuato nel Regno Unito e in Londra in particolare una nuova terra promessa.
Piuttosto che relegare nel passato l’algido modello dell’egoismo elvetico, narrato dall’indimenticabile Nino Manfredi nel film Pane e Cioccolata, ad esso l’Unione sognata da De Gasperi e Spinelli sembra invece ormai ispirarsi.
In tale quadro profondamente mutato rispetto alle attese, l’Autonomia Siciliana non solo non ha più senso, ma rischia di diventare la palla la piede del sistema economico e sociale dell’intero Paese frenandone lo sviluppo in nome di privilegi di cui nessuno ricorda più le ragioni storiche che, quand’anche legittime in passato, oggi appaiono incapaci di generare futuro.
Né può costituire esimente il processo autonomistico che altrove investe la Catalogna o la Scozia dove esso si fonda sulla conclamata superiorità delle capacità economiche delle realtà locali rispetto alle lentezze del potere centrale, su misurabili risultati di efficienze amministrativa e di efficacia nella valorizzazione delle proprie risorse.
Stante il fallimento della stagione autonomistica, in Sicilia si è verificato il fenomeno opposto rallentando l’allineamento della regione ai processi di modernizzazione economica ed amministrativa del Paese. Né hanno giovato i recenti decenni durante i quali ben tre elezioni dirette del presidente della regione avrebbero dovuto garantire governabilità, contenere gli appetiti dei partiti, orientare le scelte imprenditoriali, finalizzare le politiche formative, pianificare le politiche ambientali.
Gigantesche macchine clientelari hanno segnato, seppur sotto slogan apparentemente diversi, gli anni di Cuffaro, di Lombardo, di Crocetta con un’accelerazione dei processi di degrado della vita politica ed amministrativa generando una diffusa ostilità verso un’istituzione che pure venne salutata nel 1946 come la definitiva soluzione dei problemi della Sicilia; l'esperienza in corso pur se non responsabile di conclamate responsabilità, sconta una generale mediocrità e si sostanzia nelle continue rivendicazioni finanziarie nei confronti dello stato centrale. Nessuna visione da qui a dieci anni, nessun investimento su nuove classi dirigenti a tutela della permanenza di volti noti dal consenso consolidato.
Ciò che resta dopo 76 anni è una diffusa consapevolezza di mediocrità dei protagonisti, di lotta per il potere su una terra ormai resa sterile da decenni di errori e di connivenze, di rapida ascesa e declino di cosiddette classi dirigenti che sono durate la spazio del mattino poichè spesso il resto della giornata si è svolto dietro le sbarre o nelle aule di tribunale
Nessuna nostalgia, dunque, per un’occasione sprecata. Nessun rimpianto per ciò che poteva essere e non fu. Nessuna ennesima rivendicazione di specialità. Nessuna sofisticata pretesa di eccentricità.
Solo un grande bisogno di essere parte normale di un progetto Italia - dove nessuna regione sia “più speciale di altre” - cui conferire le intelligenze migliori, le sensibilità più fini e le capacità più promettenti nell’interesse comune. Abbiamo cominciato a farlo fornendo in molte occasioni risorse anche ai massimi livelli istituzionali, scientifici, imprenditoriali e ciò oggi il mondo ci riconosce pienamente. Eppure anche in quei casi avremmo preteso che essi diventassero patroni o protettori della “terra natale”, favorendola a distanza, perpetuando i resti di una mentalità feudale e subalterna e l’inconfessato desiderio dello “zio d’America”.
Saranno invece proprio quelle testimonianze ed altre che verranno le fondamenta dell’unico ponte che serve alla Sicilia per ribaltare la propria immagine nel mondo e per collegarsi finalmente ad una contemporaneità cui fino ad oggi si è colpevolmente negata, specchiandosi come Narciso nella propria presunta specialissima eccentricità.
Pare che Musumeci abbia fatto dietro-front. Ho le lacrime agli occhi ma ancora non ho capito se sto piangendo o ridendo.
RispondiEliminaAnalisi precisa e puntuale
RispondiElimina